Tra realtà e finzione: La vita sociale delle sagome di cartone di Fulvio Gatti

La vita sociale delle sagome di cartone (Las Vegas Edizioni) è l’ultimo romanzo di Fulvio Gatti. La narrazione si apre al Salone del Libro di Torino, dove davanti a una platea esterrefatta e al ministro, Rio Cormana, collega di Samantha Neli (la protagonista), compie un gesto eclatante: defecare sul tavolino come risposta alla proposta delle Edizioni Essenziali, dei libri di duecento pagine venduti nelle farmacie con lo scopo di combattere l’abbandono alla lettura da parte degli italiani. Nel frattempo Paul Pavese, lo scrittore di punta della casa editrice, nonché socio fondatore della stessa, è scomparso; Samantha, giovane responsabile marketing di Fabula Nuova, deve assolutamente ritrovarlo se vuole salvare il posto di lavoro.
Un libro intelligente, ironico, a tratti denso e multiforme, e che sorride a un pubblico giovane che non può fare a meno di immedesimarsi. Per questa ragione, abbiamo sentito la necessità di contattare l’autore.

Ne La vita sociale della sagome di cartone abbondano i riferimenti alla cultura pop, in particolare Star Wars, Watchmen di Alan Moore, ma anche riferimenti a gruppi musicali come i The Cranberries; è difficile non cogliere, in un certo senso, un omaggio più o meno diretto a quelli che possono essere considerati dei veri e propri pilastri della cultura nerd, e a ciò che hanno rappresentato per più di una generazione. È questa una caratteristica del tuo modo di far letteratura?
Avendo pubblicato il saggio “I nerd salveranno il mondo“, e a 22 anni un saggio su Star Wars, temo che il passato mi perseguiti. È che quanto accenni fa parte, inevitabile, del mio bagaglio. L’intento qui però era raccontare una storia che, al di là di qualche accenno, fosse leggibile per tutti e non per forza “nerd militante” come altre mie pubblicazioni.

Quali sono le opere e gli autori che consideri come punti di riferimento, anche solo stilistico?
Rispondere è difficilissimo perché ho letto, visto e consumato tantissime storie e autori, e ciascuno mi ha lasciato un pezzetto. Dovrei parlare di Stephen King e di John Carpenter, per riferimenti specifici nella trama e nella struttura, ma sarebbero davvero riferimenti eccessivamente pretenziosi. Ho la fortuna di apprezzare stili e generi completamente diversi, perché a volte occupano spazi complementari dentro e fuori di noi: dalla narrazione globale della saga Avengers, che segue una serie di paletti precisi per arrivare a tutti – e ci riesce, questa è la componente meravigliosa – a quelle forme di racconto più complesse e volutamente difficili, magari anche di nicchia, come certo cinema del Sol Levante, horror d’autore, o serie tv dimenticate che trovi su YouTube. Mi piacciono le storie che sono meccanismi perfetti e quelle che invece sanno lasciarsi andare, parlando al cuore di chi le fruisce: e non è detto che tecnica e amore manchino per forza a entrambi gli estremi dello schema.

Nel tuo libro, anche in maniera grottesca o se vogliamo, dissacrante, rappresenti un mondo dell’editoria completamente stravolto e in crisi, sia economica che di identità, fin dalle prime pagine: non a caso il personaggio di Rio Cormana compie un gesto a dir poco eclatante al Salone del Libro, luogo simbolico e, per l’appunto, sacrale.
È evidente dunque nel tuo libro, una certa conoscenza del mondo dell’editoria e dei suoi meccanismi, una conoscenza che potremmo definire “interna”. Qual è dunque il tuo rapporto come scrittore con il mondo dell’editoria?
Ho fatto tutti i mestieri dell’editoria, dall’editor all’addetto ai diritti esteri, dalla comunicazione allo smistamento di scatole per fiere e stand – con successiva gestione degli stand. Sono stato anche editore, spendendo soldi miei, e questo forse ti costringe a una certa dose di cinismo e di realismo. Tornare a scrivere, con questo bagaglio sulle spalle, è piuttosto curioso, e forse si “legge”.

Fin dalle prime pagine, è messo in scena il rapporto conflittuale tra editoria in crisi e i politici che quella crisi avrebbero il dovere di risolverla, ma che puntualmente sono incapaci di trovare una soluzione che non sia ridicola o inutile. La rappresentazione che proponi di questa tensione tra editori e uomini di potere è rappresentata dall’immagine riccorrente delle Edizioni Essenziali: libri che vengono venduti in farmacia come medicinali contro l’analfabetismo funzionale. Come ti è venuta in mente questa idea delle Edizioni Essenziali? E quale soluzione proporresti per risollevare il mondo dell’editoria?
Scusami, ma la domanda è mal posta. Sono stato anche il vicesindaco e, credimi, parlare di politici non in grado di trovare soluzioni è sciocco perché i politici possiamo (dovremmo) essere noi. Mi sono limitato a mettere l’accento sul fatto che a ogni soluzione apparentemente buona, corrispondano possibili conseguenze inaspettate – se non conosci bene la materia, e a volte anche se la conosci. Quindi se proprio vuoi che espliciti una critica, è alle proposte idealiste contrapposte a un mercato che è fatto sostanzialmente di denaro; oppure a una classe amministrativa che risulta non conoscere abbastanza bene i campi su cui legifera. Posso fingere di non aver letto l’ultima domanda? Il libro è uno spunto satirico, punta il dito su problemi, non è questa la veste e la sede per proporre soluzioni.

Castelvecchio Tanaro e Torino, città e periferia, il vecchio e il nuovo. La vita sociale delle sagome di cartone può essere interpretato analizzandone le spigolature e i contrasti e le profonde dicotomie. Partiamo dai luoghi principali: Torino, la città, che diventa anche il luogo dal quale fuggire, lasciando tutto momentaneamente in sospeso; e Castelvecchio, piccolo paese di provincia, che finisce per diventare il luogo adatto per riflettere su se stessi e ciò che si è lasciato alle spalle. Castelvecchio è riconducibile a un luogo reale?
Sì, ma non si dice. Mettiamo che si tratti di una qualunque piccola cittadina del Nord Italia, fuori dai grandi centri urbani.

Quale rapporto hai, invece, con Torino?
Ci sono nato, ma l’ho scoperta davvero all’Università. Poi ci ho lavorato. È una città bella per ambientarci storie, meno per cercare parcheggio.

Paul Pavese, l’eclettico scrittore di best-seller, e Cartesio Durante, personaggio dalla dubbia moralità che sembra pronto a tutto pur di sollevare le sorti della propria azienda. I soci fondatori di Fabula Nuova ci sono presentati fin dall’inizio come uno l’opposto dell’altro. Nel mezzo il personaggio di Samantha Neli, vero motore dell’azienda, disposta a tutto per Paul Pavese che idolatra (e forse, ama) e al contempo critica verso Cartesio Durante che si è invaghito di una studentessa e che teme possa sostituirla. Da qui la necessità di ritrovare Paul, sparito senza lasciare traccia; capiamo fin da subito che il viaggio di Samantha è un viaggio prima di tutto necessario a lei stessa, e in secondo luogo alla sua azienda. Leggendo, appare evidente che Samantha è una stakanovista, dedita all’azienda al punto da non avere alcuna vita privata, precaria in un settore precario. Ed è l’unica a non essere una sagoma di cartone, l’unica, se vogliamo, dotata di un certo spessore che la distingue da tutti gli altri. Da autore, cosa pensi del personaggio di Samantha Neli?
Mi serviva un personaggio più lontano da me, rispetto a quanto siano Paul o Rio, per rendere la storia più obiettiva. Mi prendo la responsabilità di tirare frecciate anche feroci a un intero settore e la distanza serviva a evitare che non fossero semplici invettive, ma qualcosa di inserito in modo organico all’interno di una storia. Samantha però è cresciuta per conto suo, con le sue ansie e frustrazioni, desideri di eccellenza e limiti fisici (vedi la malattia, ma anche la ricerca fuori dalla propria comfort zone) che forse finiscono per essere l’elemento più accattivante della trama stessa. Seguiamo Samantha nell’abisso sempre più in basso, finché… beh, mi stoppo, se questi dettagli incuriosiscono forse è meglio leggere il romanzo!

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