17 aprile – Per cambiare basta un sì

Habemus datam. Lo scorso 16 febbraio il Presidente della Repubblica ha finalmente firmato il decreto per l’indizione del referendum popolare riguardo la durata delle concessioni già rilasciate per l’estrazione di fonti fossili dai nostri mari. Il 17 aprile saremo quindi tutti chiamati a votare per esprimere la nostra scelta su un argomento tanto controverso quanto fondamentale per il futuro energetico italiano e per la nostra sicurezza. downloadAccompagnato da tutta una serie di accese polemiche, in primis per la decisione del governo di non istituire un ElectionDay autorizzando di fatto uno spreco di oltre trecento milioni di euro, questo referendum è un’importante occasione per dimostrare al mondo politico che, nonostante i suoi goffi tentativi di boicottaggio, siamo consapevoli della necessità di un cambio di rotta in materia energetica.

Proposto inizialmente da dieci consigli regionali (divenuti nove in seguito al ritiro dell’Abruzzo), dei sei quesiti referendari presentati solo uno è stato ritenuto ammissibile dalla cassazione, quello che riguarda l’abrogazione dell’articolo 6 comma 17 del Codice dell’Ambiente. Nello specifico, quest’ultimo prevede che le concessioni estrattive non abbiano scadenza, con la possibilità dunque di avere efficacia fino al naturale esaurimento del giacimento. Sostanzialmente, con la vittoria del sì, verrebbero bloccati tutti i permessi per la ricerca e l’estrazione di petrolio nei mari italiani, entro le 12 miglia dalla costa. 121712-md In tal modo si eviterebbe la distruzione delle coste adriatiche, dello Ionio e del Canale di Sicilia, preservando veri e propri paradisi naturali come le isole Tremiti o l’isola di Pantelleria. Le ragioni per dire sì sono moltissime, e a pochi giorni dalla sua nascita, il comitato nazionale delle associazioni “vota sì per fermare le trivelle” ha già iniziato il suo lavoro per diffonderle il più velocemente possibile, dato che la corsa per il 17 aprile sembra essere contro il tempo. Anche questa volta infatti, ancor più che per i referendum abrogativi del 2011, l’impegno della società civile sarà indispensabile per convincere gli italiani a recarsi alle urne. Secondo un recente articolo de La Stampa infatti, sono pochi i giornalisti disposti ad occuparsi della questione, ad eccezione de Il Fatto Quotidiano, dimostrando come anche le maggiori testate siano in linea con i piani del governo, atti a scongiurare il raggiungimento del quorum.

L’associazione ambientalista Greenpeace, impegnata in prima linea nella campagna NoTriv, ha stilato una lista di sei principali motivi per dire sì. Oltre al fatto che il voto è un importante diritto che ci permette di manifestare la nostra volontà, il referendum del 17 aprile è una buona occasione per ribadire una volta per tutte che bucare i fondali alla ricerca di petrolio è potenzialmente pericoloso per la nostra salute e per l’ambiente, perché anche il minimo incidente causerebbe una catastrofe, specialmente in un mare chiuso come il Mediterraneo. Inoltre utilizzando a nostro favore un famoso detto, con il petrolio offshore italiano sarebbe più la spesa che l’impresa. Le riserve accertate di petrolio infatti sono poche e di scarsa qualità: prendendo ad esempio il progetto Ombrina di fronte alle coste abruzzesi, secondo le stime, il petrolio estratto in venti anni soddisferebbe in totale tra le due e le quattro settimane di fabbisogno nazionale, e la notevole presenza di impurità renderebbe molto difficoltoso il trasporto del greggio, che dovrebbe quindi essere “depurato” sul posto di produzione, cioè ad una distanza di soli sette chilometri da una delle più belle spiagge italiane. L’impianto sproporzionato, le emissioni in atmosfera e gli scarti in mare distruggerebbero un tratto costiero che tutt’oggi rappresenta un rilevante polo turistico per l’Abruzzo e per l’Italia stessa, e tutto questo solo per soddisfare lo 0,5% del consumo giornaliero di petrolio.Comitato-No-Triv1

E chi è che ci guadagna? Certamente non la popolazione, privata del proprio territorio e quasi sicuramente neanche la nostra economia. Ad arricchirsi saranno solo le compagnie petrolifere, che per poter estrarre petrolio in Italia pagano le royalties più basse al mondo, solo il 7% del valore di ciò che si estrae. Tutto l’opposto di ciò che avviene in Norvegia ad esempio: qui si estrae petrolio dal 1970, e si stima che ben il 23% del PIL sia dovuto agli introiti dei petrolieri i quali devono pagare tasse speciali sul petrolio, sulle emissioni di gas serra, sullo sviluppo della zona e sulle licenze. Inoltre gran parte del ricavato viene versato dallo Stato in un fondo pensioni che, al 2009, garantiva 60000 euro a persona, compresi i neonati. Un chiaro esempio di gestione responsabile delle proprie risorse naturali e dal quale noi siamo più che lontani.
Il nostro governo sta dimostrando di voler proseguire con l’adozione di un modello energetico vecchio e improduttivo, confermando di essere completamente slegato dalla volontà dei cittadini, sempre più impegnati in associazioni e comitati, consapevoli di dover “fare da soli”.

Dire di sì a questo referendum significa mostrare che dal basso c’è la volontà di cambiare, chiedendo fermamente di puntare su tecnologie energetiche più pulite, più redditizie e più sicure. Secondo uno studio dell’università di Stanford per raggiungere la piena sostenibilità energetica entro il 2050, cosa che richiederà anni di lavoro e di politiche intelligenti, l’Italia “dovrebbe puntare sul fotovoltaico ed investire nel settore dell’energia eolica onshore e idroelettrica” si legge in un articolo dello scorso dicembre apparso sul Fatto Quotidiano.trivelle Seguendo questi suggerimenti potremmo aumentare la nostra efficienza energetica, ridurre i consumi e creare quasi un milione di posti di lavoro. La Francia lo sta già facendo, avendo recentemente vietato la ricerca petrolifera all’interno dei propri confini nazionali con l’obiettivo di tagliare del 30% l’uso di fonti fossili entro il 2030. Da noi le cose sono ancora molto complicate per via dell’instabilità politica e della mancanza di una coerente strategia, ma il 17 aprile avremo l’occasione di far sentire la nostra voce e il potere di dire con un sì che un l’Italia vuole cambiare.

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