Dylan Dog dalla svolta di Recchioni: cinque numeri

Lo scorso settembre è iniziato con belle premesse e tante speranze per i numerosi fan di Dylan Dog. È stato il mese di Spazio profondo – già passato alla storia come 337 – il nuovo albo firmato Recchioni che da qui ha preso le redini di quella che risulta essere la testata più fruttifera per la Bonelli dopo Tex e che negli ultimi tempi, complice la cattiva gestione, ha subito un clamoroso calo d’interesse. Lungi dal voler fare una critica profonda a questa cattiva gestione e proiettandoci invece dall’altro lato della pagina per molti versi ancora bianca, ci sembra comunque doveroso dare qualche spiegazione a chi, non fedelissimo lettore di Dylan, voglia inoltrarsi nella lettura di questo breve articolo.
Dopo numeri che hanno fatto la storia del fumetto e consacrato Dylan Dog icona del genere, è nostra opinione che non si sia riusciti nel giusto modo ad attualizzare e conformare il personaggio alle varie generazioni che si sono susseguite. Il tentativo di rendere il disegno più “digitale” ed, in certi numeri, più “nipponico” ha dato vita ad un ibrido che, unito ai punti forti del personaggio ripetuti ed esasperati all’eccesso, hanno snaturato il fumetto rendendolo incoerente – ci verrebbe da aggiungere soprattutto nella sua troppa coerenza! – e piatto.
Recchioni, sotto la spinta di Sclavi, si è fatto portavoce di questo scempio e ha promesso di ripararvi riportando, da un lato, Dylan al vecchio splendore dei tempi antichi e, dall’altro, rivoluzionando il fumetto immergendolo nel XXI° secolo, attualizzandolo più nel contenuto che nella forma e creando in Dylan nuovi stravolgimenti ai quali risponderà sempre – si spera! – in linea col proprio carattere.  A distanza di qualche mese da questa svolta, dunque, vogliamo tirare un po’ le somme e vedere se le promesse fatte sono state mantenute e vogliamo farlo con un esame dei primi cinque numeri (Cinque è il numero perfetto, diceva Igort!) usciti.

Spazio profondo

Per chi ha un po’ di dimestichezza col fanta-horror non sarà difficile ritrovare nel primo albo quei rimandi al genere che tanto ci erano mancati: da Odissea nello spazio, presente già in copertina, con un Dylan in posizione fetale che ben richiama la metafora della sua rinascita testuale, ad Alien – così come ad altri capolavori firmati Ridley Scott – a cui i colori e le ambientazioni, ancor prima della trama, si ispirano per dar vita ad un’atmosfera cupa e dal giusto tocco splatter.
Fin qui, tutto è andato per il meglio e la promessa di riconsegnare ai lettori un Dylan Dog più “scomodo”, capace ancora di inquietare e sorprendere, evitando di sacrificare la qualità in nome della volontà di piacere a tutti, è stata rispettata. Ma con questo numero, Recchioni è riuscito ad andare addirittura oltre e a consegnarci il primo albo meta-editoriale – come Recchioni stesso l’ha definito – della storia del nostro eroe e della redazione che gli si cela dietro. La nave spaziale con la quale si apre il 337 si rivela, così, una sapiente metafora della testata stessa, costretta alla deriva da delle repliche di Dylan incapaci di trarla in salvo. Il finale, il linea col passato, è aperto e spiazzante, l’ultimo Dylan si dimostra essere anche egli una replica, ma conscia di tutto ciò che l’ha preceduta e pronta a distruggere la nave per ripartire dalle basi. Un vero e proprio albo-manifesto, lo Spazio profondo, abissale, enigmatico, risulta essere quello in cui le nuove scelte si vogliono orientare.

«La prima cosa che ho chiesto ai miei sceneggiatori» ha affermato, dopotutto, lo stesso Recchioni in una intervista «è stato: non abbiate paura di mandarmi un soggetto che potrei bocciare perché altrimenti vuol dire che nessuno di noi sta osando. Torniamo a prenderci dei rischi».

Mai più, ispettore Bloch

Anche qui, la copertina è un chiaro, chiarissimo omaggio. Un rifacimento dal numero 50 di Spider man, ripreso anche nel titolo: Spider man no more!. La sceneggiatura e i disegni sono affidati ad una grande coppia che ha fatto la storia di Dylan: Paola Barbato e Bruno Brindisi (chi non ricorda Il seme della follia oppure Sciarada!?). Insomma, per un numero che mira a stravolgere l’universo dylandoghiano, Recchioni, almeno in questo, ha voluto puntare sul sicuro. Le critiche sono piovute ugualmente, ma nell’insieme la storia funziona, pur nello stravolgimento (l’addio a Bloch che crea un precedente mai avuto prima e segna la vera linea di demarcazione tra i numeri pre e post Recchioni), la volontà di tornare al passato è ben visibile nella nuova – e vecchia – corposità dei personaggi, nella scelta di affiancare a Dylan una bad girl che lo (s)macchi da quell’eccessivo politically correct che da un po’ di tempo a questa parte era diventato un passaggio obbligato in ogni numero e, piccola chicca, in quel monumentale volume (À la recherche du temps perdu, in francese nel testo) che la morte, personaggio chiave di questo numero, tiene sotto braccio in una delle vignette.

Anarchia nel regno unito

Dopo il discusso pensionamento di Bloch, ci si aspettava un nuovo ispettore capo che, pure nel suo annunciato antagonismo nei confronti di Dylan, avesse una marcata e ben studiata personalità, ma l’ispettore Carpenter non convince. Il personaggio risente sia caratterialmente che fisicamente, di stereotipi triti e ritriti e lascia perplessi i lettori in attesa di successivi sviluppi. Sarà forse l’eccessiva e rinomata influenza che i telefilm (soprattutto quelli di stampo americano) hanno su Recchioni, a portare lo sceneggiatore al suo primo errore!? Vedremo… Pollici in su, invece, per il sergente Rania Rakim che mette d’accordo tutti e lancia nella storia – finalmente! – un personaggio femminile, bello e intelligente, che vada ben oltre la fidanzata del mese.


In linea con la volontà di attualizzarsi, appare un chiaro riferimento ai riots di Londra, anche se si sperava in una trama meglio articolata e in qualche spunto in più.

Benvenuti a Wickedford

Non ci si aspettava di certo che ogni albo fosse un capolavoro e il ritorno a storie più classiche e prive di grossi sconvolgimenti era abbastanza scontato. Dopo tre numeri che hanno dato davvero da parlare, Benvenuti a wickedford risulta essere l’acqua cheta dopo la tempesta. Apprezzabile l’espediente di Adrian, affetto dalla sindrome di Proteo, che si scopre infine essere il cattivo: un freak contrario alle regole dell’universo dylandoghiano, ma che risponde perfettamente alla volontà di Recchioni di allontanarsi da clichè fin troppo abusati.

Al servizio del Caos

Chiudiamo questa analisi con un grandissimo numero. Si potrebbero consumare infinite tastiere senza riuscire a dire tutto quello che si potrebbe dire su questo albo e magari, un giorno, potremmo scriverci su un intero articolo, ma per il momento bisognerà accontentarsi di qualche riga che provi a darne una vaga idea. Numerosi i riferimenti alla cultura pop, interessante il nuovo antagonista, John Ghost, sapientemente esposto il tema dello sfruttamento dietro il sistema delle multinazionali, perfetti i disegni, maestosa la sceneggiatura ed il testo, spiazzante la copertina – il primo selfie di Dylan! –, grottesca, disturbante, intelligentissima la chiusa.
È il Dylan Dog che finalmente ne conferma e consacra la rinascita e che fa ben sperare per il futuro. L’approdo di Dylan alla tecnologia, poi, non poteva avvenire diversamente, in quelle poche parole che Recchioni gli fa pronunciare c’è l’immenso Dylan, la sua etica, ma soprattutto la sua coerenza (che noi tutti temevamo potesse essere persa).

“Non c’è modo di sfuggire alle responsabilità del sistema se decido di viverci dentro. Far finta che una cosa non esista non la rende meno reale! E allora tanto vale tenermelo, questo aggeggio… almeno mi farà da promemoria di tutte le mie colpe, delle nostre colpe!”

Terminata la rassegna con un voto finale più che positivo, non ci resta che attendere i successivi sviluppi per avere più certezze e meno speranze, anche se, nel frattempo, siamo già arrivati al numero 345 e tutto sembra ancora sorridere al nuovo curatore.

Per saperne di più sul futuro del nostro Dylan, restate sintonizzati!

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