Goodbye FIAT (prima parte)

In principio fu Uno. Anzi, la Uno: la compatta Fiat presentata nel 1984 a suon di “è scattosa, è comodosa” che spopolò nelle vendite per quasi dieci anni, divenendo l’icona dell’auto italiana. Poi fu la volta della Punto, regina della sua categoria fin dalla presentazione nel dicembre ’93, e ad oggi ancora presente sul mercato, arrivata alla sua sesta generazione. Quando arrivò nei saloni lei, la prima Punto, non ce n’era per nessuno: rispetto alle altre concorrenti del cosiddetto “segmento B” (la classe di auto intermedia tra utilitarie e berline), la Punto era esteticamente almeno tre anni avanti. Il motore Fire, orgoglio dell’ingegneria torinese fin dagli anni 80, era stato riveduto e perfezionato con l’inserimento dell’iniezione elettronica, mentre nella dotazione degli accessori abbordabili comparvero servosterzo, abs e airbag, optional riservati fino a quel momento ad automobili di categoria superiore. Certo, i freni erano quelli che erano, ma chiunque avesse avuto voglia di spendere meno di venti milioni delle ormai famigerate vecchie lire, avrebbe voluto una Punto, piuttosto che una Fiesta, una Polo o una francese dal design datato come la Citroen Ax o la (seppur mitica) Peugeot 205.

fonte: fotoalbum.virgilio.it

Negli anni successivi alla prima Punto, la Fiat sfornò modelli come le berlinette Bravo e Brava, la Coupé, la spider Barchetta e il monovolume Ulysse, rivolti a settori di clientela del tutto eterogenei e con l’ambizione di allontanare i fantasmi delle estetiche e delle meccaniche scadenti che avevano caratterizzato auto come la Regata, la Tempra, la Duna, la Tipo e la Panda (che mantenne tuttavia per vent’anni il dominio tra le citycar ipereconomiche, scalzando le “sorelline” Cinquecento e 126bis, l’una reinterpretazione moderna e quadrata del “Cinquino” anni 50 e l’altra riproposizione esasperata della ultracompatta presentata nel lontano 1972).

I nuovi modelli, ambiziosi e costosi, malgrado il discreto successo verranno dismessi dopo un paio di anni e non replicati. Venne leggermente ritoccata anche l’ammiraglia vincente Croma, prodotta in condivisione con Saab (dalla quale derivavano la Lancia Thema e l’Alfa 164), e fino al 1996 non deluse troppo in un settore di berline che vedeva l’inesorabile e costante avanzare dei marchi stranieri, da quelli tedeschi (oggi conquistatori assoluti) a quelli giapponesi, francesi e americani.

La Fiat di metà anni ’90, insomma, pur essendo sempre quella “auto di Stato” che si era contraddistinta, certo, per produrre vetture assolutamente economiche e con una buona fetta di aiuti pubblici più o meno malcelati, aveva comunque deciso di intraprendere un percorso dove i progetti di costruzione delle nuove auto le avrebbero permesso non solo di stare al passo coi tempi, ma anche di ambire a mantenere le proprie percentuali di vendita in un mercato che mese dopo mese andava sempre di più saturandosi.

Poi successe qualcosa. Nel triennio 1998-2001 esplose il caso Fiat, complice anche il peggioramento delle economie globali che aveva accompagnato l’arrivo del nuovo millennio, la casa torinese cominciò a essere sempre meno presente coi propri modelli, lanciando progetti poco felici, figli di un budget sempre più limitato, a sua volta risultato di una gestione imprenditoriale che non era riuscita ad adeguare la struttura dell’industria creata dagli Agnelli alle trasformazioni che tutti i mercati automobilistici del mondo, quello italiano incluso, avevano imposto.

fonte: www.okusato.com

Si susseguirono, così, anni di “buio”, nei quali la gamma, ad eccezione della intramontabile Panda e della rinnovata Punto (autentiche evergreen ma incapaci, da sole, di sostenere il successo di una casa automobilistica), era fatta di altri soli tre modelli: la Marea, berlina in crisi di identità a metà tra una Regata ed una Brava (prodotta anche in versione familiare), la Stilo (che nelle fantasie improbabili di qualche ardito progettista avrebbe dovuto dare filo da torcere alle sempre più vendute Vw Golf e Audi A3 e che si rivelò, a confronto, ben poca cosa), e la Multipla, audace rivisitazione della omonima Fiat 600 dei tempi che furono, che a dispetto dell’estetica abbastanza discutibile e della poca qualità costruttiva ebbe il merito di crearsi una nicchia di clientela alla ricerca di tanto spazio e tanti posti nell’abitacolo senza dover ricorrere ad un pulmino.

Nel 2003 scompariva Gianni Agnelli e la “sua” Fabbrica Italiana Automobili Torino assomigliava molto ad una enorme e un po’ arrugginita nave mercantile che continuava a navigare in mari agitati senza una rotta precisa, per giunta imbarcando acqua sotto forma di debiti verso banche e fornitori.

In quei mesi, Umberto Agnelli (che morirà l’anno dopo), decide di designare come consigliere di amministrazione al Lingotto un quarantenne manager italo canadese che si era fatto notare soprattutto in Svizzera, dove, in qualità di CEO, aveva risanato una multinazionale di servizi certificativi per poi essere nominato membro del board di UBS. Il suo nome, Sergio Marchionne. Lo stesso Marchionne che a giugno 2004 diviene amministratore delegato, mentre la Punto (la stessa del 1999) arranca, la Stilo vende poco e solo in versione Wagon, la Multipla si rifà il look e con uno sforzo di investimenti viene lanciata (finalmente) la Nuova Panda.

In quell’anno, il destino di Fiat smette di essere legato all’eredità storica del marchio e, alla ricerca di un porto sicuro nel quale approdare, entra nei grandi circuiti del business internazionale, dove prima ancora che col successo dei modelli prodotti, le case automobilistiche si confrontano con le borse, i pacchetti azionari, gli advisors finanziari e le alleanze multinazionali.

E così, Fiat approda al colosso statunitense General Motors, al quale intenderebbe vendere il proprio 51% per poter mettere a posto l’enorme voragine di debiti che pesa sul bilancio, ma gli americani, in seguito ad un pre-accordo che sembrava il miglior biglietto da visita per rilanciare l’azienda, ci pensano su, e danno tutto in mano ai legali, arrivando, anni dopo, ad essere disposti al pagamento di una penale di 1,5 miliardi di dollari (sic). La motivazione? Pagare la penale era comunque meno oneroso che accollarsi i debiti made in Torino.

Nel frattempo, la politica della casa sembra quella di voler puntare su modelli che richiamino i cavalli di battaglia del passato, e nel cantiere dei progetti entrano la nuova Croma e la nuova Bravo: la prima, che nulla ha a che vedere con la berlina anni 90, è una compact-wagon che non brillerà nelle vendite (piazzandosi più che altro come auto delle flotte aziendali) e che uscirà di produzione nel 2010. La seconda, destinata a dare battaglia alla nuova generazione della Vw Golf, sempre più dominante nel segmento di riferimento, non darà i risultati sperati, pur essendo ancora oggi in produzione.

Arrivò il 2006, quando, in occasione delle Olimpiadi invernali tenute a Torino, la Fiat si appresta a presentare al mondo quella che ancora oggi, dopo quasi 7 anni, è la vettura su cui la casa più punta, la 500. Contemporaneamente viene lanciata una Punto tutta nuova, chiamata addirittura Grande Punto, che pur non essendo rivoluzionaria nell’estetica e lasciando desiderare quanto ad affidabilità e qualità, andrà comunque a prendersi i suoi numeri nel segmento B, mentre alla Panda continua ad affiancarsi la vettura da città chiamata Seicento, che ottiene il peggior punteggio di categoria nei crash test del consorzio per la sicurezza Euro NCAP (uscirà di produzione nel 2010).

fonte: www.cuboauto.it

Il 2008 è alle porte, e la Fiat guidata da Marchionne vuole rifarsi l’immagine: via il marchio blu a stanghette diagonali e avanti al “ritorno alle origini”, la scritta argento su sfondo rosso, l’emblema della casa quando venne fondata nel 1899 da Edoardo Agnelli. Parallelamente, prende forma ufficialmente il Fiat Group Automobiles, con l’accorpamento dei marchi Lancia e Alfa Romeo anche nella rete di vendita. Iniziano a circolare voci di risanamento drastico per il futuro, e i sindacati non ci stanno, promuovendo agitazioni e scioperi negli stabilimenti storici, come Melfi e Termini Imerese, mentre Mirafiori (il cuore torinese dell’azienda) viene ridimensionata e alcuni reparti fermati.

E le auto?

A margine della gamma rimangono un Ulysse rivisitato (tecnologicamente poco competitivo) e il Doblò, un furgoncino adattato al trasporto persone con motorizzazioni ecologiche. A parte il restyling dell’Idea, una piccola monovolume uscita dal Centro Stile e di Torino e prodotta anche con marchio Lancia (Musa) e la Sedici,  4×4 prodotta insieme alla Suzuki, l’offerta di Fiat dopo “i fasti” degli anni 90 si catalizza tutta su tre auto medio-piccole: Panda, 500 e Punto diventano il vero (e unico) volto della casa torinese, alle prese con un piano di risanamento in fieri e ancora in cerca di un partner per garantirsi un futuro.

(continua qui)

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