La società è in crisi, come rimediamo? Su “La guerra di tutti” di Raffaele Alberto Ventura

Vi dice niente il nome di Raffaele Alberto Ventura? Magari avete letto un suo articolo su una rivista online (l’elenco delle sue collaborazioni è lunghissimo) o magari lo seguite sulla sua pagina Facebook, Eschaton. Forse non avete mai sentito il suo nome, ma vi ricordate di quel libro, Teoria della classe disagiata, che uscì un paio d’anni fa e di cui nel sottobosco culturale parlarono quasi tutti per un po’. Oppure nessuna di questa ipotesi, siete totalmente all’oscuro della sua esistenza. E allora come presentarvi l’autore e il suo nuovo saggio, La guerra di tutti, uscito per Minimum Fax a maggio 2019?

Classico della produzione di Ventura è innanzitutto un certo tono, una felicità di stile discorsivo e accattivante, che riesce a trasmettere anche i concetti più ostici di filosofia, diritto ed economia come fossero racconti pop, presentati al lettore con una certa dose di ironia e “colore”, come in un film della Marvel. Il che ci porta a un altro punto-cardine dei suoi testi: l’uso di riferimenti, appunto, pop, da cinema e fumetti, ma anche da classici della letteratura. Infine, in tutti i suoi articoli e nel precedente libro, è degno di nota il suo pragmatismo e la capacità di mantenersi sempre equidistante dalle parti in causa, per osservare la società con uno sguardo che parta dal singolo evento e vada a inquadrare un problema superiore.

Ne La guerra di tutti, queste caratteristiche sono riunite in un saggio che affronta la crisi della nostra società da molteplici punti di vista. Si parte ad esempio con il film Essi Vivono, usato come spunto per prendere in esame il fenomeno del complottismo e le sue ramificazioni, tra masse che credono a un’umanità dominata dagli alieni e politici e cantanti che si appropriano pubblicamente degli stessi rituali di cui vengono accusati. Così possono esistere nello stesso momento storico persone che credono ai Rettiliani e presidenti come Macron, o artisti come Rihanna, che inseriscono allusioni agli Illuminati nei loro interventi pubblici. Secondo l’autore, questo procedimento alla lunga rischia di far saltare i margini della convivenza sociale, perché se non regge più la distinzione tra realtà e immaginario, non reggono nemmeno i dispositivi di controllo politico: “Qui la questione cruciale non consiste nel conoscere la verità ma nel capire come degli individui possano coesistere se non condividono una stessa verità. Come potranno sottomettersi alle stesse leggi se occupano lo stesso territorio ma non abitano lo stesso mondo?” (Corsivi dell’autore).

Raffaele Alberto Ventura

La questione della conoscenza è centrale e ritornerà più volte, ma il focus del libro è proprio la convivenza e nei capitoli successivi Ventura provvede anche a smontare, o piuttosto a constatarne il malfunzionamento, tutti i meccanismi tipici della modernità politica occidentale, sempre in nome della praticità di governare un gruppo sociale ormai così eterogeneo e multiculturale che non sono più sufficienti gli stessi strumenti usati nel passato.
È il caso ad esempio della tentazione autoritaria nascosta dietro ogni voto di maggioranza democratica, da cui si può giungere al populismo in pochi passi:

“Il problema è che oggi la nostra società è diventata troppo eterogenea e conflittuale per riuscire a concatenare in modo efficace degli interessi divergenti. Questa configurazione giuridica mal si adatta alla centralizzazione giacobina. In una democrazia compiuta, l’ordine giuridico permette di «contenere» la finzione della volontà generale: insomma Montesquieu sorveglia Rousseau. Oggi la retorica dell’iperdemocrazia si impone ovunque, alimentando un pericoloso malinteso: quello di una società che potrebbe essere liberata dai conflitti. Il leader politico del Movimento 5 Stelle, Luigi di Maio, confonde volentieri il suo 32% alle urne […] con la sicurezza che il suo governo rappresenta la «volontà del popolo» intero”.

Il problema secondo l’autore è nel nostro modello di società, “vecchio di secoli o in anticipo di millenni”, che andrebbe cambiato per far fronte alle sfide di questo tempo. La soluzione che Ventura suggerisce è radicale, ma ha le radici nella stessa modernità occidentale, e si tratta di «una governamentalità più fluida e flessibile, un intreccio di giurisdizioni […] una sovrapposizione di ordinamenti slegati da ogni organo territoriale», in una parola una “Panarchia”, un sistema simile per certi versi al Medioevo e in cui la società dovrebbe riscoprire il senso pieno del concetto di tolleranza.

L’ordinamento giuridico postmoderno deve riuscire a garantire i diritti delle minoranze sessuali senza stigmatizzare le minoranze religiose, e viceversa, sottraendo alla deliberazione maggioritaria tutte le questioni etiche che riguardano piuttosto le associazioni comunitarie e i corpi intermedi. Questa tolleranza radicale dovrebbe garantire il miglior compromesso possibile tra visioni divergenti.

La novità della soluzione proposta di certo farà discutere, come anche altre affermazioni all’interno del libro, che per via della vastità dell’argomento, e degli esempi non ortodossi, può sembrare a volte superficiale: avete mai sentito parlare, ad esempio, di Tom&Jerry come metafora dei rapporti di forza in politica internazionale?

Nonostante sollevi alcune perplessità però, La guerra di tutti ci fornisce comunque (come pochi altri sanno fare) un’eccellente schema per inquadrare, anche in maniera divertente per quanto possibile, tutta la complessità del nostro mondo in circa 300 pagine; il che, bisogna convenire, non è poco di questi tempi.

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