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Cosa raccontano le Voci da Uber di Maria Anna Mariani

Anche se da utilizzatrice di mezzi pubblici, ho tutto sommato un bel rapporto con il traffico e i ritardi dei treni (tranne quando dovevo prendere la coincidenza a Fidenza, che in effetti non sono mai riuscita a prendere in sei anni). Questa dilatazione del tempo su cui non abbiamo alcun potere è un’ottima scusa per leggere, ascoltare musica, dormire, a volte perfino fare amicizia. Non siamo noi ad attardarci, a sabotare la produttività e la schedule obiettiva del tabellone degli arrivi: è il traffico che ha scelto per noi, che ci concede del tempo in più (atto sovversivo per eccellenza), che ci permette addirittura di compiere un esperimento come quello che ha eseguito Maria Anna Mariani e, quindi, di dare vita a un libro.

Voci da Uber. Confessioni a motore
di Maria Anna Mariani
STEM Mucchi Editore, 2019

Seduta sul sedile posteriore di svariate auto – una Toyota Camry nera, una Honda Accord grigia, una Kia Soul nera o una Nissan Altima bianca, per esempio – e diretta a casa, all’aeroporto, a casa del fidanzato, dal medico, Maria Anna Mariani comincia a pensare di catalogare questi interludi nella routine della propria vita, questi contatti non previsti che si svolgono nel traffico di Chicago, che la connettono a una parte del mondo (perché ci sono gli autisti originari della città, che non sono mai usciti dal loro quartiere, ma ci sono anche i rifugiati, i pensionati, gli adepti) che altrimenti le sarebbe rimasta per sempre preclusa.

A Chicago ci è venuto per avere un po’ più di possibilità, un po’ più di libertà. Quando gli chiedo se la città gli piace risponde The sky is blue everywhere, una frase che potrebbe dar voce a un proverbio persiano, è molto probabile anzi, ma a me ora sembra invece l’eco condensata di quella lettera che Boccaccio scrisse all’amico Pino de’ Rossi quando fu esiliato da Firenze, per consolarlo dalla lontananza coatta con parole lenitive.

Maria Anna Mariani, Voci da Uber

A quasi tutti noi piace scambiare qualche chiacchiera o qualche consiglio con il barista, il salumiere (si va ancora in macelleria?), il commesso. Con un autista di Uber è diverso: noi entriamo nella sua intimità, quella del suo veicolo, siamo nelle sue mani che tengono il volante per tutta la durata (più o meno prevista) del viaggio, siamo tenuti a dare una valutazione. Siamo quasi tenuti in un tacito ostaggio, uno che implica anche che tacito non sia: c’è quasi un obbligo a conversare, a dimostrarsi umani e comprensivi, a giustificare l’utilizzo di una App che crea una transazione mascherata da «collegamento diretto».

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Su questo comincia a interrogarsi Maria Anna Mariani, che abbandona sia le proprie vesti da privata che utilizza Uber sia quelle di assistant professor di Letteratura italiana moderna – che comunque indossa di nuovo quando deve mascherare la propria ricerca agli autisti – per dedicarsi a una missione: interrogare discretamente gli Uber driver, scoprire il più possibile su di loro, catalogarli, raccontarli in una raccolta che si tenga in bilico tra saggistica, ricerca antropologica, analisi sociologica.

Ma non si tratta solo di scambi divertenti, di rivelazioni dolorose, di flirting innocente. Maria Anna Mariani ci prende in giro, spacciando Voci da Uber per una raccolta di racconti sulle vite degli autisti di Uber, presi firts-hand dalle loro parole mentre svoltano, accelerano, inchiodano. Ogni piccola confessione e ogni minimo accenno vengono piegati – gentilmente, sotto voce – per portare alla luce, rivelare e raccontare un’altra storia: quella di Maria Anna stessa, che non riesce a rimanere una semplice testimone, ma che prende invece forza dalla propria posizione di intervistatrice per scegliere cosa raccontare e cosa no. Qualunque sia la scelta, avviene per comunanza o dissonanza, porta in superficie non solo un incontro ma anche i riflessi e le ricadute che ha avuto sulla voce narrante, che è una persona, che è la protagonista, in fondo. Sicuramente, è una scelta rivelatrice: autobiografica. Non è un caso se un altro libro di Maria Anna Mariani tratta proprio di autobiografie a confronto: Sull’autobiografia contemporanea. Nathalie Sarraute, Elias Canetti, Alice Munro, Primo Levi (Carocci, 2012). Quella di raccontare fatti, vite, accadimenti, e di non raccontarne altri è una scelta che dice tanto della storia quanto di chi la racconta, in tutte le sue rielaborazioni. È il pretesto, d’altro canto, che rende possibile qualsiasi forma di narrazione:

We tell ourselves stories in order to live.

Joan Didion (spero non me ne voglia Maria Anna Mariani, che spero ami Didion quanto me)

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