Conversazione con il bibliotecario del monastero di Camaldoli. Che cosa significa che un dio si è fatto uomo?

È appena passata la Santa Pasqua ma la foresta che cinge il monastero di Camaldoli nel Parco Nazionale del Casentino sembra respirare senza far caso agli avvenimenti mondani e ultramondani. Il sole occhieggia solo raramente tra le nuvole grige e pare che ancora non si possa immaginare una primavera imminente, fa freddo nel bosco che mille anni fa ha visto sorgere nel suo cuore l’Ordine dei Monaci Camaldolesi e tra i torrenti e i sentieri ombrosi si induriscono ancora sparuti cumuli di neve.
È qui che San Romualdo, dopo tanto peregrinare, decise di prendere dimora con la sua interpretazione del monachesimo benedettino unendo in una stessa struttura la solitudine dell’eremo e lo spirito comunitario del monastero.

camaldoli1Nel parcheggio di fronte alla farmacia/libreria/caffè gestita dai monaci ci aspetta il bibliotecario del monastero che, senza la consueta tunica bianca e con voce pacata, ci introduce all’interno del portone dove spicca il simbolo della congregazione, due colombe che bevono alla medesima fontana. Mentre attraversiamo il piazzale di pietra il cielo si apre e la chiesa e le abitazioni dei monaci immerse nel verde umido della foresta alle spalle si illuminano nel silenzio circostante.
Adesso sono poco più di cento i monaci camaldolesi nel mondo da quando lo Stato si è proclamato laico e questa è la loro sede originaria.

Veniamo introdotti nella biblioteca ed è come attraversare un portale temporale: al suo interno, disposti ordinatamente sugli scaffali, decine e decine di volumi secolari; da centinaia di anni queste stanze sono il centro di un attività umanistica che ha fatto di Camaldoli un fulcro di cultura ecclesiastica e profana. Sul grande tavolo centrale vengono aperti e sfogliati trattati del Valla, mappe ignare dell’esistenza di continenti non ancora scoperti, tomi proibiti e proibitissimi, come quello contenente le dottrine gianseniste, e libri che coniugano l’aramaico col latino, il greco con l’ebraico e con l’arabo.    Un patrimonio che si continua ad arricchire di nuove scoperte grazie alla passione che riluce negli occhi del nostro bibliotecario mentre ci spiega i segreti e le storie che si celano nelle spesse copertine e tra le ruvide pagine dei suoi prediletti.

Appena usciti dalla biblioteca gli proponiamo uno scambio di opinioni mentre il tramonto gronda già sulle colline. Acconsente, a patto che si resti anche a cena col resto della congregazione, ci fa accomodare dentro ad una piccola stanza non distante dal refettorio, si siede, accavalla le gambe e intreccia le dita.

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Qual è stato il percorso che ti ha portato a diventare il custode e amministratore di una delle biblioteche meglio conservate della cristianità?
La mia vita è passata attraverso altre cose, non sono stato sempre qui. Ho studiato lettere a Pisa e durante gli studi ero anche volontario in una comunità di recupero per tossicodipendenti, in un contesto religioso ma con tanti dubbi ancora, ed ora sono quattordici anni che sono qui. Mia madre era molto credente e ammanicata con la Chiesa per tradizione di famiglia e tutti facevano volontariato a casa, ma non è per questo che mi trovo dove sono adesso, io sono uno che ha preso il treno a diciotto anni e poi non è più tornato a casa.
Arrivai qui proprio con i ragazzi della comunità, l’ambiente mi piacque molto e vi rimasi, conoscendo il vecchio bibliotecario poi mi resi conto che questo era il mio posto. E se mi chiedi se mi sono pentito mai di questa scelta ti dico che certo, le convinzioni che ci fanno rimanere non sono le stesse che al tempo ci fecero entrare, ma i cambiamenti non ci devono spaventare, dobbiamo sempre accompagnarli un passo alla volta.

Il tuo impegno al monastero è molto simile a quello di un ricercatore, come si può coniugare lo sguardo dello scienziato con quello del monaco?
Cominciamo col dire che isolamento, fede e “hora et labora” non si contrappongono necessariamente al progredire del tempo. A me personalmente il caos della modernità piace e mi sembra assurdo pretendere di voler conoscere un mondo, quello della fede, senza conoscere anche l’altro, il profano; soprattutto nella ricerca dove non bisogna temere di andare contro la tradizione, nel senso che ogni tradizione è buona per l’epoca in cui si formula.
Questa separazione tra scienza e religione è cosa recente, è dall’Ottocento in avanti che la Chiesa si è chiusa in un modo che non ha precedenti nella storia. Un tempo la Chiesa voleva dire anche pluralismo, plurilinguismo ma senza dubbio tutto dipende dal secolo e dalle condizioni in cui ha potuto operare.
C’è stata una regressione cominciata con la nascita dello stato laico e più indietro con l’Editto di Nantes dove si specificava come il mondo camaldoli3religioso appartenesse soltanto alla sfera dell’interiorità tanto da poterne fare anche a meno, un interiorità che ormai ti cambia e non ti cambia. Questo concetto a mio avviso è da rivalutare perché nell’epoca moderna il contatto col sé è molto importante; ricordiamo Platone per il quale il dialogo non è dialogo con l’altro se non parte prima da un dialogo con se stessi.

Ma in una congregazione come questa che comunque resta legata al Vaticano…
Ah ecco! Lasciamo stare il Vaticano. La Chiesa non è il Vaticano. La Chiesa è gli uomini e le donne che vivono una tensione spirituale.
Per la vicinanza tra Chiesa e scienza ti posso fare il nome di Guido Grandi, amico di Newton, accademico alla Royal Society all’inizio del ‘700, e colui grazie al quale facciamo ancora i conti con l’infinito in matematica. Lui era camaldolese e si occupava di matematica come religioso.
Ripeto, non è che il nostro essere religiosi impedisca alla nostra intelligenza di progredire perché esiste il dogma, io credo che chi ha sviluppato un piano spirituale abbia anche l’intelligenza di spingersi oltre quello che è il dato di studio normale.
Non facciamone una questione di etica e di morale, la mia etica e la mia morale sono rette dal momento in cui io capisco quanto è bello ciò che è stato creato e lo studio per questo come una forma di entrare in contatto con ciò che c’è.

Quindi a cosa serve il dogma?
I dogmi sono dei paletti, sono dei punti che ti aiutano a tracciare una rotta. Però il timone lo reggi tu, con quei punti puoi tracciare una rotta diversa e scoprire cose diverse.
Poi, in fondo, il dogma vero è uno solo: “Cristo vero uomo e vero Dio”. Fine. Cioè, che cosa significa che un dio s’è fatto uomo? Che ciò che Lui ha creato in principio era male e il dogma ti deve servire a costruire una concatenazione, non in maniera vincolante ma in modo da poter conservare una traccia, un’evoluzione. Il Dio della Bibbia che crea e distrugge le città non è che un linguaggio. Allora il problema è che la Bibbia è storicamente vera non perché usi un linguaggio proprio dell’epoca in cui è stata scritta ma perché in fondo un messaggio c’è.

camaldoli5E secondo te adesso che messaggio ha voluto dare la Chiesa con l’elezione del nuovo Pontefice? Un segnale pilotato di umiltà che rompa con il suo presente troppo manifestamente avido e corrotto?
No no no. Quella è stata semplicemente l’espressione del cristianesimo nella parte dove ci sono più cristiani, l’America latina. Sono loro la maggioranza adesso e se vai laggiù ti rendi conto di cosa possa voler dire essere prete là, è tutta un altra cosa.
Si tratta solo di aderire a un messaggio cristiano che è quello del rispetto soprattutto per i piccoli, e questo lo trovi anche nel primo Testamento: il popolo viene condannato ogni volta che si dimentica dei poveri, delle vedove. Questa è la maggiore condanna, che non si costituisca sulla Terra un grande se non per difendere i piccoli. E non si tratta solo del popolo ebraico, se leggi Isaia ti rendi conto di come in lui ci sia già un apertura universale, vedi come cominci a parlare di un dio che non è soltanto quello del suo popolo; siamo nel IX secolo avanti Cristo e il nostro Dio perché non avrebbe dovuto scegliere il linguaggio di quell’epoca? A che uomo avrebbe parlato?

Ma se considerassimo la religione come l’evoluzione dell’uomo attraverso il contatto con un dio, l’incarnazione non potrebbe essere il momento in cui l’uomo decide che è tempo che dio si faccia uomo?
È vero e non è vero. Sai perché? Io ho conosciuto Telmo Piovani, il filosofo delle scienze autore di Creazione senza Dio, e quello che emerge sempre è come non si tratti di negare Dio, perché in fondo Dio serve o non serve?
Se l’evoluzione non si basa sulla ragione del più forte ma è un insieme di fenomeni concomitanti per cui è data la vita, non è però detto che la vita si sia dovuta dare necessariamente in questa maniera. Bisogna arrenderci al fatto che c’è un equilibrio sottilissimo e che tu ci metta o camaldoli6meno Dio, non è questa la cosa interessante. Quello che più interessa è che ci sia nell’uomo questa tendenza all’infinito. Facciamo un esempio stupido, una staccionata può essere al contempo un limite e un orizzonte, se è un limite ci muori dentro, se è un orizzonte sei in grado di proiettarvi dentro tutte le immagini possibili che possono aiutarti a campare: illusioni di cui ogni uomo ha bisogno per costruire un ambiente in cui vivere…

(qui si odono dall’esterno pochi rintocchi di campana, è il segnale per la cena che viene imbastita nel refettorio, vi prendiamo parte assieme al capo della congregazione e agli altri monaci tra cui un cinese e un paio di africani, postulanti provenienti dagli altri monasteri. Il pasto è frugale ma non misero, preparato da alcune signore nella grande cucina adiacente. Si parla poco e si ride, poi, dopo una semplice preghiera, tutti si eclissano nelle proprie stanze, tranne noi che rientriamo a continuare il discorso con la pancia più piena mentre fuori è da poco calata la notte).

camaldoli7Durante la cena, sembra ridicolo a dirsi, ma sembravate davvero persone “normali”. Qual è allora la differenza, poniamo, tra il monastero e una casa in cui dei giovani decidano di isolarsi per studiare insieme, lavorare e ricercare la trascendenza? Solo il fatto che il monastero si può sostenere economicamente attraverso il laboratorio, il negozio e le generose offerte? C’è insomma davvero questo bisogno di una figura divina per poter essere monaco?
Più che una persona divina c’è bisogno di percepire una trascendenza.Nel ricercare la trascendenza mah, non è che si tratti di isolarsi per sfuggire al mondo come da un luogo pericoloso; ritirarsi non è isolarsi ma entrare in una dimensione nuova che è quella dell’ascolto. Affini l’ascolto per poter arrivare al divino, non si giunge a Lui semplicemente perché esiste o perché le verità della fede sono evidenti. Non sono evidenti per niente se uno poi non si esercita nell’ascolto.
Prendiamo l’ascolto in un senso più lato come obbedienza a un progetto: obbedire a un progetto di vita affina di molto le doti spirituali di una persona. Guarda gli anziani che in Oriente esercitano la calligrafia con un pennello ad acqua; non rimane niente però rimane la tecnica del movimento che è qualcosa che ti aiuta ad entrare in una dimensione che altrimenti rimane altrove. Leggendo le mistiche come Teresa d’Avila, e come lei tutti i mistici più o meno, si evince come all’interno dell’uomo vi siano una quantità di stanze segrete, ma nell’ultima stanza ci entri soltanto su invito, solo se rispondi a questo invito interno. La logica del dono è una logica per cui tu stai dentro qualcosa più grande di te e devi compiere un cammino per arrivare lì, entrare dentro questo reparto significa aver affinato il proprio sentire, il proprio ascolto.

camaldolu8Ma perché deve esser proprio la stanza di Dio quella che va raggiunta per ultima per poter essere “completi”?
Ci sono dei momenti in cui può accadere qualcosa a una persona per cui comincia a porsi delle domande fondamentali, le domande fondamentali non sono necessariamente da dove vengo? cosa farò? Sono le TUE domande fondamentali, quindi non chiedersi chi è Dio ma chi sei tu stesso. Non andiamo subito su Dio perché il dio dei filosofi è un conto ma il Dio delle Sacre Scritture ha un altro principio.
Mettiamola su questo piano: quante volte nella tua vita hai sperimentato l’affidamento, essere collegato ad un altro tanto da poter dire che la tua solitudine ha conosciuto qualcuno? Perché in fondo Dio non sta fuori da questo. Il Dio del Vecchio Testamento è un Dio di relazione e nella relazione ci possiamo inventare anche delle immagini, cosa a cui Dio si presta tranquillamente. Ma il problema vero è questo: quante volte noi siamo entrati veramente in relazione con qualcun altro. Questo è molto, molto importante.

Ma questo affidamento non è sufficiente trovarlo sulla terra, ad esempio in un uomo o una donna a cui legarsi per la vita?
Ma il Dio del Primo Testamento non ti dice di trovarsi fuori da questa terra, questo non è merito della filosofia greca, è Lui che ti dice che sta proprio lì dentro. Perché in tutto il Vecchio Testamento si usa solo la metafora del matrimonio? Nel cantico dei cantici ad esempio non c’è una sola volta la parola Dio. Si parla di una relazione ma di una relazione ultramondana, perché Dio dovrebbe creare il mondo evitando queste relazioni?
camaldoli9Quindi quando noi parliamo di relazioni non si tratta di uscire da questo mondo, probabilmente è entrare in questo mondo secondo una logica per cui le relazioni sono fondamentali. L’unico comando del Nuovo Testamento è “ama il prossimo tua come te stesso” e in esso è concentrata tutta la legge, questo significa che noi non possiamo fare a meno della relazione fondamentale e vediamo nell’altro l’impronta di Dio.   Cioè, Dio non ha mai scelto un mondo diverso da questo, non ci dice di vedere l’altro come qualcosa di diverso perché Dio stesso è nato, cresciuto e morto. Non c’è nel Nuovo Testamento una storia in cui Dio ci dice di essere l’origine, perciò se incontri un’altra persona nella sua sincerità, nella sua autenticità, come puoi dire che quella persona non può rappresentarti in qualche maniera, non ti dico l’immagine, ma quel Dio che poi in fondo è qui dentro di noi?

E se questo alla fine è il principio del tutto, che bisogno c’è del culto?
Il culto non serve per entrare in contatto con Dio ma per lodarlo, il fondo dell’Eucarestia è la memoria dell’uomo che ti ha salvato. Non come memoria storica ma come ricordo che fa scaturire un piacere simile a quello che provi nel leggere un romanzo: è vero quel piacere perché lo senti, perché sei tu dentro a quella storia, ti emoziona. Lo stesso vale per il canto gregoriano, non sono solo canti canonici ma soprattutto una partecipazione sentimentale in quello che fai, non possiamo escludere l’umano dal sacro perché altrimenti escludiamo quasi tutto, è questo il nostro linguaggio e non possiamo evitarlo.
Penso a quando ero volontario in quella comunità di cui ti parlavo prima, là ho vissuto una bellissima esperienza umana ecco, umana. La testimonianza di Dio lì era l’aiutare una persona che attraversa un percorso difficile. Non servono fiumi di parole basta la semplice esperienza di accompagnare qualcuno, stare con una persona che riprende vita, beh, quella è una grazia.

camaldoli12E la morte?
Quell’uomo con la sua morte ci ha preparato il famoso luogo dove tutti i figli vengono salvati. Ma non solo i buoni, la Chiesa non è una vita per i giusti, essere un uomo di fede non significa essere un giusto; la giustizia viene solo da Dio, l’unica cosa che ci viene detta è di non nuocere al proprio vicino. Molti contravvengono a questo dettame ma questo accade quando tutte le nostre passioni sono concentrate su noi stessi: pathos alla greca che si coniuga in bene o male a seconda della destinazione che gli dai; un pathos cattivo è un pathos che distrugge prima te e poi chi ti sta vicino, un pathos buono è un pathos che coltiva la tua vita e quella di chi ti sta vicino.
Sono scelte di vita e non c’è chi è cattivo davvero e si diverte a fare del male, quella è già una persona che soffre in sé. Esiste un male metafisico? Non lo so, non mi interessa, esiste però un inclinazione distruttiva del pathos buono: possiamo essere padri e madri come possiamo essere assassini dei propri figli.
E questa attitudine nasce certamente dall’influsso dei genitori e da un interpretazione sbagliata dei segni che ci stanno intorno. La difficoltà di scegliere l’azione giusta pur conoscendola dentro di noi risiede nelle inevitabili difficoltà che incontriamo con noi stessi, difficoltà nel mantenere una coerenza che non si aggrappi alla semplificazione ma che rivaluti la complessità come possibilità di mantenere dentro di noi tutti quegli aspetti che spesso e volentieri non vediamo, che facciamo fatica a percepire in noi stessi. Se non manteniamo questa complessità si arriva a non poter mai scegliere.

E nei confronti dell’errore del mondo pensiamo questo, perché ci sono state nella storia delle persone che invece non hanno fallito? Persone come la Arendt per esempio, perché non hanno deciso per il loro bene, perché sono dovute morire per forza? In nome di cosa?
C’è qui una gran differenza tra vivere e campare, quando ti mostrano la cella in monastero al principio ti appare come qualcosa di romantico e affascinante ma dopo che ti hanno chiuso dentro che succede? Devi poterti rendere conto che non ti manca nulla per poter vedere Dio ma non attraverso un contatto “fisico” perché ciò che non è fisico non è per questo meno vero come abbiamo già detto a proposito di una poesia che ti può provocare più dolore di quanto può fare una spina in un fianco.
camaldoli10Codificare è sempre pericoloso, è dimenticare che in fondo non ci nutriamo di altro che questo. Emozionarsi per un romanzo che è manifestamente finzione è irrazionale e non ha scopo a livello organico ma oltre a ciò c’è dell’altro. L’uomo rispetto al piccione e alla verza ha questa grandezza, non serve a niente guardare un tramonto o mangiare bene, tanto alla fine crepiamo tutti lo stesso, quindi il problema non è cosa fare ma come farlo, è la consapevolezza che hai nel fare le cose che ti aiuta ad entrare in una certa dimensione.
E questo non perché siamo spinti da un Dio che aleggia nel cosmo, da nessuna parte è scritto ch’egli aleggia, il nostro piuttosto è un Dio che s’incarna (noi abbiamo questa parolina) perciò dobbiamo entrare in questa logica per cui aprendo un libro scopri che quello che provi è vero per te, e quelle emozioni sono vere e non false.

Allora qual è lo scarto tra chi ha fede e chi non crede?
Mah, si può essere credenti e rimanere nel dubbio…puoi credere che un dio ha amato così tanto gli uomini da decidere di farsi uomo per salvarci, a patto anche di credere che Gesù è il figlio di Dio. Diciamo come Pasolini che almeno era “il più umano di tutti quanti” insegnandoci il rispecchiarsi nell’altro senza cercare di distruggerlo.    Si può fare questo come tutto l’opposto perché il suo esempio non è una regola coercitiva. Se tu togli all’uomo la libertà infatti finirà di sperare, senza speranza non c’è vita perché in essa c’è la dilatazione di ciò in cui intimamente credi. L’uomo vive nell’attesa della realizzazione di qualcosa, se gli togli questo l’uomo resta un mero funzionario biologico. Bisogna essere consapevoli dei nostri limiti biologici, ma aver paura di questi limiti è ancora peggio che non avere fede, perché in fondo se si teme l’uomo in quanto limite non saremo mai in grado di confidare veramente in qualcuno. Come fare a vivere allora, come creare un’esistenza degna di questo nome?
camaldoli11Direbbe Calvino ne Le città invisibili: “bisogna imparare a trattenere il Paradiso quando ci si trova nell’Inferno”. Non si tratta più di credere o non credere ma di conservare ad ogni costo la fiducia nell’umanità, sperare in corrispondenza di quello che ti da la vita e in corrispondenza all’apertura che tu dimostri verso la vita, l’esistenza può darti quello che vuoi ma se ti chiudi ad essa come un riccio come potrai ottenere qualunque soddisfazione? Quando si parla di relazioni valgono le regole dell’insiemistica: non contano gli oggetti ma la qualità delle relazioni. Se non entriamo in quest’ottica come facciamo a capire che senza una relazione non possiamo vivere? E la relazione non è essere assieme con un proprio simile o con un buono anziché con un cattivo… La relazione c’è.
Uno può cercare delle regole che lo aiutino e lo guidino e io capisco che le regole siano importanti, ma all’interno della regola c’è la discrezione che è ancora più importante della regola stessa, la discrezione che aiuta la persona e la regola a convivere.

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