1839, Daguerre immortala la Luna

L’antenato dell’immediato Instagram è il graduale dagherrotipo. Se oggi basta allungare e sollevare di poco il braccio e sfiorare lo schermo per catturare il nostro pallido satellite e condividerlo con il web, per fare il primo ritratto fotografico alla Luna c’è voluta molta più pazienza: èl’astronomo francese Dominique François Arago a commissionarlo, e viene realizzato il  2 gennaio 1839 da Louis Daguerre.
Esperto di disegno, scenografia teatrale e vedute di paesaggi, soprattutto negli studi preparatori per queste due ultime specialità Daguerre usa la camera oscura, per gestire in modo ottimale la luce: da qui agli esperimenti chimici è un attimo. Con l’aiuto di Joseph Niépce, anch’egli interessato ai fenomeni luminosi e alla camera oscura, studia e sperimenta con i materiali fotosensibili, arrivando, con lunghissime e delicatissime procedure, all’ideazione dell’eliografia e successivamente del dagherrotipo.
A causa di un incendio il laboratorio di Daguerre fu  completamente devastato:  i primi esperimenti e i suoi appunti andarono distrutti, cosicché non ci rimane alcuna traccia della prima impressione della Luna, ma ne abbiamo una quasi contemporanea che può restituirci un po’ del fascino che doveva avere quella originale: è di John Adams Whipple e risale al 1851.

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La forma tonda, gentile, il chiarore pallido e attenuato in opposizione al vibrante e prepotente Sole rendono il nostro satellite facilmente identificabile e rappresentabile con fattezze femminili: come la Luna poco più che ragazzina di Alphonse Mucha, o il sensuale nudo di William-Adolphe Bouguereau, o ancora la languida rappresentazione della Notte di Michelangelo, distesa sul monumento sepolcrale per Giuliano de’ Medici.

La Luna è anche una divinità: la sua personificazione più celebre è la greca Selene, spesso assimilata ad Artemide (per contrasto a suo fratello Apollo, che conduceva il carro del Sole) o Ecate (divinità ambigua e misteriosa, legata alle anime dei morti e ai riti per evocarle, che spesso andavano compiuti di notte o in concomitanza con i cicli lunari), ma conosciuta soprattutto per i suoi amori con il giovane Endimione. A simboleggiare il suo stato di divinità, come in questa rappresentazione dal bassorilievo di un sarcofago romano, reca sulla fronte la falce di luna crescente a mo’ di diadema.

Tuttavia, la Luna s’incarna talvolta anche in figure maschili, come l’egizio Thot, che come Selene spesso compare con il disco lunare sul capo. Non è ben chiaro, proprio come per il rapporto Selene – Ecate, se Thot fosse il dio che presiedeva e tutelava i riti religiosi e magici e quindi anche la divinità della luna, oppure se fosse il dio dei cicli lunari sui quali si regolavano i riti, di cui quindi divenne il custode. Una sorta di viene prima l’uovo o la gallina dei pantheon mediterranei. Ma ciò che rende Thot davvero  affascinante è il terzo elemento di sua competenza: la scrittura. Che un unico dio avesse l’appannaggio di scrittura e magia è indicativo di quanto i geroglifici fossero considerati dei veri e propri simboli magici ed evocativi, di competenza della divinità o della casta religiosa. Che fosse la divinità della luna comportava inoltre che fosse anche il dio del passare del tempo e della sua misurazione, e quindi della matematica e della geometria.

Ma il binomio scrittura – luna ci parla anche di Italo Calvino e delle sue mirabolanti Cosmicomiche, e di questo  tenero cortometraggio Pixar che proprio alle Cosmicomiche sembra strizzare l’occhio:

http://www.youtube.com/watch?v=Mpj5SaGJyqA

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