Brasile, Polonia, universo… Salon du Livre de Paris

Bello, bello, bello. Ad essere sincera lo immaginavo diverso, più rigido, più algido, un po’ distaccato, invece sono stata piacevolmente sorpresa da un’atmosfera décontractée, una festa, la spontaneità di una comunità letteraria che si mescola alla realtà dei lettori appassionati e amanti di storie che offrono questa cittadinanza al mondo senza frontiere o che fanno vivere tra – sui confini per immaginare terre umane, non per forza lontane, comunque da noi inesplorate. Non è mancata la presenza degli autori e delle scrittrici più noti al pubblico, ma accanto alle étoiles più rinomate – come la talentuosa Tatiana de Rosnay – si dispiegava un percorso eccezionalmente multietnico che mi ha fatto sognare di viaggi oltre che di parole.

Iniziamo ricordando che all’onore dell’evento è stato scelto il Brasile. Le Lettere brasiliane sono da tempo – sfatato il realismo magico – concentrate sulle realtà più brutali che fanno di un popolo un binomio culturale che è più propriamente un divario apparentemente incolmabile, antipodico e antagonista. Le città sono spesso al centro di queste linee di demarcazione sociali e ambientali e, infatti, è proprio nell’ambito urbano che in molti romanzi si svelano le istrioniche qualità di un popolo: rappresentante mondiale dell’allegria carnevalesca e giocosa per antonomasia, il Brasile ha anche lati di intensa melanconia, di angosce ereditate dal peso di una storia tormantata da massacri coloniali, schiavismo, dittatura, violenze sociali e economiche. Il riscatto è spesso nella tendenza all’evasione, cancellare il passato – intellettualmente – per bramare il futuro. Baratri e potenziali. Dai baratri i potenziali. Trasformare incessantemente attraverso un linguaggio affinché il portato linguistico formi un terreno fermo, non franante che renda tracciabile un confine, in questo caso non geografico, temporale. C’è un prima, e ora si sta qui e si va avanti.

Una letteratura salda, contemporanea, che si è imposta e si esprime in tutti i generi. In sottofondo un tarlo: quale senso trovare in (imprimere a) una società di massa, a questo mondo di apparenze, di effimeri in cui gli individui, consumatori – consumanti resi merci – diventano tanto spesso predatori?

Silenzi, mitologie, allegorie e segreti. Dietro alle maschere, quanti vuoti, illazioni, salti di senso, buchi. E le bugie? Non le bugie, le manipolazioni, i non detti. I segreti.

«Quando verrete a cercare ciò che il passato ha sepolto sappiate che sarete alle porte di una terra dove la memoria non può essere riesumata perché il segreto, che è il solo bene che ci si porta nella tomba, è anche l’eredità che si lascia a quelli che restano.»

Questa è la storia di Nove notti di Bernardo Carvalho, l’inchiesta attorno ad un suicidio: un antropologo nord-americano si toglie la vita, senza altre spiegazioni, ma senza “plausibili spiegazioni”, Bernardo Carvalho brasileinizia a porsi troppe domande, fino all’ossessione, fino a decidere di condurre un’inchiesta che ci restituisce di un uomo le sue paure inespresse, la sua personalità soffocata, i suoi desideri taciuti, irrealizzati. Un uomo solo su un territorio straniero: quello delle sue dipendenze (e non è un ossimoro).

Rudi lettere brasiliane, vicine ad un’altra invitata d’onore: la Polonia. «La nera Polonia di Zygmunt Miloszewski», paese che adora i gialli, i romanzi polizieschi e noir! I thriller più amati sono quelli di Joanna Chmielewska, e attualmente il successore di questa penna spietata è il giovane scrittore Miloszewski che ha firmato una avvincente trilogia sulle indagini del procuratore Teodore Szacki. poloniaLe sue trame mescolano fatti di cronaca a fiction per esplorare le zone d’ombra della nazione. Maggiori ispirazioni vengono dall’ironia di Kurt Vonnegut, dalle strutture d’azione di Pierre Lemaitre e dal realismo di Bernard Minier. Nell’empireo non può mancare il genio delle dissimulazioni pianificate, lo svedese Henning Mankell. Il carattere di verità dei suoi testi risiede nell’evitare magistralmente la tentazione di voler correggere il passato, le menzogne, ad esempio, quelle che hanno fatto parte della storia di molti dei nostri paesi europei. La chiave politica si ritrova anche nei riferimenti alla multiculturalità; scomparse le minoranze ucraine e russe, se ne sente la mancanza, si rimpiange un’omogeneità rassicurante, ordinata, però sterile, creativamente “parlando”, nella quotidianità.

«Il giallo è come un buco della serratura attraverso il quale si scopre la società come è, le sue zone d’ombra, i problemi che, sotto la superficie, non ha mai risolto. Non sono mai stati risolti.»

Allora, già che ci siamo, perché non parlare di Sette anni di felicità scritto da Etgar Keret. Una raccolta di novelle autobiografiche di un autore israeliano. Fluorilegio di racconti brevi il cui filo conduttore è la nascita del figlio. Con umorismo, Keret, mette a disposizione i propri pensieri a proposito dei problemi del mondo contemporaneo, quelli più urgenti, i fantasmi che infestano la nostra coscienza: terrorismo e antisemitismo.

bonheurL’ironia lascia spazio alla gravità. Alla fine di tutte le nostre battaglie esistenziali, come individui, cittadini, scrittori, lettori ci viene rivelato che il cammino non è mai la creazione di un nemico vago, esterno, discriminabile; siamo noi, i nostri schemi negativi, le nostre aggressività sabotanti; siamo noi allora, durante questo viaggio interiore a dover ristabilire un contatto con noi stessi. Prima della pace, il cuore che si apre alle emozioni, quelle della riscoperta, della necessità di punti di riferimento, del legame con la famiglia, le distorsioni e le nuove leve che si mettono in funzione nel nostro essere. keretNel caso di questi anni di felicità, Keret ci dà conto del suo va e vieni dalla Polonia, terra natale di sua madre. Paese che lo accoglie per le presentazioni delle sue opere, un inteso e frequente scambio con i suoi lettori. Così, a Varsavia ritrova la casa della sua famiglia. Il momento del risorgere dei sentimenti di appartenenza. Ma cosa ci appartiene veramente?

Quello che eravamo. Quello che siamo diventati. Abbiamo preso il largo. E ci ritroviamo qui, con una borsa in cotone piena di queste tre piccole perle. Prendere il largo è il dono magico del Salon du Livre di Paris, in una Parigi che – non poteva che essere l’autrice di questo articolo a concludere così fanaticamente – non delude mai.

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*Salone del Libro di Parigi – Porte de Versailles, dal 20 al 23 marzo 2015.

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