Artisti di strada

Uno dei maggiori pregi delle chiacchierate digitali che faccio con gli amici più o meno lontani è la risorsa del link esterno. Durante uno dei nostri ultimi aggiornamenti via internet, Pietro mi linka un sito in particolare: hel-looks.com.
“Hel” è l’abbreviazione di Helsinki: i look (che oggi si chiamano outfit) che appaiono lì raccolti sono infatti stati immortalati per la via della città finlandese. Non mi serve scorrere a lungo le pagine del sito per rimanere spiazzata (nonostante la doverosa premessa di Pietro) e torno a rileggere il titolo: hel-looks assomiglia molto (un po’ troppo) a hell-looks, dove hell (che è letteralmente l’inferno) potrebbe anche essere un po’ il what the hell che mi è scappato non appena la pagina si è caricata.
Ma torno ai link. Il digitale, si dice, rende la mente più veloce: mentre scorro le facce e gli abbinamenti dei finlandesi mi rendo conto che nella mia testa si sono aperti moltissimi pop-up, tanto che mi sento costretta a fermarmi per un momento. Solo a questo punto mi rendo conto dei collegamenti che i miei occhi e la mia mente hanno fatto fino a un attimo prima in automatico: hanno selezionato, tra la marea di accostamenti e di materiali che sono apparsi nel ricchissimo archivio di hel-looks, solo quelli che “funzionano” con il mio, di archivio.
Questo è quello che ne è saltato fuori, direi.

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Il primo look che mi colpisce e comincia a farmi lavorare di memoria è quello indossato da Hanna: è visibile una fantasia a fiori, di quelle che appena spunta il primo sole primaverile (no, il film non l’ho visto. Come la maggior parte dei film, ops) riempiono vestiti e vetrine, ma io in questo abito ci leggo chiaramente un Van Gogh. Parlo con una delle coinquiline, che mi fa notare che questa tela in particolare è appesa in casa. Il mio primo link, che fino a un attimo prima aveva il fascino del perfettamente casuale, ha in realtà funzionato per déjà-vu.

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Il secondo ha un po’ il sapore del manuale di Storia dell’Arte delle scuole medie: le tinte dell’abito di Bubble sono un delicato omaggio a Monet.

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 Dopo Monet, vado a caccia di un  Manet: Salla potrebbe incarnare senza difficoltà una delle tante delicate fanciulle che popolano i quadri del periodo impressionista.

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Il richiamo alle Ballerine di Degas, invece, è reso un po’ troppo facile e meno gustoso dall’evidenza del tulle di Hanna, ma il gioco di richiami  Monet-Manet-Degas è comunque invitante e non me lo lascio sfuggire.

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Mi dà più da pensare invece Iiris: il blu così acceso ha un che di Rinascimento italiano, ma il capo appena inclinato e l’espressione ammiccante me la fanno alla fine affiancare alle leziose damine di Fragonard.

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Di qualche secolo dopo è invece Ninni, che è uscita inequivocabilmente  dalla belle époque di Giovanni Boldini.

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A proposito di inizio Novecento, Frida omaggia chiaramente il pranzo degli operai americani fissato nello scatto di proprietà della Corbis Image.

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 A posto la classe operaia, la borghesia è tutta nello stile di Janne, che deve avere appeso un Magritte da qualche parte in casa. Non provi a negarlo.

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 Sara potrebbe essere invece la versione più casta della Salomé di Henri Robert. Un ulteriore salto, dal sacro al profano: se pensate che le due ragazze qui sotto si siano vestite scegliendo colori, materiali e stampe a occhi chiusi (e non sto parlando di abilità), ebbene vi sbagliate. Quale tributo più diretto e ammiccante di questo a Jeff Koons, Nostro Signore del Pop-già-quasi-troppo-Kitsch?

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Lo sa bene Maria che il blu e il fucsia sono due tra i colori preferiti dell’artista. Pensate anche ai suoi Balloon Dogs: come questi o questi.

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Mentre Johanna, vestita come una bambolina, richiama, complice sicuramente il palloncino rosa (è troppo perfetto per essere casuale, a questo punto ne son sicura − che tocco di classe) la scultura gonfiabile del Flower and Bunny. 

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A un altro grande del Pop si è invece rivolta Katja, la cui giacca e i capelli sembrano studiati e realizzati personalmente da Roy Lichtenstein.

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Dal Pop americano al Suprematismo russo: la vicinanza geografica innegabilmente pesa e penso subito a un Malevič per Laura.

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E in ultimo: se fino a un attimo fa pensavate anche voi che il color-block fosse un’invenzione recente dell’industria della moda, permettetemi di dissentire con tanto di prove fotografiche: ci aveva già pensato Rothko, rappresentato per le vie di Helsinki da Jenni e Laura (sopra) e ancor più fieramente da Sirpa (sotto).

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