E = MC Escher

L’Unione Europea ha deciso che la Capitale della cultura per il 2018 sarà la città olandese di Leeuwarden, dove nel 1898 nacque Maurits Cornelis Escher.    In questi giorni un’altra capitale incrocia il destino di Escher, cui è dedicata una magnifica mostra romana a due passi da Piazza Navona.

Generalmente l’arte racconta od esprime, così può accadere che voglia stupire, mentre a volte le opere sono soltanto il veicolo delle angosce o delle gioie dei propri autori; nel caso di Escher, invece, sembra davvero che ogni raffigurazione sia un enigma che nasconde un monito, a sua volta foriero di un messaggio più profondo per chi osserva.
Escher si spinge, in effetti, oltre il senso geometrico della realtà per superarne i limiti e per coglierne, attraverso un paradosso altrettanto lineare, l’essenza. Questo accade, nella sua vita artistica, prima attraverso la sapiente concatenazione di figure e parole, ed in seguito grazie alla rielaborazione radicale di ogni figura e prospettiva conosciute dalla tecnica illustrativa. In tutta la sua “narrazione” ciò che non viene mai meno è, però, il potente incombere del pensiero retrostante, che secondo l’artista deve arrivare prima nella mente di chi osserva piuttosto che nell’occhio, senza alcun effetto speciale.

Come quando, trasferitosi in Italia, vedendo tornare suo figlio da scuola vestito da giovane balilla, decide all’istante di lasciare il Paese: Escher sente un preciso dovere di agire politico verso il prossimo, per  scongiurare quello che Pascal definiva il più grande dei mali, il divertissement, la condizione di spensieratezza che allontana l’uomo dalle riflessioni su di sé e sul mondo che lo circonda. L’arte si fa strumento di azione e di pensiero, laddove il pensiero ne costituisce l’Alfa e l’Omega.

Lavorando con le parole, per l’artista olandese non esiste altro metodo se non quello del colpire con un’ironia avanguardista i costumi e gli usi di un’epoca nata già malata: così, nello stesso anno della divisa fascista del figlio, il suo ripudio per ogni schema imposto dalla società si palesa negli Emblemata, piccole litografie nelle quali una banale immagine di vita quotidiana si accompagna a poche, sferzanti parole in latino, seguite, in calce all’illustrazione, dal relativo aforisma in lingua fiamminga.  Esemplare il caso dell’Emblemata XXIV, dove si legge che la (vera) depravazione dell’animo sta in un rifugio sicuro, con l’evidente ambiguità giocata dalla rappresentazione di un rifugio per uccellini ermeticamente collocato su un albero, cui fa da sfondo un elegante palazzo romano (che è il vero riparo al quale l’artista allude). Tanto equilibrato è il disegno, tanto feroce il messaggio per l’uomo che legge.

Proprio l’equilibrio è il punto focale dell’Emblemata dove si vede una stadera in cui una donna pesa alcuni frutti al mercato, e mentre in alto si afferma che il giusto equilibrio deve esserci sempre, in tutte le decisioni, l’adagio finale ricorda che la natura è sorta nel pacifico equilibrio degli elementi, mentre l’uomo non sempre sa come pesare (nella bilancia della propria esistenza) quali siano le giuste azioni da compiere.

collage    nnn

Se si è pronti a capire quale senso potesse avere per l’artista mettere in discussione le “fondamenta della Polis” si intuisce con facilità cosa lo abbia spinto a rielaborare, distruggere e sfidare, rifondandoli, i canoni geometrici e i parametri dello spazio fisico nella rappresentazione degli oggetti. Il mondo sono le parole, ma le parole sono le cose, e le cose sono il mondo.

Quando, insieme al suo maestro de Mesquita, si dedicò allo studio delle arti decorative, Escher intuì che tutto quello che l’occhio umano conosceva attraverso le opere d’arte non era mai stato messo in discussione dal punto di vista fisico-filosofico. Nessuna sfida, nessun osare (verbo da lui inteso in senso antitetico a quello dei futuristi della stessa epoca). Decise, allora, di veicolare il proprio messaggio politico, di uomo libero e di artista, attraverso un sapiente mescolarsi di illusioni ottiche, utilizzo delle leggi prospettiche e metafore rappresentative, il tutto orientato al disvelamento di una regula aurea: la geometria è il pretesto per capire che l’esistenza dell’umanità nasce e si sviluppa attraverso forme comuni ed elementari destinate a ripetersi all’infinito. Solo la psiche e l’ego possono trasmutare quelle forme in mille e più variabili, camuffando così quella “armonia primordiale” tra gli infiniti meandri del vivere.

Escher comprese che la vita umana, allora, è solo una Metamorfosi di se stessa e che ogni creazione dell’uomo è soltanto un modo attraverso il quale egli riafferma la propria esistenza, il proprio imporsi al mondo, che egli osserva per vedersi riflesso, quasi tenesse in mano una sfera in cui specchiarsi, dove contemplare solo sé stesso quale baricentro dell’intero universo, trascurando che quanto lo circonda può non essere come appare, e che anzi lo spazio, così logico nei suoi crismi architettonici, guardando bene può confondersi, perdersi, contraddirsi, come «un pavimento che è anche soffitto», come in un gioco. Un gioco molto serio.

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Per informazioni sulla mostra, qui.

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