È ancora possibile la poesia?

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco

perduto in  mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

Così nei suoi Ossi di seppia, Eugenio Montale dichiara “a lettere di fuoco”  la sua poetica. E dire che il suo viaggio poetico è appena agli inizi: lo stesso Montale definirà la sua raccolta come poesie protomontaliane; è il 1925, Montale ha vissuto l’esperienza della guerra alla quale partecipò come volontario, per essere congedato nel 1919; esperienza che ha lasciato un segno profondo in tutta la sua produzione. Questa prima raccolta, pur non avendo un’organicità programmatica, lo vede grandemente nel pieno delle sue capacità espressive.

Eugenio_MontaleAccordandoci al pensiero di Iosif Brodsky (1), non bisogna aver paura di definire Montale poeta universale, che trascende i limiti dello spazio di un foglio per descrivere la sua visione della realtà. Un mondo poetico che Montale può esprimere soltanto in negativo, perché è soltanto in negativo che si può descrivere la perfezione o l’ideale.  Montale si rivolge ad ognuno di noi, singolamente, ma parla per tutti i poeti (l’uso della prima persona plurale), e si pone in  questo modo su un altro piano, un piano più elevato, quasi innalzato dal valore del suo messaggio.

E proprio per questo suo tratto distintivo di universalità che è parso quasi doveroso iniziare sui versi di Non chiederci la parola. In primo luogo perché è poesia che accomuna tutti da diverse generazioni, in secondo per l’argomento di cui tratta. È come una presentazione, un manifesto poetico che ha la potenza di una dichiarazione diretta ed efficace.

È ancora possibile oggi la poesia? Domanda difficile, alla quale lo stesso Montale ha tentato di dare una risposta(2); e lo fa distinguendo due diverse tipologie di poesia:

Le comunicazioni di massa, la radio e soprattutto la televisione, hanno tentato non senza successo di annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione. Il tempo si fa più veloce, opere di pochi anni fa sembrano « datate » e il bisogno che l’artista ha di farsi ascoltare prima o poi diventa bisogno spasmodico dell’attuale, dell’immediato. Di qui l’arte nuova del nostro tempo che è lo spettacolo, un’esibizione non necessariamente teatrale a cui concorrono i rudimenti di ogni arte e che opera sorta di massaggio psichico sullo spettatore o ascoltatore o lettore che sia. […] In tale paesaggio di esibizionismo isterico quale può essere il posto della più discreta delle arti, la poesia? La poesia così detta lirica è opera, frutto di solitudine e di accumulazione. Lo è ancora oggi ma in casi piuttosto limitati. Abbiamo però casi più numerosi in cui il sedicente poeta si mette al passo coi nuovi tempi. La poesia si fa allora acustica e visiva. Le parole schizzano in tutte le direzioni come l’esplosione di una granata, non esiste un vero significato, ma un terremoto verbale con molti epicentri. La decifrazione non è necessaria, in molti casi può soccorrere l’aiuto dello psicanalista. Prevalendo l’aspetto visivo la poesia è anche traducibile e questo è un fatto nuovo nella storia dell’estetica. Ciò non vuoi dire che i nuovi poeti siano schizoidi. Alcuni possono scrivere prose classicamente tradizionali e pseudo versi privi di ogni senso. C’è anche una poesia scritta per essere urlata in una piazza davanti a una folla entusiasta. Ciò avviene soprattutto nei paesi dove vigono regimi autoritari. E simili atleti del vocalismo poetico non sempre sono sprovveduti di talento. […] Ma il fatto, se è vero, dimostra che ormai esistono in coabitazione due poesie, una delle quali è di consumo immediato e muore appena è espressa, mentre l’altra può dormire i suoi sonni tranquilla. Un giorno si risveglierà, se avrà la forza di farlo.

Ma dunque, quale è il futuro della poesia? Come potrà muoversi nel dedalo dei mass media, anche oggi che i social hanno scardinato ogni categoria, ogni possibile etichetta, e la poesia è ridotta a frammento? Quante volte ci capita di leggere un verso rubato e decontesualizzato, e caricato per questo di un nuovo, ardente, significato, ridotto ad un effimero aforisma?

La poesia lirica ha certamente rotto le sue barriere. C’è poesia anche nella prosa, in tutta la grande prosa non meramente utilitaria o didascalica: esistono poeti che scrivono in prosa o almeno in più o meno apparente prosa; milioni di poeti scrivono versi che non hanno nessun rapporto con la poesia. Ma questo significa poco o nulla. Il mondo è in crescita, quale sarà il suo avvenire non può dirlo nessuno. Ma non è credibile che la cultura di massa per il suo carattere effimero e fatiscente non produca, per necessario contraccolpo, una cultura che sia anche argine e riflessione. Possiamo tutti collaborare a questo futuro. Ma la vita dell’uomo è breve e la vita del mondo può essere quasi infinitamente lunga.

[…]potrà sopravvivere la poesia nell’universo delle comunicazioni di massa? E’ ciò che molti si chiedono, ma a ben riflettere la risposta non può essere che affermativa. Se s’intende per la così detta belletristica è chiaro che la produzione mondiale andrà crescendo a dismisura. Se invece ci limitiamo a quella che rifiuta con orrore il termine di produzione, quella che sorge quasi per miracolo e sembra imbalsamare tutta un’epoca e tutta una situazione linguistica e culturale, allora bisogna dire che non c’è morte possibile per la poesia.

[1] Il premio Nobel scrive: «Le parole “europeo” e “internazionale” sembrano anch’esse, se riferite a Montale, frusti eufemismi per “universale”».
[2] Il riferimento è al discorso in occasione del Premio Nobel di Montale nel 1975, “È ancora possibile la poesia“. Questo discorso è consultabile sul sito della fondazione.

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