Anne-Marie Garat e l’«al di qua» della Letteratura

Stanca della moda del Nouveau Roman o piuttosto nostalgica e affezionata al romanzo classico come genere inossidabile, Anne-Marie Garat ci racconta la storia di Grabrielle Demachy. La misura della formazione femminile di questa eroina dura una trilogia. Il quaderno ungherese (Il Saggiatore, 2008) è il debutto dell’avventura. Zoom: 5, Rue de Buffon, Paris, 1913. Gabrielle, giovane donna di origini magiare, ofrana dalla nascita, vive con sua zia, sans papiers, suo cugino Endre e Renée la governante dai modi bruschi e materni insieme. Ecco il ritratto domestico, almeno fino alla partenza di Endre. Partito per finire gli studi accademici, farà perdere le proprie tracce. Ma un giorno, le tre donne saranno messe al corrente della sua morte, per lettera, qualche parola ad accompagnamento della sua valigia rispedita dalla Birmania.   quaderno-unghereseReazioni differenti: Agota culla in silenzio la sua disperazione perché, in fondo, si sente rassicurata dal fatto che più nulla di male potrà succedere a (o essere occasionata da) suo figlio che, a causa del suo lato misterioso, le è sempre rimasto in parte estraneo come uno sconosciuto. Al contrario, Gabriella, vive il lutto del primo amore e, convinta che dimenticare equivarrebbe a tradire, decide di scoprire la verità. Nessuno, però, dovrà sospettare le sue intenzioni e dissuaderla: Gabrielle decide di condurre le proprie ricerche in gran segreto. Soprattutto perché nessuno saprebbe comprendere come una infatuazione per un giovane dal tempamento rebarbativo e indifferente si sia trasformato in ossessione, anche se tutto è molto semplice, chiunque può confermare che: «l’émerveillement du premier amour donnait tant de force, tant d’empire sur le monde et sur soi, galvanisait la puissance, dévastatrice, de la volonté». Di questa missione anomala, complice ambiguo sarà Michel, una spi ache si presenterà a Gabrielle come burocrate del ministero convincendola a diventare governante a casa dei Galay, la famiglia dell’ultimo uomo ad aver incontrato Endre ancora in vita e che presumibilmente conosce molte informazioni.   Chi è Pierre Galay: medico discepolo di Pasteur, vedovo discreto e riservato, trascura la figlia, la piccola Millie. Questa bambina triste nella sua solitudine è nondimeno ribelle e capricciosa in società, potremmo dire che si tratta di un carattere d’ispirazione bröntiana. Sarà lei a essere destinata alle cure di Gabrielle durante un soggiorno della famiglia nella magione di campagna a Le Mesnil. In quell’occasione, Gabrielle, sempre attenta a trovare tracce di Endre, riesumerà in effetti un diario di quest’ultimo, scritto in ungherese e anche qualche cortometraggio rudimentale.

Solo Gabrielle saprà tradurre questa lingua complessa, dalla melodia che ricorda una formula matematica, quasi cabalistica. Si tratta di un enigma che corrisponde ai bivi di una ricerca esistenziale ma anche stotica. In effetti, l’immaginazione combinatoria di Garat cuce insieme esperienza individuale e destino collettivo. L’autoeducazione interiore della protagonista rifletterà la sintesi della civiltà europea e il mondo esotico (visto dai Paesi dell’area mediterranea), poiché ci sarà uno sguardo straniero che permetterà agli europei di comprendere, in limine litis mondiale, la condanna pendente sul neonato XX secolo.   Il valore dell’alterità come topos attuale si sovrappone alla questione del crimine che è archetipo immanente alla macchina romanzesca, metonimia della condizione umana. Impudicamente e francamente la ragione è che «la vie des gens est imprévisible, il y survient tant de drames et de mystères. La vie des gens est pleine de bruit et de fureur. Y plonger comme au fond du puits peut déclencher des cris de joie, ou des larmes, réveiller des courroux, des haines. Déclencher des coups de feu et de couteau».   Ora, l’invenzione di un coro di personaggi femminili variegati – dall’anticonformista e talentuosa Dora (amica intima di Gabrielle) affine a Colette o Gertrude Steini, alla capitana d’industria Mathilde Bertin (nonna di Millie) emancipata, ma ancora lacerata dal doppio carriera-famiglia – corre in parallelo ai tratti delle figure maschili e di tutti i soggetti che in ogni tempo compongono una società multiforme che contiene tante pulsioni manichee al punto di rivelare la vocazione degli individui a generare anche il male e la barbarie. In questo ordine concettuale si pone il titolo originale del primovolume della trilogia Dans la main du diable che significa predestinazione malefica, artigiana di un destino oscuro è in questo caso la scrittura stessa, la main de l’écrivain-e. In modo similare al Serpente biblico che è entrato in scena proprio nell’Eden per dare inizio a una dinastia di mortali assoggettati alla tirannia del tempo – il potere della scrittura situa la storia nell’intrigo temporale della narrazione con un inizio e dunque una conclusione che è sempre il laboratorio confuso della creazione.

La vita manifesta e realizza le cose più stravaganti con un atteggiamento perfettamente naturale. Ma la vita prende anche il tempo che le serve; va come il sole, a velocità lenta, di tempi morti in lacune. E ciò nonostante così capricciosa, così casuale sembra la sua progressione, il percorso va a destinazione fatalmente in una maniera che ci rapisce, ci meraviglia e ci spaventa, in seguito, per la sua necessità.

L’engagement di Garat si manifesta – splendente – nel dono di una lettura che insegna un piacere, ma che è anche forma di conoscenza: lettore e autore, in connivenza di desiderio, compiono insieme una traversata per raddoppiare il mondo che abitano d’ordinanza e d’ordinario, scoprendo così una nuova dimensione che non è più divertissement, ma piuttosto un luogo profondamente vicino all’energia vitale, cioè amore. Esprit de finessenon romantico, piuttosto passionale: violento e potente come un soffio che tra le contraddizioni permette di riprodurre eternamente bellezza e significati attraverso i quali aiutare l’anima e continuare ad esistere. La vita ha un tempo e il tempo ha varie vite, vite infinite…

Perché la bellezza resta. Basta riconoscerla e diventa la nostra eternità. Il superamento della nostra condizione mortale è nell’arte, la favolosa varietà, il costo inaudito delle civiltà.

In Gabrielle si ritrova la fusione del ‘personaggio classico’ con il prototipo di eroina da fiaba, la grande riparatrice che vorremmo tutti conoscere e che vorremmo ci salvasse con la sua forza e il suo coraggio nonostante le fragilità. Feuilleton moderno, romanzo popolare alto, ma anche opera naturalista per la responsabilità assunta dall’autrice in relazione alla questione del realismo dell’opera: l’esigenza di credibilità sigillata dalla promessa di verosimiglianza è radicata in un sentimento storico in cui la documentazione e la fiction sono unite tanto nei dettagli più concreti, come quelli meteorologici che nei più sofistucati cliffhanger. Paradigmatico è l’episodio che si svolge a Venezia, Pierre in quanto medico deve assistere a un simposio d’immunologia al quale hanno realmente partecipato numerosi scienziati europei e russi. I sintomi che anticiparono la Grande Guerra e la collisione della borghesia con il popolo risaltano per via dell’eclatante contrasto tra la bellezza assoluta della laguna e la crudeltà dei sollevamenti anarchici storicamente tramandati come Settimana Rossa.  Ma non sono solo le raccolte d’archivio ad aver ispirato Garat, bensì anche i ricordi intimi sono preziosi, come delle vecchie foto con ritratti di silhouettes dell’epoca ma senza nome e senza identità precisa tanto da poter immaginare qualsiasi personalità con la fantasia che saprà riscattare quei ‘figuranti’ resi anonimi per eleggerli protagonisti di nuove storie.

Queste immagini dal formato di cartolina postale le si conserva nei cassetti di tutte le case, dentro agli album di famiglia, finché si perdono; le si disperde oppure è ben possibile che qualcuno le porti con sé un giorno, sottraendole dall’insieme. Assomigliano all’oblio su cui la memoria si accomoda, il fatto che si perdano non turba nessuno, cosa importa. Immagini senza legenda, né didascalia, senza data, anonime per tutti salvo per coloro a cui appartengono e a cui ricordano qualcosa.

Infine sono interessantissimi gli elementi del picaresco (per esempio, la descrizione delle domestiche dedite alla cura della casa incontra una parte della genealogia di Garat); i dati autobiografici (come la passsione per il cinema, materia che Garat ha insegnato per anni) e le suggestioni colte: possiamo percepire il ronzio delle api di Emily Dickinson; incontrare il jamesiano marito di Mathilde, e il riferimento a Agota Kristof (per la scelta del nome, delle lingue, del trittico formato dai suoi Diari). Sono libere associazioni, ma che ritornano insistentemente, come fossero proprio reali. E poi, dovremo leggere il secondo volume per sapere se Pierre, il nuovo amore di Gabrielle, sopravviverà al fronte, e a questo punto è proprio impossibile non ripensare a Hans Castorpche si perdeva nel campo di battaglia.

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