Felici nonostante tutto. Intervista a Elena Varvello

Quando finisco di leggere un romanzo, specialmente se è un libro appena uscito, mi diverto spesso a rileggere le recensioni uscite nei blog e negli inserti culturali dei giornali più disparati. È un esercizio interessante, lo consiglio a tutti. Le prime righe dell’articolo devono riuscire a riassumere in pochissime parole la trama e l’essenza dell’opera. Per La vita felice (2016) di Elena Varvello, edizioni Einaudi, si parla spesso di romanzo di formazione, di una storia basata sul bipolarismo e su alcune sparizioni sospette.

Certo, La vita felice è in primo luogo la storia di un ragazzo, Elia, e del suo incredibile padre, personaggio enorme. Il padre è un dio folle, capace di tutto, affetto da un bipolarismo che lo avvicina all’onnipotenza come al vuoto più assoluto. La vita felice è anche la storia di una ragazza scomparsa, di un rapimento ad opera di quello stesso padre, un evento che impone un prima e un dopo alla vita di Elia.

Eppure, devo ammetterlo, in questa descrizione non mi ci ritrovo. La vita felice non è un thriller, e non è neanche un lontano parente, un cugino acquisito di un altro fortunato libro basato su una sparizione come Io non ho paura di Ammaniti. Basti pensare al fatto che l’evento attorno a cui ruota La vita felice si risolve nelle prime pagine del romanzo.

La cosa più vera che mi sento di dire su questo romanzo, e in generale sull’autrice, è che Elena Varvello è una scrittrice delle crepe. In ogni sua opera, dalla splendida e terribile raccolta di racconti L’economia delle cose a La vita felice la Varvello ci ha accompagnato in scenari senza tempo, reali e allo stesso tempo simili a quelli di una fiaba nera. Lo ha fatto con uno stile senza fronzoli, che scava ogni frase fino a creare delle voragini. Ma allo stesso tempo, questo romanzo attesta la possibilità di poter attraversare quelle voragini, persino risalire. Più difficilmente, di superarle indenni.

Di questo e molto altro parliamo proprio con Elena Varvello che ringraziamo per aver accettato di rispondere ad alcune nostre domande.

Nei dieci anni trascorsi da L'economia delle cose, ho incominciato a sperare che fosse possibile essere felici. Che sia possibile.

“Possiamo essere tutto, scrivendo. È uno dei grandi regali della scrittura.”

Cominciamo dal titolo! La vita felice, a mio parere, nasconde un punto interrogativo. Non è una constatazione ma una domanda azzardata sulla possibilità di essere felici nonostante tutto. Le risposte che ci dai nel libro sono molteplici, diverse per ogni personaggio, così come le modalità per provare a raggiungere la felicità. In L’economia delle cose la tua visione era molto più pessimista, quasi senza via d’uscita. Qui invece sembri propendere per una speranza ad ogni costo, a oltranza. E tu, personalmente, pensi che sia possibile superare ogni cosa e raggiungere una vita felice?
Hai ragione: il titolo è una domanda. È quello che Elia si chiede per oltre trent’anni, ed è quello che anch’io mi sono chiesta. Si può essere felici nonostante tutto? Cosa significa una vita felice, quando la vita ferisce e spesso la ferita è profonda? Hai ragione anche sulla speranza: nei dieci anni trascorsi da L’economia delle cose, ho incominciato a sperare che fosse possibile esserlo. Che sia possibile. Forse speravo già allora, ma la visione si è fatta più luminosa. La risposta che Elia si dà, adesso è la mia.

Hai deciso di cominciare La vita felice mostrando subito le tue carte. Nel primo capitolo presenti al lettore il fulcro narrativo della storia, il fatto intorno a cui ruoterà tutto il romanzo. Avevi pensato un incipit del genere fin dall’inizio?
L’incipit non è cambiato granché. C’era qualcosa di più, da principio, ma in fondo non è cambiato. Il punto non è mai stato “cosa succede” ma “come” e “perché”. Anche se, lo devo ammettere, per molti anni quell’ultima notte ha rappresentato un mistero, nel senso che non avevo la più pallida idea di come sarebbe andata a finire. Ma il fatto che Ettore avesse portato la ragazza nei boschi sentivo di doverlo raccontare all’inizio, per poi lavorare su quello che m’interessava di più.

La vita felice

“Nei dieci anni trascorsi da L’economia delle cose, ho incominciato a sperare che fosse possibile essere felici. Che sia possibile.”

Ho notato una certa delicatezza nel tratteggiare la mamma di Elia. Come puoi ben immaginare, è un personaggio che rimane facilmente inviso al lettore: attaccata al marito in maniera acritica e corrosiva, fino ad esserne schiacciata, ed elusiva alle richieste del figlio. Una figura femminile passiva rispetto ad Anna (che vede, giustamente, come sua rivale). Ho avvertito una tua volontà di riabilitarla, di mostrare la bontà delle sue ragioni. È solo una mia impressione?
Tengo moltissimo a Marta, anche se immagino e capisco le reazioni che suscita. Non ho mai sentito il bisogno di riabilitarla. È Marta a dire le frasi che mi hanno commossa di più, è lei ad avermi insegnato cosa significa la compassione. Non credo che sia una donna passiva, anche se Elia l’ha pensato per anni, e, dal suo punto di vista, aveva ragione. È che bisogna aspettare, con lei, bisogna avere pazienza.

Ti senti più una scrittrice di romanzi o di racconti? Con quale genere ti senti più a tuo agio?
Amo i racconti con tutta me stessa, li ho sempre amati. Mi hanno insegnato gran parte di quello che so. Credo di essere arrivata a un punto, comunque, in cui è il romanzo a essere casa, per me. A Ponte ci sono un fiume e un torrente: diciamo che, per quanto mi piaccia il torrente, sento il bisogno di sedermi a guardare il fiume.

Ti sei rotta le scatole della solita domanda “ma come mai una scrittrice ha scelto di usare una voce narrante maschile”? Io ho trovato la voce di Elia molto credibile, dalle fantasie su Anna al rapporto “cameratesco” con Stefano. Per non parlare dell’imbarazzo con il padre. Hai fatto una ricerca “linguistica” o ti è venuto naturale?
Ma no, non mi sono rotta le scatole! È solo che non ho dovuto pensare a Elia: è stato lui a venire da me. Non mi sono mai posta domande o problemi riguardo a una voce narrante maschile. In questo senso non c’è mai stata ricerca linguistica, non più di quella che una voce femminile avrebbe comportato. Avrei comunque impiegato degli anni, ne sono certa… Possiamo essere tutto, scrivendo. È uno dei grandi regali della scrittura.

Dopo un romanzo così bello e angosciante, ci suggeriresti un libro e un film che ti fanno ridere ogni volta?
Non ho alcun dubbio: tutti i racconti di David Sedaris e Provaci ancora Sam di Woody Allen. Saper far ridere è meraviglioso…

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