Gli ostacoli del Bio

La domanda di prodotti biologici è sempre più alta e l’Europa si conferma ai primi posti del mercato mondiale con Germania, Francia e Regno Unito sul podio. Di fronte ad una delle più grandi crisi economiche mai affrontate e alla conseguente messa in discussione delle attuali modalità produttive, il bio non solo resiste, ma addirittura cresce e si espande a velocità elevate.

Secondo il rapporto Bio in cifre 2014 elaborato dal Sinab (Sistema d’informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica) e da Ismea, i consumi nel mercato del nostro Paese sono cresciuti del 17,3% nei primi cinque mesi del 2014 rispetto allo stesso periodo relativo all’anno precedente. Ma i metodi di coltivazione rispettano davvero gli standard dell’agricoltura biologica? Stando ai recenti dati riguardo truffe e contraffazioni nell’agroalimentare, un losco giro d’affari che nel 2013 è costato all’EU dodici milioni di euro, qualcosa ci dice che il rispetto delle norme non è prioritario quando si parla di bio. Secondo un articolo del Der Spiegel riportato sul settimanale italiano Internazionale, le aziende del settore sono sempre più simili a quelle dell’agricoltura industriale. Dimentichiamoci dunque l’immagine della fattoria a conduzione familiare, delle coltivazioni e degli allevamenti estensivi che rispettano l’uomo, gli animali e l’ambiente: oggi anche il biologico mira al guadagno e lo fa a scapito dei consumatori e della terra che calpestiamo.

Navigando sul sito della commissione europea alla sezione agricoltura e sviluppo rurale si legge che la produzione biologica è identificata come un metodo produttivo che rifiuta ogni tipo di organismo geneticamente modificato e raffinato avendo cura degli ecosistemi naturali in nome di una sola fondamentale regola: il rispetto della sostenibilità. Un prodotto viene poi definito biologico se almeno il 95% dei suoi ingredienti risponde agli standard necessari. Stando a questi fatti, si direbbe che l’agricoltura biologica costituisce l’invenzione del secolo: impiego esclusivo di sostanze naturali, rispetto di tempi e cicli produttivi, preservazione del suolo, acqua e aria grazie all’utilizzo di un metodo che, come afferma l’AIAB  Associazione italiana per l’agricoltura biologica (n.d.a.) , vada a creare «un sistema di sviluppo che possa durare nel tempo». In aggiunta alle norme di produzione europee, vi sono poi altre qualità facoltative che i produttori possono attribuire ai loro prodotti in base ad un comportamento che tenga conto del principio della sovranità alimentare, della riappropriazione degli spazi rurali e della tracciabilità da parte del consumatore.

Eppure, nonostante una direttiva europea (si direbbe) molto dettagliata e severa, negli ultimi anni truffe e frodi nel mondo del bio sono sempre più all’ordine del giorno. Complice anche l’aumento di scandali nel settore alimentare convenzionale (si pensi al caso della mucca pazza del 2000 o a quello più recente dell’escherichia coli del 2008 e del 2010), il giro d’affari del mercato del biologico cresce in maniera esponenziale e con esso anche la possibilità di essere imbrogliati. Sì, perché per accertare il fatto che un prodotto rispetti determinati canoni e possa quindi considerarsi biologico, pare non basti più neanche la fogliolina verde dell’EU, la quale dovrebbe essere frutto di accurati controlli da parte di esperti ed enti certificatori.

downloadIl 28 gennaio scorso, ad esempio, la Guardia di finanza di Pesaro, nell’ambito dell’indagine Vertical Bio, ha scoperto una maxi truffa che ha portato alla denuncia di 35 persone, accusate di aver importato falsi prodotti biologici dall’est europeo: la merce, per un totale di 26 milioni di euro, era costituita soprattutto da granaglie destinate anche all’alimentazione umana (soia, mais, lino ecc.) e proveniva principalmente dalla Moldavia, dall’Ucraina e dalla Romania. Relativa allo scorso anno è, invece, l’indagine Aliud Pro Olio, condotta dalla magistratura di Trani in collaborazione con l’ispettorato repressione frodi di Roma e Bari. Malgrado fosse un prodotto scadente (scarto della ristorazione) e fosse importato dalla Spagna, l’olio veniva spacciato per biologico di alta qualità ed interamente made in Italy, sotto il controllo di alcune organizzazioni criminali pugliesi in associazione con la complicità di imprese operanti nel settore oleario italiano. falsobio01Occorre anche sottolineare come il panorama del falso bio italiano non si limiti al settore agroalimentare: anche il mercato dei prodotti non food (cura della persona, cosmetici, prodotti per la casa, tessuti) è un bersaglio molto allettante. In particolare, lo scorso dicembre, il programma Report ha sottolineato le incongruenze riguardanti il mercato dei prodotti cosmetici biologici e naturali tramite l’inchiesta del giornalista Emanuele Bellano. La tesi principale è molto chiara: trattandosi di un mercato in fortissima espansione (400 milioni di euro di fatturato alla fine del 2014) le norme sono ancora poche e poco chiare, per cui non è difficile far passare un prodotto per quello che in realtà non è, appunto biologico e naturale. Attualmente, afferma il giornalista, nei cosmetici bio la certificazione non è obbligatoria, quindi ogni azienda decide se farsi certificare o meno. Inoltre, sono molti i farmacisti e i negozianti che affermano di non credere al biologico, il che porterebbe quasi ad associare questo settore ad una religione o ad una setta. Nulla di più sbagliato: non è una questione di fede, bensì una questione di rispetto delle regole alla cui base troviamo la volontà di costruire una valida alternativa ai prodotti industriali dannosi per l’uomo, gli animali e l’ambiente.

Purtroppo, però, è anche da evidenziare il fatto che contraffazioni e controlli mancanti siano solo alcuni degli ostacoli che la produzione biologica incontra. Oggi come oggi un agricoltore che sceglie di lavorare la sua terra in maniera rispettosa e con metodi non intensivi deve far fronte a molte difficoltà: le terre coltivabili che non bastano, la minaccia dell’aggressiva concorrenza estera, gli eccessivi costi da sostenere e la burocrazia fanno sì che sempre più aziende agricole entrino in crisi o peggio, si convertano ai metodi convenzionali. In Germania, ad esempio, dove nel 2013 le vendite sono aumentate del 7,2% e il volume d’affari è più che raddoppiato, le aziende agricole biologiche e i terreni destinati alla coltivazione bio sono cresciuti rispettivamente solo del 2 e dell’1%. E ciò che risulta più difficile da credere è che il principale responsabile di queste anomale cifre sia la produzione di biogas, cioè una miscela di gas che si forma spontaneamente e che, se bruciata, genera calore ed energia elettrica; le politiche di incentivazione parlano di produzione ecologica di energia ma, in questo caso, l’ecologia c’entra ben poco. Per produrre energia con le piante, infatti, in Germania c’è bisogno di almeno «un quinto di tutta la superficie coltivabile» riporta il Der Spiegel, per cui è chiaro che i piccoli agricoltori bio non trovano più spazio e spesso sono costretti a vendere i terreni in affitto alle grandi aziende sovvenzionate dallo Stato.

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Il vero problema è che il biologico non rispetta più la sua idea originaria: ormai è solo questione di marchio, di società quotate in borsa e di guadagno; e chi prova realmente a cambiare e fare la differenza spesso vede distrutto il suo lavoro insieme ai suoi princìpi. Sembra si possa dire addio ai nobili ideali e dare il benvenuto al cosiddetto “Biologico per tutti”, cioè mercato di massa e prodotti a prezzi esorbitanti, più belli che buoni. Oppure si può agire diversamente e prendere atto che il semplicistico “bio per tutti” non può esistere, riconoscere che la resa di riso convenzionale e riso biologico non può essere la stessa e che in natura non c’è traccia di mele senza ammaccature. Per ridare credibilità al settore biologico, in special modo parlando di quello europeo, occorre (ri)stabilire le regole in maniera comunitaria, istituire controlli più serrati e «tornare al modello della fattoria», come afferma il capo della tedesca Bioland, per esempio eliminando le aziende miste e ripristinando l’antico metodo della rotazione delle colture. Il biologico ha bisogno di una vera e propria rivoluzione che lo riporti alle origini, ma per fare questo è di fondamentale importanza il rapporto sinergico tra istituzioni, produttori e consumatori consapevoli. Per poter andare avanti occorre fare un passo indietro partendo, ad esempio, dalla ridefinizione del termine biologico, con tutte le conseguenze che questo comporta.

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