COP21 Parigi 2015 – Che aria tira?

Da poco più di una settimana Parigi è tristemente nota al mondo intero per i disumani attacchi subiti. Quel venerdì 13 Parigi, simbolo per eccellenza di piacere e leggerezza, è stata colpita al cuore e le drammatiche conseguenze che si sono scatenate fanno pensare che la ferita non si rimarginerà molto presto, ammesso che questo potrà accadere un giorno. Quello che però il mondo intero forse non sa è che in questi giorni Parigi, piegata dalla paura ma ancora contraddistinta da forza e dignità, rappresenta anche un cruciale punto di partenza verso un cambiamento possibile. La capitale francese ospiterà infatti, dal 30 novembre all’11 dicembre, la ventunesima conferenza delle Nazioni Unite sul clima, meeting organizzato dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). www.massimoderosa.itSe da un lato c’è chi afferma che i grandi della Terra arriveranno impreparati anche a questo ennesimo incontro, dall’altro le fonti per lo più ufficiali garantiscono che si raggiungerà un accordo vincolante ed efficace e, alla luce dei recenti avvenimenti, questo è auspicabile per molte ragioni in più. Come spesso accade all’alba di incontri così importanti, le notizie contrastano e l’incertezza sembra dilagare. Per la prima volta però, su un aspetto tutti sono concordi: in quest’occasione, per il bene dell’umanità stessa, della nostra sopravvivenza e di quella delle future generazioni, non ci si può permettere di fallire. Il mancato raggiungimento di un accordo e di un reale impegno da parte dei paesi partecipanti, equivarrebbe ad un fallimento a livello mondiale con effetti catastrofici. Ma vediamo più da vicino quali sono i vari punti di questo accordo internazionale.
www.cire.group.cam.ac.ukIl primo obiettivo, imprescindibile, è quello di limitare il riscaldamento globale sotto i 2°C rispetto al periodo preindustriale. Secondo l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) sarebbe proprio questo il limite massimo oltre il quale l’ecosistema Terra non esisterebbe più così come noi lo conosciamo oggi.
Un aumento di più di 2°C comporterebbe infatti drastici cambiamenti a livello di atmosfera, di oceani e di correnti che andrebbero ad influenzare il sistema di eventi meteorologici, provocando forti siccità in alcune zone e precipitazioni senza precedenti in altre. Senza voler considerare gli ancora troppo numerosi negazionisti, cioè quelli che dicono che il clima non stia affatto cambiando, la maggior parte del comitato scientifico internazionale è d’accordo sulla necessità di non superare questo limite, frutto di studi tecnici e negoziazioni politiche. Il secondo obiettivo, diretta conseguenza del primo, è quindi quello di mettere in campo una serie di manovre atte a contrastare l’aumento di temperatura, cioè adottare politiche energetiche ed economiche che puntino all’abbattimento della CO2, il principale gas serra responsabile del riscaldamento globale. Stando al rapporto dell’ONU, pubblicato ad ottobre 2015, questo significa arrestare la deforestazione selvaggia e tendere all’adozione di un’economia low carbon, riducendo del 70% le emissioni inquinanti entro il 2050 e addirittura azzerandole entro il 2100. Un traguardo che comunque, ad una settimana dall’inizio dei negoziati parigini, risulta ancora molto lontano se pensiamo che l’attuale modello economico è alimentato per l’87% da energia prodotta da petrolio, carbone e gas naturale, come riporta Manuel Castelletti nel suo ultimo libro “Verso la fine dell’economia – apice e collasso del consumismo”. gas-petrolioCastelletti, giovane laureato in economia e collaboratore di Decrescita Felice social network, scrive che “ipotizzando costanti sia l’attuale livello di produzione mondiale, che le riserve mondiali di combustibili fossili, occorrono ancora cinquantaquattro anni per esaurire le riserve accertate di petrolio, sessantaquattro anni per esaurire quelle di gas naturale e centododici per quelle di carbone, per cui c’è da ipotizzare che la dipendenza della nostra economia da queste tre fonti energetiche non si modifichi molto nei prossimi anni”. Le volontà dei diversi attori, esponenti della società politica, finanziaria e civile devono perciò convergere e operare affinché il paradigma produttivo cambi, abbandoni le fonti fossili e si converta all’utilizzo delle energie rinnovabili, le uniche in grado di cambiare radicalmente la nostra sorte. www.lifegate.it L’efficienza e la sostenibilità energetica saranno due argomenti centrali nell’agenda di COP21 che, con velato ottimismo, si preannuncia diversa rispetto alle precedenti, già solo per l’impegno effettivo da parte di tutti gli Stati di voler raggiungere un’intesa vincolante ed universale. Grandi protagonisti (e altrettanto grandi inquinatori) come Usa e Cina arriveranno a Parigi con un accordo già siglato nel 2014 tramite il quale gli Stati Uniti si impegnano a ridurre le emissioni rispettivamente del 26-28% entro il 2025 ed il 2030.  Anche l’Italia, consapevole del fatto che questa di Parigi sarà l’ultima chance per cambiare le cose, si presenterà avendo già firmato con gli altri paesi europei un accordo vincolante che impone la riduzione del 40% delle emissioni inquinanti e prevede sanzioni. Per i paesi più piccoli invece, che spesso sono le principali vittime dei cambiamenti climatici, è prevista la discussione circa lo stanziamento di 100 miliardi di dollari annui come risarcimento. www.europarl.itI buoni propositi dunque ci sono e sembrano realizzabili anche se tutt’intorno non mancano voci decisamente più scettiche, che smorzano toni forse fin troppo fiduciosi. Voci fuori dal coro, ma dall’opinione decisamente interessante, come quella del giornalista canadese Gwynne Dyer, il quale scrive che nonostante le misure positive adottabili in questo vertice, nulla servirà a salvarci da un eccessivo riscaldamento e da tutte le conseguenti calamità. Analizzando infatti i piani nazionali per la riduzione delle emissioni, si è visto che, pur rispettando tutte le promesse, non si riuscirebbe a restare entro il tetto massimo dei 2° C, raggiungendo nel 2100 i 2,7°C. E questo i governi lo sanno bene, spiega Dyer, accusandoli di ipocrisia e falsità: i vari paesi starebbero operando non per il bene dell’umanità bensì per i loro interessi, evitando così di suicidarsi politicamente di fronte a tutti quegli interessi interni che, appunto, risulterebbero danneggiati dal repentino abbandono dei combustibili fossili. Consapevolmente, “come la freccia di Zenone, arriviamo sempre più vicini all’obiettivo senza però mai raggiungerlo”, conclude in modo lapidario il giornalista. Dal canto nostro ci auguriamo che le cose vadano diversamente, almeno in quest’occasione, che sembra essere anche l’ultima.

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