APPLEOID o ANDRAPPLE?

Quando Android fece la sua comparsa nel 2008 in dispositivi pioneristici come l’HTC Dream, brutto ma nuovo, noi utenti col telefonino sempre in mano non sapevamo neanche che cosa fosse quel sistema operativo. Si vociferava che nascesse da un’idea di Google, che fosse basato su codici sorgente open source di matrice Linux e che avesse un che di intuitivo e rivoluzionario, ma, dato che fino a quel momento c’eravamo goduti così tanto i nostri Nokia, i nostri Samsung e i nostri Motorola, l’unica cosa “nuova” alla quale guardavamo (con ammirato scetticismo) era quell’aggeggio chiamato iPhone che faceva “tanto figo” e che costava come un pc fisso coi controfiocchi.

Poi le cose iniziarono a cambiare abbastanza rapidamente, e mentre le vendite dell’iPhone continuavano a salire senza fermarsi, si cominciò a parlare di smartphone come di penne Bic, e se non avevi in tasca un cellulare in grado di farti leggere le mail o di connetterti a Facebook (che non potevi non avere visto che tutti avevano trasferito lì la propria residenza), significava che cominiciavi a essere un po’ obsoleto.

Nello stesso tempo l’avanzata di quell’oggetto misterioso di Android proseguiva, e mentre nei blog specializzati e nelle riviste di tutto il mondo l’attenzione verso il robottino verde aumentava, negli scaffali dei centri commerciali iniziarono ad arrivare sempre più telefoni che lo adottavano.

La prima cosa che saltò all’occhio ai meno schizzinosi era che, a dispetto dell’estetica dei terminali non sempre eccellente, il nuovo sistema operativo era effettivamente parecchio intuitivo, veloce e completo e, seppur con diverse somiglianze rispetto al cugino di lusso della Mela, il fatto di dover abbandonare i tastini per dare delle ditate nello schermo e aprire funzioni su funzioni prima inimmaginabili, non era poi tanto male.

Inoltre, cosa non trascurabile, c’era il prezzo: se ti accontentavi, un terminale “androide” lo portavi a casa con una cifra 4 volte inferiore a quella dell’iPhone super ganzo, e ti ci divertivi allo stesso modo (per i veri geek, molto di più, perché la piattaforma software di Android era ed è modificabile in lungo e in largo).

Questo era, insomma, il nuovo spirito: offrire uno smartphone realmente smart, nei contenuti, nel prezzo e nella qualità.

Nel giro di tre anni, mentre gli iPhone diventavano sempre più evoluti, dal 3Gs, al 4 al 4s, Android sbaragliava la concorrenza dei produttori di sistemi operativi, spazzando via il Symbian di Nokia, praticamente cancellando Motorola (poi ricomprata da Google) e costringendo Samsung a montare il robottino verde sul 90% dei propri terminali per “tenere botta”.

E infatti il 2011 è l’anno delle conferme: Apple in vetta alle classifiche, ma le percentuali di vendita di Android raggiungono livelli quasi minacciosi, con una media di 200 mila dispositivi attivati ogni 24 ore. Ormai lo smartphone di fascia media è un device Android, che deve il proprio successo anche e soprattutto grazie a quei produttori come Htc e Samsung che si sono messi a produrre telefoni in grado di fronteggiare senza paura sua maestà il Melafonino.

Grazie alle nuove versioni del sistema operativo, grazie alle funzioni di market sempre più estese, i dispositivi su base Android registrano un successo clamoroso senza perdere mai l’originario spirito col quale si erano affacciati ai mercati di tutto il mondo…o quasi.

Già, perché in questi mesi, leggendo le classifiche di vendita, e con un occhio ai listini prezzi, ci siamo accorti tutti che i modelli top di gamma delle case “anti Apple” (Samsung in testa), hanno proliferato, schizzando di prezzo fino ai 700 euro, e divenendo, in questo modo, dei semi-cloni dell’iPhone. Il successo di Cupertino nell’imporre uno status-symbol col proprio smartphone, che inizialmente era stato acquisito dagli altri produttori come stimolo per costruire una alternativa effettiva a quel dispositivo, si è trasformato, nel tempo, in “modello” da seguire, finendo per creare smartphone con costi equiparabili a quelli dell’iPhone, con funzioni equivalenti e in alcuni casi con estetiche troppo ammiccanti a quelle della Mela.

La colpa è del mercato, direbbe qualcuno: già, perché l’anti iPhone per eccellenza, il Samsung Galaxy S III lanciato pochi mesi fa a 699 euro ha già raggiunto quota 30 milioni di esemplari venduti con una crescita del 9% nel terzo trimestre di quest’anno, a fronte di un iPhone 5 che nel solo primo weekend di lancio ha totalizzato 5 milioni di unità.

E mentre i duellanti si sfidano, si fanno avanti gli altri produttori che hanno subodorato la possibilità di far decollare le vendite con prodotti di questo tipo: non è il caso di Htc, che incassato il colpo delle deludenti vendite del suo One X, sta ampliando la propria gamma puntando tantissimo sul nuovo terzo incomodo, ovvero Microsoft, che ha presentato il suo Windows 8 Mobile, pieno di colori e finestrelle parecchio allettanti. È invece il caso di Sony, che annuncia l’uscita dello Yuga, rivale diretto di S3 e iP5, in arrivo nella prossima primavera.

Questo, mentre Apple si prepara a produrre l’iPhone 5S già nel periodo natalizio, in una folle rincorsa al “nuovo modello del modello nuovo”, che però sta dettando legge a tutti gli altri ormai da qualche anno.

In economia tutti sostengono che i numeri parlino: i dati di vendita degli Android di oggi, confrontati con quelli dei moderni iPhone, ci dicono, allora, che non importa più scegliere una piattaforma in luogo di un’altra. La differenza di prestazioni, di funzioni e di qualità si assottiglia sempre di più, come quella del prezzo che è l’indicatore più sfacciato di quello che il mercato chiede. E il mercato parla chiaro: non importa Android o Apple, importa solo che noi compriamo, e infatti se Apple alza la posta, i produttori Android rispondono.

Sullo scaffale, l’appartenenza ad una “fazione” piuttosto che ad un’altra svanisce, tutti offrono un prodotto sempre più caro, che fa sempre più cose, le stesse in entrambi i casi. L’alternativa smette di essere tale, e come in un cerchio magico le estremità opposte si uniscono, l’importante è che noi acquistiamo, e che loro vendano. Possiamo davvero dire che ancora oggi abbia senso parlare di scontro? O la rivalità è creata per far sì che siamo noi ad innamorarci dell’una o dell’altra parte, convincendoci che davvero valga la pena sceglierla perché tanto diversa e migliore?

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