Volo di paglia

Tra mondi piccoli, mostri e la Storia: intervista a Laura Fusconi

Laura Fusconi

Laura Fusconi

Sempre più spesso si parla della differenza tra Storia e memoria, due modi diversi e complementari con cui possiamo raccontare e condividere il passato. La Storia è quella che si studia a scuola, fatta di dati, di documenti e di eroi. Di vinti e di vincitori. La memoria è composta dai racconti di chi ha provato tutto questo sulla propria pelle, di chi rilegge gli avvenimenti secondo la propria esperienza e la propria biografia.

Volo di paglia, romanzo d’esordio di Laura Fusconi edito da Fazi Editori, racconta gli ultimi anni del fascismo dalla prospettiva di un paesino di campagna, vicino Piacenza, e le scorie che hanno lasciato nei suoi discendenti, cinquant’anni dopo. Il tutto visto dalla sensibilità dei bambini: bambini che hanno vissuto l’orrore, bambini che vanno alla ricerca di un passato che li attira fino a risucchiarli. Ma l’autrice ci porta a spasso tra i due periodi temporali con la leggerezza tipica dell’infanzia, per cui vita vera e avventura sono la stessa cosa, forse, ma detta con parole diverse.

Parliamo di tutto questo con Laura Fusconi, che ringraziamo.

 

Com’è nata l’idea di questo romanzo?

 

Ho passato ogni estate nei luoghi che ho descritto nel romanzo. La Valle era la casa abbandonata da cui dovevo stare alla larga, e proprio per questo ne sono stata attratta da sempre. Le corse per i campi, le basi segrete nei boschi, le strigliate dei contadini, i voli nel fieno: fa tutto parte della mia infanzia. È venuto naturale raccontare della campagna e di questi luoghi. Anche se l’idea di fondo è nata da una fotografia di mia madre: era il 1981 e stava sbucciando delle pesche al castello di Boffalora, dove aveva affittato un monolocale per l’estate.

 

Moltissimi scrittori italiani e non solo hanno deciso di rileggere la Storia guardandola dal presente, cercando parallelismi tra il passato e oggi, soffermandosi sulle fratture e gli strascichi tra queste due linee temporali. Ne viene una sorta di contrapposizione tra la Storia ufficiale e la memoria dei luoghi, delle vite. Quanto hai dovuto scavare per far venire alla luce questa storia? E cosa hai scoperto, mentre scrivevi?

 

Ho parlato a lungo con chi quegli anni li ha vissuti, col vecchio parroco della chiesa di Verdeto, con il proprietario dell’albergo del Cervo ad Agazzano. Ho chiesto in prestito foto degli anni Quaranta per poterle studiare e documenti dell’archivio parrocchiale.

Scrivendo Volo di paglia ho scoperto che il non detto fa male, che i mondi piccoli riflettono quelli grandi e che il presente può esorcizzare dolore del passato.

 

Ciò che unisce le due linee narrative è la forte idea di comunità, che riesce a resistere malgrado il fascismo, le tragedie, il peso della Storia. Il mondo di oggi sembra aver preso la strada dell’individualismo più sfrenato, della solitudine solipsistica. Come possiamo ricostruire la comunità?

 

Sono convinta che l’insoddisfazione che caratterizza tanti di noi oggi dipenda soprattutto dall’individualismo. Quindi paradossalmente l’atto più egoistico che possiamo compiere è riscoprirci comunità, non tanto per bontà d’animo o opportunismo, ma perché è un modo per dare un senso soddisfacente alla nostra vita. Credo che sia necessario abbassare le difese, fidarsi, fare il primo passo e pensare al plurale.

 

Le voci che si alternano in Volo di paglia sono soprattutto voci di bambini, vittime della Storia o di un passato che ritorna. Come ti sei approcciata a dei narratori così particolari?

 

Mi ha sempre affascinato lo sguardo schietto dei bambini: non ha mezze misure, non ci sono grigi, non ci sono pregiudizi, tutto è ancora da inventare e interpretare. Scrivendo mi sono resa conto che l’infanzia è ancora molto viva in me: mi è venuto naturale raccontare la storia con questo sguardo.

Tommaso, Camillo e Lia negli anni Quaranta, così come Lidia e Luca negli anni Novanta, hanno la stessa sfacciataggine che hanno tutti i bambini abituati a difendersi; alternano lo sconforto alla gioia più assoluta, hanno dei segreti che salvano e condannano, intuiscono che c’è qualcosa di spaventoso tutt’attorno, non comprendono affatto i giochi degli adulti e sentono in qualche modo il bisogno di inventarsi una propria via per sopravvivere.

 

 

I bambini vivono e rileggono la storia con il loro immaginario fatto di mostri, incubi, streghe. Sembrano delle forme traumatiche per nascondere, arginare il peso del reale, di ciò che li sconvolge. E lo stesso è il fascismo per noi italiani: una sorta di presenza rimossa con cui non siamo mai riusciti a fare i conti. E che in questi giorni sta riprendendo piede ad una velocità impressionante. Come può aiutarci la letteratura?

 

Per evitare che l’odio si riproponga penso che si debba mantenere altissimo il livello di attenzione e consapevolezza: ricordare e comprendere ciò che ci ha preceduto è il modo migliore per anticipare il futuro e fare le scelte giuste nel presente. La letteratura in questo può esserci d’aiuto, può rappresentare un ammonimento e un’occasione per riflettere emozionandoci. Sono convinta che la narrativa possa rendere più viva la Storia.

 

 

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