Frank R. Pierson, tra sceneggiatura e realtà

L’assioma “film uguale regista” penalizza troppo spesso irrimediabilmente la figura dello sceneggiatore. È un cavaliere invisibile (o per mantenerci in termini filmici Cavaliere Oscuro), che tira le fila della creazione nell’ombra, e si muove di soppiatto tra l’anonimato e il riconoscimento di nicchia da parte dei topi da cinema.

Non stupisce dunque che un colosso come Frank  R. Pierson sia sconosciuto ai più. Sceneggiatore regista e produttore televisivo e cinematografico pluripremiato e dallo stile inconfondibile, Pierson è il tipico esempio di artista purosangue, che con competenza e talento, confeziona scene e dialoghi di ineguagliabile pregio.

Figlio d’arte (anche il padre è scrittore), nasce a Chappaqua (New York) il 12 maggio 1925 e muore a Los Angeles il 22 luglio 2012. Combatte nella seconda guerra mondiale e si laurea in antropologia culturale all’Università di Harvard.

La sua vocazione per la scrittura non tarda a farsi sentire, e Pierson si lancia nell’ambito giornalistico, corrispondendo per riviste quali Time e Life. Esordisce sul piccolo schermo dapprima come sceneggiatore e poi come story editor, regista e produttore di popolari programmi per tre dei più importanti networks statunitensi, scrivendo alcuni episodi di serie TV (Have GunWill Travel, La città in controluce).

Frank R. Pierson

Frank R. Pierson

Debutta al cinema con Cat Ballou (1965) diretto da Elliot Silverstein, adattamento di un romanzo di R. Chanslor, scritto con Walter Newman. È il trampolino di lancio che gli permette di acquisire credibilità come sceneggiatore emergente e di iniziare a sgomitare nel magico mondo del cinema. Si accaparra una nomination per la migliore sceneggiatura non originale, ma viene surclassato da  Robert Bolt  (Il dottor Zivago). Cat Ballou, l’unica autentica commedia della produzione di Pierson, consiste in una divertente parodia western con Jane Fonda e Lee Marvin, che capovolge l’originario senso serio del romanzo. Si aggiudica anche una menzione speciale al Festival di Berlino. Lavora a The Happening (Cominciò per gioco…), regia di Elliot Silverstein (1967), replicando il sodalizio col regista, ma non il successo di Cat Ballou.

Nello stesso anno, Frank Pierson cambia uomo ma non taglio di capelli, collaborando a  Cool hand Luke (Nick mano fredda), diretto da Stuart Rosenberg e tratto da un romanzo di D. Pearce. Il film ruota intorno alla figura di un Paul Newman ribelle e alla brutalità di un campo di lavori forzati nel Sud degli Stati Uniti. Pierson ottiene la seconda nomination all’Oscar per la migliore sceneggiatura non originale (1968), ma anche stavolta, a un passo dal premio, se lo vede soffiare da Stirling Silliphant, con La calda notte dell’ispettore Tibbs.

Il ’71 è l’anno di The Anderson tapes (Rapina record a New York) di Sidney Lumet, adattamento di un romanzo di Lawrence Sanders. Duke Anderson (Sean Connery), appena uscito di prigione, decide di rapinare il palazzo in cui vive Ingrid, la sua ragazza, con l’aiuto di un boss mafioso. Questo thriller drammatico si situa in quel filone criminale tanto caro a Pierson. cat ballouNel ’75 infatti, lo sceneggiatore tocca l’acme della sua carriera con uno dei film più discussi e riusciti dell’anno (e non solo): Dog day afternoon, tradotto maldestramente in italiano Quel pomeriggio di un giorno da cani (Dog days si riferisce ai giorni di canicola estiva, detti così poiché in questi giorni si può vedere la costellazione del Cane Maggiore, perciò la traduzione corretta sarebbe Pomeriggio di canicola).

La coppia Pierson-Lumet colpisce ancora, e il film si aggiudica sei nomination agli Oscar, ottenendo il premio per la miglior sceneggiatura originale e giudizi generalmente positivi da critica e giornali.  Se la realtà è la migliore fonte di ispirazione per ogni scrittore, Pierson prende queste parole alla lettera, convertendo in film eventi realmente accaduti. La trama è infatti incentrata su una rapina realmente intentata in una banca di Brooklyn (New York), il 22 agosto del 1972, da Sonny Wojtowicz (interpretato da Pacino) e Salvatore Naturale (interpretato da Kazale). Il film rappresenta gli eventi principali di quanto riporta l’articolo “The Boys in the Bank” (Life). Quella che doveva essere una rapina-lampo di Sonny per finanziare il cambio di sesso dell’amante, degenera maldestramente nella presa in ostaggio dei dipendenti della banca e finisce per durare quattordici ore. Alla fine Sonny viene condannato a venti anni di carcere, poi ridotti a quattordici.

The Boys in the Bank

The Boys in the Bank

Ma stavolta è la realtà a riservare un relativo lieto fine a Wojtowicz, che, incassata la sua percentuale del film, può finalmente aiutare il suo amante a coronare il proprio sogno. Nel film si distingue la magistrale interpretazione di un giovane e talentuoso Al Pacino, che oltre agli impiegati di banca tiene in ostaggio lo spettatore, incollandolo allo schermo e trascinandolo nell’introspezione psicologica e nell’abisso di una tensione palpabile.

Pierson supera se stesso nella strutturazione di monologhi e dialoghi. Ha già diretto The looking glass war (1969; Lo specchio delle spie), quando nel ’76 si mette alla prova nel remake di A star is born (1976; È nata una stella), di cui scrive anche la sceneggiatura.

gypsiesNel ’78 è il regista di King of the gypsies (1978; Il re degli zingari), da un romanzo di Peter  Maas, che attraverso il conflitto scoppiato fra tre generazioni di zingari ritrae il mondo gitano nel contesto urbano di New York. Dopo un intervallo televisivo, torna al cinema con la sceneggiatura di In country (1989; Vietnam: verità da dimenticare) di Norman Jewison, adattamento di un romanzo di Bobbie Ann Mason sui reduci del Vietnam, cui ha fatto seguito Presumed innocent (1990; Presunto innocente), scritto con il regista Alan J. Pakula,  trasposizione cinematografica del best seller di Scott Turow. Tra le altre serie TV, collabora a Un vero sceriffo (Nichols) (1971-1972) – 24 episodi, The Good Wife (2010) – 1 episodio, Mad Men (2012) – 1 episodio.

Pierson è un autore dalla firma inconfondibile, ma allo stesso tempo poliedrico e camaleontico, capace di adattarsi plasticamente a vari tipi di scrittura e ruoli. Predilige i non eroi, i personaggi che titanicamente e talvolta tragicomicamente falliscono. Il protagonista di Pierson è insomma un eroe perdente, che non necessariamente provochi pena nello spettatore, ma che ne catturi l’attenzione. Introspettivo e tagliente, in Dog day afternoon, sua sceneggiatura-capolavoro, paralizza il pubblico. Venuto a mancare due anni fa, in un pomeriggio di caligine, Pierson rimane uno sceneggiatore degno di nota e ancora pieno di fascino.

 

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