Claudine Loquen e l’arte da favola

Se mi dite colori, nonostante tutte le opere che abbiamo raccontato, il primo universo che mi salta in mente è senza dubbio quello di Claudine Loquen. La prima volta che l’ho conosciuta era il 29 luglio 2011, ricordo ancora la data: l’ultimo giorno utile per poter visitare l’esposizione delle sue opere ai Giardini del Lussemburgo a Parigi.

Piccole tavole, collezioni di immagini di donne, fanciulle, bambine, di tutti i colori e le etnie, immerse dipinte, profilate su una superficie di colore che evoca un continuità emotiva tra interiorità e realtà esterna, tra vita corporea e immaginazione. Le forme per nulla corpose sono incarnate dal colore corporeo che media le relazioni tra i personaggi in scena, spesso – si intuisce – legati da amicizia, fratellanza, fascinazione, amore. Una dimensione intima che emerge anche dalla relazione che i personaggi dipinti stabiliscono con altri elementi decorativi: una giovane sposa che tiene tra le braccia un gatto, due sorelle su una nave tratteggiata che richiama il viaggio onirico, applicazioni di immagini di riviste come cammei di attori di film d’amore. Baci rubati, corse in bicicletta. Verso dove? Direte l’infanzia e la naivité, io dico tutta Parigi in un ricamo senza cornice. La multiculturalità, bambine che giocano tra loro in spazi da sogno per giochi e avventure da fiaba, la sovrapposizione e l’applicazione di materiali pittorici e extrapittorici, insomma art brut, come la metropoli parigina si presenta ad ogni angolo tra grandeur e urban life.

Claudine Loquen

Claudine Loquen – (foto di: Laura Testoni)

«Amo far scivolare nelle mie tele le scene dei film che mi hanno segnata, i posti magici o insoliti in cui mi piace andare, Les Deux Magots a Parigi, l’Opéra Garnier, la rue Saint-Patrice a Rouen… Le mie tele sono dei corto metraggi, delle pièce di teatro, spesso gaie, mai tristi, dove Parigi, ville lumière, fa da protagonista. Quando dipingo ascolto della musica, spesso delle arie di jazz di Miles Davis»

L’arte di Claudine Loquen è anticonvenzionale, questo amo dei suoi mezzi espressivi, è libera, è spudoratamente giocosa, felicemente gioiosa. Non è il dramma o il senso di perdita, la complicazione o l’intellettualismo arrogante, è semplicemente il primato della percezione, l’arte come spazio per “lasciarsi andare”, per non giudicare, ma per avere un luogo di libertà in cui provare piacere. L’edonismo è regale e si accompagna ad una finezza estetica frutto di tratti minimalisti, quasi ripresi dalle tradizioni antiche stilizzate, i profili spigolosi, nobili come bellezze antiche e distinte.

Ragazze e bambine sono sempre presenti, a volte accompagnate da personaggi più androgini, si potrebbe pensare a “principi” o “amanti”, invece sono sorelle, gemelle, diverse, allo specchio, si guardano e si distinguono, non si odiano, ma si sostengono. Gli sguardi incrociati a comunicare amicizia e calore, fragilità e forza nell’altra e in noi per lei. Il mondo è quello femminile della delicatezza e dell’intensità, della fecondità e della sensualità. Un mondo da fiaba, come quello ripreso da Madame d’Aulnoy ispirato alla Principesse de Clèves.

Sono pittrice, le parole non mi sono necessarie, l’immagine mi basta.

naveUna operazione molto interessante è sicuramente la scelta di abbinare – nel catalogo della mostra – le opere a dei testi lirici o in prosa poetica. La chiave è intelligente e mai banale: malinconia e ironia convivono, integre, quasi antitetiche, ma coesistono e funzionano. È il caso appunto del canto di solitudine di Julie, una rivisitazione della Princesse de Clèves, giovane femminilità che fugge l’incontro fisico e si rifugia nella scrittura e nella saggezza.  Una femminilità che trova la libertà anche nelle strettoie dell’isolamento, come nei poemi di Emily Dickinson. Nel caso di Loquen la scelta è di illustrare la sua tela mista – “Princesse Pinson” – con un testo poetico di Jean-Paul Gavard-Perret.

«Julie ama gli uomini magri come un chiodo. La rendono martello. Ma lei ci ha rinunciato: andare con loro ovunque non conduce da nessuna parte. Solo le marionette a filo sono tirate verso l’alto. (…) I chiaro-scuro la rendono dubbiosa. Nel suo specchio capta i piaceri fuggiti per reinventare pitture.»

L’idea è di piratare la retorica, non c’è sacralità, se non nella spontaneità dei desideri e dei sogni, un immenso rispetto per quel mondo di speranze che preserviamo, come l’innocenza che nell’arte si salva. Se Niki de Saint Phalle aveva le sue Nanas floride e potenti, Claudine ha delle Principesse eteree, candide, che nell’attesa coltivano un’atmosfera, lo spirito di arginare la mancanza.

Il sentimento è la dilatazione del tempo, la collezione di dolcezze che finiscono per uscire dalla linearità logica anche se tutto è finemente “bordato”. Digressioni che creano dialoghi tra tele diverse e compongono un vera e propria stagione della vita e del cuore che continua a vivere nella memoria o in un angolo di noi.

famiglia

Famiglia

Painting in full flight. La cifra stilistica più lampante è, vistosamente, il colore, passione che Claudine Loquen non nasconde. Ci sono i colori dell’amato mare, quello dell’infanzia trascorsa nell’ovest della Francia, vicina all’Havre. Ci sono i colori dei romanzi di Annie Ernaux – che è la scrittrice preferita di Loquen – e le sfumature dei primi feuilletons letti in gioventù (Nadja di André Breton o La Bella del Signore di Albert Cohen); c’è poi il gusto – quasi barocco – della passione. Le parole non sono necessarie.

Tosca

Tosca

Quando parla di sé Claudine Loquen si interroga sui motivi per cui l’arte dovrebbe solo essere drammatica o nascere dalla sofferenza, come se il resto fosse meno interessante o meno valido. L’importanza riservata dall’artista vede il primato dell’arte singolare, dell’art naif, per la ricchezza dei colori, la varietà degli stili, i mélanges fino al découpage e al collage, profondità e varietà di contenuti. Insomma, una festa dove c’è spazio per l’esotico, l’incongruo, la mistura, una sovrabbondanza di dettagli, eppure non c’è confusione.

Ispirata anche dalla filmografia di Patrick Dewaere e dagli acquerelli di Marie Laurencin, Claudine Loquen dipinge cercando di trasmettere l’amore, quello estremo, testimoniato dall’abnegazione di Camille Claudel e dalla tempra di Frida Khalo.

L’amore raccontato da Milan Kundera, quello dell’abbandono al desiderio, dell’abbandono nelle braccia del mondo, quello del liberarsi. Quello del consentire.

Il punto più originale della produzione di Loquen è raggiunto con una raccolta di brevissime storie per l’infanzia composte dalla sorella dell’artista. Piccoli testi illustrati da Claudine. Il riscatto dell’arte vitale, quella considerata “marginale”, perché troppo audace, troppo imprecisa nelle proporzioni, troppo infantile, troppo “fuori norma”. La risposta di Claudine sono le principesse sorelle, i blu trasparenti e fluidi, fino i richiami agli Sposi della Tour Eiffel di Chagall.

Allora, raccogliamo la critica all’arte troppo bambina e finiamo con una storia di luce.

«Quando ero piccola dipingevo dei fiori ENORMI, dei fiori rossi, dei fiori gialli, dei fuori blu, dei fiori di tutti i colori, dei fiori che non esistono! … Disegnavo delle GRANDI macchine con delle GROSSE ruote e delle PICCOLISSIME porte rosse e verdi, delle macchine che non esistono! … E su questa macchina c’era un GIGANTESCO passero blu, mia madre e mia sorella, e il mio gatto… ma questo non esiste! … E poi in alto in alto, c’era un GRANDE sole giallo con degli occhi e una bocca … un sole che non esiste! … Da quando sono GRANDE, tutto ciò esiste!»

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