Goodbye FIAT (seconda parte)

E dunque, dopo un inizio di millennio tra luci (poche) e ombre (sempre più numerose), Marchionne, prese le redini della Fiat, ha una missione: trovare un partner al quale ancorare la propria scialuppa che non è in buone condizioni.

L’ancora di salvezza dell’azienda torinese, dopo le trattative fallite con General Motors, viene trovata sempre in terra straniera e sempre a Detroit, e porta il nome di Chrysler. Considerata la minore di tre sorelle nate nella stessa città (le altre due sono GM e Ford), Chrysler, quando nel 2009 comunica ufficialmente di essere in contatto con Torino, non se la passa bene. L’anno prima ha registrato perdite a non finire e dopo un iniziale tour dei suoi amministratori delegati per stringere accordi con potenziali marchi di auto stranieri di tutto il mondo per cercare di attutire gli effetti della crisi, tenta addirittura anche lei la strada di GM, che risponde no, grazie, come con Fiat.

Sergio Marchionne è entusiasta, ad agosto 2009 inizia a fare una vera e propria spola tra Detroit e l’Italia, non trascurando i contatti con la Casa Bianca, che dopo aver approvato con Bush un prestito pubblico all’industria dell’auto per circa 700 miliardi di dollari, si trova in quell’anno ad avere un nuovo presidente, l’Obama rieletto qualche settimana fa, il quale vuole vederci chiaro sulla faccenda, perché sa che i posti di lavoro del comparto automobili sono tanti così come sono molti gli sguardi critici nei confronti di finanziamenti pubblici al mercato privato.

Il Presidente Obama mette insieme, allora, una task force incaricata di gestire materialmente i termini del “matrimonio” italo-americano in vista. La dirigenza Chrysler viene così scavalcata, e in campo, di fronte a Marchionne, entra in gioco direttamente lo staff di Washignton. Entrambe le parti sanno che la questione è delicata: a Torino bruciano ancora i ricordi di quando negli anni’80 la Fiat dovette “abbandonare” la piazza degli Usa per la reputazione di basso livello che il marchio si era fatto negli States (come raccontano Serena Di Ronza e Liliana Faccioli Pintozzi nel loro brillante saggio Sergio l’americano, il nome Fiat era stato trasformato come acronimo di “Fix It Again Tony”, riparala di nuovo, Tony, con evidente riferimento alla scarsa qualità delle auto torinesi). Il governo, dal canto suo, benedice l’accordo non solo perché rappresenterebbe, a fronte di un piano industriale solido, il rilancio di una vasta area di mercato realmente depressa, ma permetterebbe anche ad Obama di compiere un passo da neo presidente sicuramente vincente sotto il profilo della propria statura politica.

I futuri sposi, insomma, si piacciono, e Marchionne si muove a tutto tondo per sembrare il partito migliore in vista delle nozze. La sua proposta è semplice, mandare la Chrysler in bancarotta per poterla far ripartire da zero con nuovi assetti, il tutto con due contropartite: la prima, un prestito-ponte del governo Usa da restituire a scadenze prefissate riprendendo la produzione, la seconda, rilanciare proprio la produzione trasferendo competenze tecnologiche Fiat in Chrysler per un valore di circa 3 miliardi di dollari, in modo da incentrare la costruzione delle nuove vetture su prodotti più ecologici e moderni.  Il piano convince gli Stati Uniti, e alla fine Fiat subentra nella nuova Chrysler con una quota superiore al 30%, prevedendo fino al 2016 un acquisto progressivo di azioni per portarsi, in prospettiva, ad avere il 61%.

Detroit riparte, il 2010 è l’anno del grande rilancio, e un ruolo decisivo nella riuscita dell’operazione è da riconoscere alla Uaw, la più grande confederazione sindacale di operai metalmeccanici americana, che attraverso il fondo Veba detiene le quote di maggioranza della proprietà di Chrysler. Anche lei ha partecipato alle trattative, durante le quali Marchionne ha chiesto sforzi enormi, con tagli di salari pesanti ma posti garantiti. Ed effettivamente, fino al 2011 tutto pare aver funzionato.

Il 2012 porta con sé dati che fanno pensare ad un vento che cambia, ed infatti anche se Obama è stato rieletto e, dunque, dal punto di vista politico tra Fiat e Usa c’è grande sintonia, meno entusiasmo sembra arrivare dagli advisor e dai grandi investitori, che tengono sotto osservazione Chrysler e Fiat. Le ultime notizie secondo le quali i due marchi si fonderanno nel 2014 non hanno entusiasmato i mercati, che hanno risposto con un abbassamento del prezzo delle azioni del gruppo. Ecco che l’ad di Fiat, che aveva firmato a quattro mani un accordo col fondo dei lavoratori per acquistare da quello a scaglioni le quote Chrysler ad un determinato prezzo, ha colto la palla al balzo per abbassare il prezzo di acquisto, sostenendo che la riduzione del costo è effettivamente giustificata dal ribasso finanziario registrato in borsa: Veba si è opposta, e al momento la questione è davanti ad una corte federale statunitense.

Sul campo, negli Usa Fiat ha portato la 500, che dopo un iniziale flop ha cominciato a fare qualche numero in più, nel frattempo Chrysler ha lanciato una berlina che ha lo stesso telaio dell’Alfa Romeo Giulietta, e proprio l’Alfa Romeo, che negli Usa manca da trent’anni, è il cavallo su cui Marchionne vuole puntare per il futuro, producendo una spider che ricordi il Duetto (vedi Dustin Hoffman ne Il Laureato), che, lui spera, possa piacere tanto ai clienti di oltre oceano, e che pur chiamandosi Alfa sarà per metà giapponese, vista la joint venture con Mazda annunciata allo scopo.

But what’s happening in Italy?

fonte: www.automania.it

Il mercato nostrano rallenta sempre di più, viene proposto con un nuovo motore l’ennesimo restyling della Grande Punto, che perde il nome Grande dopo essersi chiamata nel frattempo Punto Evo (intanto tutta la concorrenza sforna modelli nuovi), e mentre la 500 viene offerta in sempre più versioni (forse troppe), escono due nuove vetture: la Nuova Panda e la 500L (un ibrido tra utilitaria e monovolume), che in comune hanno una caratteristica tipica del nuovo modo di produrre in casa Fiat. Entrambe sono chiamate a rappresentare il marchio italiano in Europa e nel mondo, ma nessuna delle due, a dispetto degli spot pubblicitari, è italiana, dal momento che Marchionne ha fatto in modo di ottenere dal governo serbo fior di contributi  e sgravi fiscali, in cambio del trasferimento di know how tecnologico e professionale negli impianti di produzione costruiti a Kragujevac.

fonte: www.alvolante.it

Lo stesso Marchionne, in occasione giusto della presentazione della 500L dichiara: in Italia, con un milione e quattrocentomila vetture vendute, non possiamo investire in modelli nuovi perché, in sostanza, “non ci stiamo coi soldi”, e se siamo dove siamo è solo grazie a quello che abbiamo fatto in Usa perché altrimenti avremmo dovuto chiudere tutto.

Sul fronte degli stabilimenti la situazione è ancora più nera: dell’iniziale progetto Fabbrica Italia, fiore all’occhiello delle politiche marchionniane, destinato al risanamento delle infrastrutture Fiat attraverso l’ammodernamento delle fabbriche e al mantenimento dei posti di lavoro, rimangono solo le speranze (svanite) e le entusiastiche scritte all’ingresso degli impianti, “Noi siamo quello che facciamo”. L’azienda conduce una battaglia durissima con i sindacati metalmeccanici, Fiom in testa, ricorrendo a licenziamenti che il tribunale di Roma dirà essere illegittimi, e rispondendo con toni ancora peggiori alla sentenza, il succo: “se dobbiamo riassumere quelli che abbiamo licenziato, ne dobbiamo comunque mandare a casa altrettanti, perché siamo già in sovrannumero”, per poi ricorrere allo strumento dell’istigazione all’odio sociale tra operai, affermando che coloro che devono essere reintegrati dopo la pronuncia dei giudici sono dei privilegiati. Questo, dopo aver chiuso lo stabilimento più longevo dopo Mirafiori, Termini Imerese.

Polemiche aspre, atteggiamenti poco patriottici, vendite scarse e nuovi modelli latitanti: la prima mossa della partnership con Chrysler è stata quella di introdurre nella gamma Fiat un’auto a dir poco insensata per il mercato italiano, la Freemont, ovvero la vecchia americanissima Dodge Journey che poco aveva venduto in tutto il mondo, risultato: un Suv costoso, dispendioso nei costi gestione, con motori a metà tra piattaforme americane e italiane, prodotto in parte negli Usa e poi, una volta trasportato in Europa via container, finito di assemblare in Italia.

fonte: www.worldcarfans.com

Al quadro non proprio felice si aggiungono le sorelline italiane di Fiat, Lancia e Alfa Romeo. La prima sopravvive grazie all’utilitaria Y, stesso telaio della Panda, alla quale si aggiungono altri quattro modelli (tre sono automobili Chrysler di qualche anno fa con nome diverso) piuttosto ignorati dal mercato. Qualche settimana fa Marchionne in persona ha annunciato la futura scomparsa del marchio, adducendo come giustificazione lo “scarso appeal” dello stesso (con contestuale rivolta di tutti gli appassionati di motori che negli anni ’80 hanno sognato grazie alle vittorie mondiali Lancia nei rally, prima con la Stratos e poi con la indimenticata Delta, protagonista già nella sua versione speciale S4).

fonte: www.autoblog.it

Alfa Romeo, invece, turba i sonni del manager da quando esplose il “caso 159”: nel 2005 venne lanciata per sostituire la 156, con ambizioni volte a scardinare lo strapotere straniero – tedesco – nel segmento berline, ambizioni in ragione delle quali si parlò di un miliardo di investimenti. Il risultato però fu diverso, ossia un’auto esteticamente accattivante ma poco affidabile, costosa, qualitativamente non all’altezza della concorrenza; ragioni che decretarono l’immediata svalutazione sul mercato dell’usato e un crollo abbastanza deciso delle vendite, tanto che ad oggi, dopo 7 anni, viene proposta ancora nuova ad una cifra lontana dal prezzo inizialmente richiesto, in poche versioni, mentre i piazzali dei rivenditori ne sono colmi (il tutto senza considerare che da berlina di lusso è stata riconvertita anche ad auto delle forze dell’ordine, operazione non proprio confacente ad un brand che punta sulla sportività chic). Marchionne stesso ebbe modo di definire la 159 “un errore”, così che la futura sostituta chiamata Giulia verrà prodotta con telai e componentistica in condivisione sia con Chrysler che con Fiat, con buona pace di tutti quei clienti che si aspettavano un ritorno dell’Alfa Romeo come auto a sé, non come una Fiat diversamente marchiata.

Il 2012 si chiude, in ribasso a tutti i livelli, e mentre l’unica ricetta “di famiglia” che sembra funzionare è quella del marchio Ferrari (che costituisce, va detto, un mercato a parte), la situazione sembra più che mai di stallo, ma il 2013 è vicino e in Italia l’auto deve ripartire.

Per il momento, è curioso vedere che tutti gli operai italiani di Fiat passeranno il periodo natalizio in cassa integrazione, mentre a Detroit, proprio a fine dicembre, verranno assunti altri 1.100 lavoratori per produrre i nuovi SUV Chrysler.

Nel frattempo Fiat lancia in USA la nuova 500 completamente elettrica e, nella prossima estate, presenterà la versione Trekking della 500L, ad hoc per il mercato a stelle e strisce, dalla Serbia con furore.

(continua qui)

Photocredit immagine di copertina: pitstopracingcar.it

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