Dalla letteratura scientifica per ragazzi al Piccolo chimico

Quando parliamo di letteratura per l’infanzia è difficile assegnarle una vera data di nascita. Fino al Settecento, infatti, non c’è una vera e propria attenzione ai libri per ragazzi, eccetto per i figli dei nobili che studiavano sui sillabari, non veri e propri libri per bambini. In Inghilterra, a quei tempi, erano pubblicati iPenny dreadful penny dreadful, libri economici che contenevano storie macabre. Oltre a questi, le famosissime nursery rhymes (le filastrocche) e i chapbooks, libri tascabili tra cui vi erano adattamenti per bambini dei classici come Robinson Crusoe, I viaggi di Gulliver e alcuni romanzi di Walter Scott.

Nel 1744, John Newberry, considerato da molti il padre della letteratura per l’infanzia, avviò un’iniziativa di libri per ragazzi. Si trattava di edizioni illustrate e costose che contenevano racconti moraleggianti.  Così come in Inghilterra, anche nel resto dell’Europa si diffondono le novelle morali: in Francia, Berquin dà vita a L’ami des enfants, una pubblicazione periodica; in Italia a scrivere storie con intento moralistico sono l’abate Taverna e Padre Francesco Soave; in Germania c’è Von Schmitt le cui storie vengono pubblicate e ristampate fino all’inizio del Novecento.

Si comincia, lentamente, a formarsi l’idea di una letteratura per ragazzi, anche se non ancora del tutto priva di intento pedagogico. In Germania, dall’editore Campe nasce Robinson Der Jüngere (un adattamento dell’opera di Defoe), mentre in Francia vengono pubblicate le favole e le fiabe di La Fontaine e di Perrault. Opere che arrivano anche in Italia dove la situazione politica è differente rispetto al resto d’Europa. Ci si trova poco dopo l’Unità d’Italia, in un paese in cui il tasso di analfabetismo è pari al 78%. Il libro per ragazzi, ça va sans dire, è considerato l’unico mezzo per istruire non solo i piccoli, ma anche gli adulti, il famoso “popolo bambino”. Tra i testi più popolari vi è certamente il Giannetto di Parravicini, pubblicato nel 1837, una sorta di sussidiario che si sposa perfettamente con la legge Casati del 1859. Legge che aveva come obiettivi quello di ridurre l’analfabetismo attraverso l’insegnamento della lingua italiana e quello di educare il popolo bambino all’igiene, alla morale, all’amor di patria.

Gradualmente si comincia a formare la figura del lettore bambino: gli editori prevedono la fortuna che l’editoria per l’infanzia potrebbe conferirgli. Così, gli editori più in voga del tempo come Hoepli, Treves e Sonzogno, pubblicano riviste e libri dedicati all’infanzia borghese. Alla fine dell’Ottocento, inoltre, la letteratura per ragazzi inizia a essere concepita come lettura di piacere. Non è un caso che Pinocchio e Cuore siano pubblicati proprio in quegli anni, romanzi destinati a raggiungere picchi di vendita altissimi, due best-seller tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.

La divulgazione scientifica all’interno dei libri per ragazzi
Le case editrici si appropriano di uno degli obiettivi dell’epoca postunitaria ovvero legare l’istruzione e il diletto. Per farlo, Treves e Sonzogno, case editrici del polo milanese, prendono ispirazione dall’estero, soprattutto dalla Francia dove le pubblicazioni erano state influenzate dal positivismo e dalle prime esposizioni universali. Proprio in Francia, intorno al 1860, si assiste a una querelle editoriale sulla divulgazione scientifica: da un lato, la divulgazione scientifica pura sostenuta da Louis Figuier (pubblicato da Hachette); dall’altro, il filone della scienza dilettevole sostenuta da Jean Macé, pubblicato dall’editore Hetzel che crea la Bibliothéque d’éducation et récréation, sezione in cui viene pubblicato anche Jules Verne. Macé e il suo editore vedono nella scienza per bambini uno strumento che permettesse di rinnovare la letteratura per ragazzi, ancorata da tempo alle case editrici religiose.

Le pubblicazioni francesi arrivano anche in Italia: Sonzogno pubblica l’opera di Figuier, mentre Treves collabora con l’editore Hetzel e pubblica le opere di Macé come I servitori dello stomaco, Storia di un Macéboccone di pane e L’aritmetica del nonno. Le traduzioni, però, sono ancora dipendenti dall’istruzione scolastica per via dell’esigenza di educare il popolo. Ne è un esempio la prefazione de L’aritmetica del nonno (pubblicato in Francia nel 1863 e in Italia nel 1875): nell’edizione italiana, il traduttore Augusto Panizza scrive una prefazione rivolta al maestro e non alla madre come nell’originale. Inoltre, il libro è inserito nella “Biblioteca utile”, collana che Treves avvia nel 1872 dedicata a un pubblico sì borghese, ma da istruire.

Un altro autore all’interno del catalogo di Treves è Gaston Tissandier. Quest’ultimo pubblica, nel 1881 per l’editore Masson, Les Récréations scientifiques, un libro in cui vengono inseriti giochi di matematici e di prestigio: genere già noto grazie a un libro del 1694, scritto da Ozanam, intitolato Ricreazioni matematiche e fisiche. L’opera di Tissandier, però, si distacca dalla scienza dilettevole (criticata dall’autore). Il suo è un libro rivolto a tutti che contiene non soltanto attività ludiche, ma anche testi scientifico-divulgativi.
Agli antipodi delle opere di Tissandier, c’è La science amusante di Tom Tit, pubblicato in Italia da Sonzogno. Un libro che presenta esperimenti come trucchi e giochi senza focalizzarsi sulla scienza e sulle spiegazioni. Nonostante le critiche, il genere della scienza dilettevole si evolve e i testi scientifici per ragazzi mitigano l’istruzione e il diletto. Proprio in Italia, l’editore Hoepli pubblica 500 giochi semplici dilettevoli di fisica, chimica, pazienza e abilità eseguibili in famiglia, scritto da Italo Ghersi.

Letture e giochi
Nel 1862 Treves pubblica La scienza in famiglia, un’opera di Figuier che tratta di chimica. Anni dopo, nel 1881, come detto sopra, lo stesso editore pubblica Tissandier e le opere di Jules Verne, autore famosissimo nel panorama della letteratura per ragazzi. Come ha scritto Paola in un vecchio #mesedautore, «ciò che Jules Verneviene fuori dalla lettura delle opere di Verne è la visione di una produzione che si fonda su una dicotomia costante di scienza e fantasia. A questo autore va il merito di aver unito insieme due termini tanto distanti, ma allo stesso tempo talmente vicini da riuscire a creare un unico universo: quello fantascientifico. I romanzi di Verne sono un esempio di come una penna e una pagina bianca possano diventare il miglior mezzo di trasporto per un viaggio che superi i confini geografici e mentali».
Nel 1883, Emilio Croci Editore pubblica un testo anonimo intitolato Magia, prestigio e fisica dilettevole. A seguire questo filone è anche l’editore Vallardi che, nel 1923, pubblica La chimica dilettevole, libro per la gioventù.

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, la chimica e la scienza sono facilmente associate alla magia: per il popolo, la cultura scientifica si riversa nei giochi di prestigio e in esperimenti da fare insieme. Sempre per via dell’analfabetismo, gli esperimenti scientifici possono essere scambiati dalle famiglie per giochi di prestigio. A trarne vantaggio, oltre agli editori, sono i produttori di giocattoli che allineano le pubblicazioni dedicate alla scienza alla creazione di nuove forme che possano divertire il pubblico.

Nel XIX secolo, in Germania e nel Regno Unito sono prodotti i primi chemistry set destinati, però, a studenti e adulti. Chi guadagna associando chimica e gioco sono gli americani. Durante la Prima guerra mondiale, i fratelli Porter inventano un chemistry set per ragazzi, sotto il marchio Chemcraft: questo Piccolo chimico diventa subito un successo. Negli anni Venti, nasce l’azienda di Gilbert, altro inventore di chemistry set per ragazzi.
Il chemistry set dei fratelli Porter è proposto a genitori e ragazzi come gioco istruttivo e anche lo slogan “Experimenter today…Scientist tomorrow” descrive la logica di mercato, così come le immagini sulle scatole che raffigurano bambini sorridenti che giocano in casa. Però, come scrive Davide Coero Borga ne La scienza del giocattolaio, «ai bambini degli anni Sessanta era lasciata piena libertà di produrre associazioni ed esperimenti in totale libertà, alla scoperta del potere degli elementi della tavola periodica. Si giocava con storte, matracci, fornelletti a spirito per bollire i composti e dozzine di elementi chimici» e non si conosceva ancora la pericolosità di questi giochi.

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La situazione peggiora alla fine della Seconda guerra mondiale: la scoperta della radioattività e gli sviluppi scientifici portano alla conquista della tecnologia relativa all’energia atomica, ma nessuno – a quei tempi – ritiene che l’energia atomica possa essere pericolosa tanto da mettere in commercio il Piccolo atomico. Il primo a farlo è Gilbert che dà origine all’Atomic Energy Lab, composto da campioni di uranio, radio e da un contatore Geiger in versione giocattolo.

La confezione recitava così: «Sviluppato presso la Gilbert Hall of Science con eminenti scienziati nucleari del New Haven Connecticut. Gli scatti del contatore, che potete auscultare nell’apposito auricolare, accelerano in prossimità del materiale radioattivo. Un indicatore al neon posizionato in cima al contatore Geiger indica la radioattività con un flash.» (Borga, La scienza del giocattolaio)

A seguire l’azienda Gilbert sono, ovviamente, i fratelli Porter che nel loro Piccolo atomico inseriscono – oltre a campioni di uranio – lo spintariscopio, ovvero un rilevatore a scintillazione, che permetteva di individuare la presenza di radioattività. Questi giochi avevano come scopo quello di sponsorizzare la supremazia americana e il fine viene espresso anche tramite le parole e le immagini. Il nuovo slogan della Porter, per esempio, è “Porter science prepares young America for World Leadership”, mentre Gilbert decide di usare come sponsor proprio la figura di Superman, emblema del potere illimitato e della salvaguardia dell’umanità.

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I primi dubbi sulla sicurezza dei giochi arrivano con le morti degli scienziati che studiavano da vicino l’energia atomica e con la nascita della coscienza ecologica. Nel 1962, Rachel Carson pubblica Silent Spring (Primavera silenziosa) in cui descrive i pericoli del DDT e dei fitofarmaci. A seguire, nel 1969, il presidente Nixon fa firmare il primo Toy Safety Act, un atto che autorizza il Dipartimento di Salute, Educazione e Benessere a collaudare i giochi sul mercato. Le scatole del Piccolo chimico e del Piccolo atomico giungono al declino e stando a questo articolo, i chemistry set sono uno degli otto giochi più pericolosi ritirati dal mercato. Di conseguenza, Gilbert fallisce nel 1967, i fratelli Porter nel 1984.

CoeroBorga-770x1024Oggi, i giocattoli prodotti da Gilbert e dai Porter sono ricercati dai collezionisti e si possono trovare a prezzi esorbitanti. In Italia, il Piccolo chimico è arrivato sul mercato nel 1969, prodotto da Pan Ludo, un’azienda di Busto Arsizio che offriva una vasta gamma di giocattoli laboratorio a tema scientifico. Il Piccolo atomico, fortunatamente, non è mai giunto sui nostri scaffali.
Tuttavia, la scienza continua ad appassionare i bambini. Basti pensare alla Clementoni, azienda leader in Italia per i giochi che legano l’intento pedagogico a quello dilettevole. Fortunatamente, «i moderni laboratori di chimica sono giocattoli all’acqua di rose. Niente fornelli ad alcol o sostante pericolose: le provette sono rigorosamente in plastica e gli esperimenti si fanno con limone, aceto e bicarbonato. Col rimpianto dei nostalgici di quegli anni che, in rete e sui blog, si fanno beffe delle nuove versioni del Piccolo chimico.» (Borga, La scienza del giocattolaio)

Photocredit: Le immagini sono state prese da www.terapeak.com; www.stagniweb.it;  Pinterest; www.codiceedizioni.it

Bibliografia:
Miei piccoli lettori… Letteratura e scienza nel libro per ragazzi tra XIX e XX Secolo, a cura di Elisa Marazzi, Guerini  e Associati;
La scienza del giocattolaio, Davide Coero Borga, Codice Edizioni.

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