ControCinema: Il Cavaliere Oscuro – Il Ritorno

Un miliardo di dollari di incassi, la sparatoria di un folle durante una delle prime statunitensi, trepidanti fan mascherati in tutto il mondo e tante, tante aspettative per il capitolo di chiusura del talentuoso regista Christopher Nolan, che con la sua trilogia ha rivisitato la figura dell’Uomo Pipistrello, dopo che qualcuno prima di lui ne aveva fatto scempio, rovinando a sua volta la riuscitissima lettura quasi cyberpunk che ne aveva dato Tim Burton a fine anni ‘80.

Però, forse, il caro Nolan di The Dark Knight Rises poteva farne a meno, e anche noi. Eresia? Provocazione? Niente di tutto ciò, bensì presa di distanza da una multi-milio-miliardaria pellicola che assomiglia a uno di quei minestroni dove ci sono così tante verdure che non si distinguono neanche i sapori e l’unico effetto è quello di avere la lingua bruciata e la pancia piena, e che col senno di poi avrebbe dovuto chiamarsi l’Oscuro Ritorno del Cavaliere Oscuro.

Senza ipocrisie, andrebbe scritto a caratteri cubitali che qualunque fan del Cavaliere Oscuro raccontato da Frank Miller è in grado di discernere la differenza tra i primi due capitoli (Batman Begins e The Dark Knight) e quest’ultimo episodio. Nei film precedenti, Bruce Wayne, pur nell’opulenza delle sue Lamborghini e dei suoi trilioni di dollari è un uomo comunque fragile e schiavo di quel richiamo primordiale alla propria doppia natura, che non è divisa tra uomo e supereroe, bensì tra filantropo e non-eroe, costui dilaniato dal senso di sconfitta per una città, Gotham, che sembra non voler smettere di scivolare in un abisso di male e distruzione, e che deve aggrapparsi di volta in volta a dei simboli che le permettano di risollevarsi, si chiamino Batman o Harvey Dent.

In TDK Rises si ripropone di fatto lo sviluppo di una trama già vista e digerita da tutti, dove le acquisizioni dalla letteratura fumettistica di Batman vengono ricucinate in un impasto che sembra adattato per il filmone rassicurante da famigliola felice: se va benissimo che ci si trovi davanti ad un Wayne sofferente nel fisico per le peripezie combinate nell’ultimo salvataggio della città, il senso comincia a perdersi quando a tratti si intuisce che Catwoman (Anne Hathaway) è più presa dagli sguardi che mettano in evidenza il suo rossetto da 100 dollari, o quando Marillon Cotillard impersona quella che dovrebbe essere Talia, la figlia di Ras’Al’Ghul entrando nella storia in modo completamente sradicato, finendo addirittura nel consiglio d’amministrazione della Wayne Enterprises per poi rifilare una coltellata che avrebbe dovuto essere a sorpresa, quando già all’intervallo, nella fila per il bagno, tutti si chiedevano che cosa avrebbe riservato il finale oltre al disvelamento della suddetta e a qualche pugno in faccia a Bane (pugni che si sono rivelati degni dei PAFF, SPUM, KRUNCH della serie tv anni 60).

fonte: 1.bp.blogspot.com

Un Bane che non solo si allontana dal proprio personaggio ad inchiostro, ma che va ad assomigliare ad uno di quegli adolescenti sovrappeso poco credibili e un po’ psicotici che a scuola si vantano di essere dei bulli solo per la loro stazza fisica, finendo per essere solo patetici. Non proprio quello che ci si aspetterebbe da uno dei cattivi di Batman. Soprattutto quando quello precedente era il Joker di Heath Ledger, e non c’è bisogno di aggiungere altro. Tutto senza considerare che dalla seconda scena del film tutti avevamo capito chi era Robin e come sarebbe venuto fuori, un po’ scontato per un presunto colossal con tanto di pedigree.

Ma il momento più alto Nolan ce lo regala verso la fine: preso da accenni di andropausa, Wayne si ricorda di quello che il beneamato Alfred (un Michael Caine abbastanza sottotono) gli aveva confessato durante una severa discussione:

«Ogni anno facevo una vacanza. Andavo a Firenze. C’è un caffè sulle rive dell’Arno. Ogni sera andavo a sedermi lì e ordinavo un Fernet Branca. E avevo un sogno: che un giorno guardando tra la gente e i tavoli, l’avrei vista lì, con sua moglie, e magari con un paio di marmocchi. Lei non mi avrebbe detto una parola, e nemmeno io a lei. Ma entrambi avremmo saputo che ce l’aveva fatta. Che era felice.»

Dopo avergli risposto sostanzialmente con il gesto dell’ombrello (come si addice a uno che nella vita è Batman), ecco che dopo la surreale operazione di rimozione del micidiale ordigno nucleare da Gotham, con l’intuito (da scemo) di farlo (e farsi) esplodere in mezzo all’oceano trasportandolo col bat-jet, ci troviamo improvvisamente nella città di Palazzo Vecchio, con Alfred che sembra un ricco alcolizzato seduto ad un tavolino e, tra gli altri felici avventori del locale all’aperto, seduti ad un tavolo come due pupazzi bellocci elegantemente casual, Bruce Wayne e Selina Kayne (Catwoman, con un rossetto ancora più costoso). Bruce ammicca soddisfatto ad Alfred, che contraccambia con un cenno complice e compiaciuto, della serie «anche per Batman è meglio un Martini in compagnia che prendere le mazzate e fare tardi per salvare il mondo». Penso che Bob Kane, il creatore del primo Batman pubblicato in fumetto nei primi anni ’50, abbia gridato di dolore dall’aldilà.

fonte: static.film.it

A onor del vero va detto che il regista stesso, da tempo, aveva lanciato messaggi chiari per far capire che questo ultimo capitolo lui non voleva farlo, ma che gli era stato imposto dalle major di distribuzione che avevano previsto il successo commerciale dell’operazione.

Si può dire che avessero ragione entrambi.

Da qualche tempo, in rete, circola un cortometraggio realizzato per la tv, chiamato Il Cavaliere Oscuro – Il Ricorso, non ha niente a che vedere col film, ma è più divertente e più realistico. Guardatelo e fatevi una risata, sarà sicuramente più appagante.

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