Il disastro dell’uragano Harvey – Quando il cambiamento climatico è già una realtà

120 cm di pioggia caduti in quattro giorni e raffiche di vento fino a 200 km/h. Un bilancio provvisorio di 50 vittime accertate, 30.000 sfollati, migliaia di salvataggi e un danno economico che oscilla tra i 75 e i 190 miliardi di USD. Questi i catastrofici numeri dell’uragano Harvey, abbattutosi sulla costa del Texas nella notte tra il 24 e il 25 agosto e classificato come un uragano di categoria 4 (su una scala di 5). Un evento climatico estremo, trasformatosi in una catastrofe umana, volendo citare le parole della giornalista e scrittrice canadese Naomi Klein, che senza mezzi termini annuncia: “Now is exactly the time to talk about climate change”.

2017-09-03

Una volta per tutte, occorre portare alla luce che il cambiamento climatico in atto, di cui Harvey è solo uno dei tanti esempi sotto i nostri occhi, è una questione non più procrastinabile e, cosa ancora più importante, è un temaessenzialmente politico. È ormai riconosciuto che la frequenza e l’intensità di tali eventi climatici siano aumentate nel corso dei decenni, assumendo forme senza precedenti che ad ogni occasione si rivelano peggiori di qualsiasi previsione. Così come ribadito da Klein, è tempo di smettere di ritenere tali eventi frutto del caso o di qualche punizione divina: è giunto il momento di parlare chiaramente della realtà delle cose, del fatto cioè, che ciò che gli scienziati ribadiscono da almeno venti anni è in pieno svolgimento, nonostante vi sia ancora un nutrito comparto negazionista.

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Il clima è cambiato e se continueremo ad adottare gli stessi piani e modelli di sviluppo odierni, cambierà sempre più rapidamente, al punto che gli uragani dell’intensità di Harvey saranno la regola e non l’eccezione. Tempeste sempre più distruttive, prolungate siccità e alluvioni in molte parti del mondo saranno il principale problema da affrontare nei prossimi anni. E il fatto che gli Stati Uniti, una super potenza con un Indice di Sviluppo Umano tra i più elevati al mondo, continui a non voler riconoscere questa realtà, è un enorme ostacolo per tutti, nonostante si dica il contrario.

2017-09-05

Ciò di cui l’amministrazione Trump si sta rendendo protagonista, è una nuda e cruda involuzione rispetto ai passi avanti fatti in rapporto alla gestione del cambiamento climatico, frutto di lente negoziazioni, il più delle volte fallite. A nulla sono servite le precedenti esperienze di Katrina e Sandy: Trump nega e gli Stati Uniti rimangono immobili di fronte alle catastrofi, che hanno radici ben più profonde e conseguenze più destabilizzanti di quelle visibili a poche ora dal disastro. Il cambiamento climatico richiede un’azione preventiva, un’educazione, una preparazione collettiva, ma gli sforzi politici odierni non sono ancora abbastanza se davvero vogliamo tentare di arginare tale problematica. Il dibattito sul cambiamento climatico e sul riscaldamento globale non deve limitarsi allo studio dei dati scientifici, che da soli non bastano per affrontare una questione che è allo stesso tempo politica, economica e sociale. Se da un lato è ormai chiaro che temperature più calde sia oceaniche sia atmosferiche producono inevitabilmente un pesante squilibrio all’interno della naturale variabilità climatica, con eventi climatici più devastanti, vi sono ancora dubbi e perplessità sul modo di agire per contrastare tali effetti.

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Dubbi e perplessità che il più delle volte nascondono spiegazioni di altro tipo, in primis la salvaguardia di interessi privati che il comparto politico preferisce tutelare a scapito del benessere e della sicurezza della popolazione mondiale. Sebbene non tutte le amministrazioni si lascino guidare dall’egoismo e dalla scarsa lungimiranza di Trump, soldi e potere fanno gola ancor più che in passato: fino a che le fonti di guadagno giungeranno dal “curare” e non dal “prevenire”, fino a che il modello di sviluppo procederà nella direzione opposta a quella che dovrebbe seguire, fino a che il cambiamento climatico sarà considerato un problema e non un’opportunità di miglioramento, non vi sarà soluzione.

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Seppure risalenti a qualche anno fa, le parole della giornalista Rachel Godfrey Wood sul Guardian sono di estrema attualità: “Bad things cause suffering and tragedy, but they can also destabilise the status quo, open space for new discussions, and give an impetus to groups looking for positive change”. Questo è il modo con cui dovremmo intendere e affrontare gli effetti negativi del surriscaldamento globale. Invece, se da un lato si tende sottostimare e sottovalutare i rischi del cambiamento climatico, dall’altro i toni utilizzati per descriverne gli effetti sull’umanità sono spesso apocalittici e sterili, senza dare spazio a un vero e proprio dibattito costruttivo, che punti alla reale soluzione di un problema globale e che, quindi, come tale deve essere affrontato. Nello stesso momento in cui Harvey si abbatteva sul Texas, portando al collasso il tessuto sociale di Houston e di altre località limitrofe, più di mille persone venivano uccise in India, in Nepal e in Bangladesh dalle peggiori inondazioni degli ultimi anni, e lo stesso accadeva in Sierra Leone, dove la capitale Freetown veniva seppellita da una colata di fango, sopraggiunta dopo giorni di piogge torrenziali. Al di là del differente risalto mediatico dato ad ognuno di questi eventi, si conferma quanto detto precedentemente: il cambiamento climatico non conosce confini, né distingue tra ricchi e poveri, tra Nord e Sud del mondo.

AdaptationPlanningAffrontare in modo razionale e coordinato gli effetti del cambiamento climatico significa anche evitare di assistere ancora una volta a scene come queste, che altrimenti diverrebbero una preoccupazione quotidiana. Dati alla mano, governi, aziende, investitori e società civile dovranno rendersi conto che la sola possibilità di far fronte ai cambiamenti climatici risiede in una effettiva transizione ecologica: non l’idea utopica di un mondo perfetto, bensì investimenti in tecnologie non inquinanti e fonti energetiche verdi, nuovi modi di concepire e costruire le città che dovranno necessariamente essere più resilienti, innovativi metodi di produzione agricola e industriale, più attenzione all’equità e alla giustizia sociale e ambientale.

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Come scrive Mark Pelling nel suo saggio «Adaptation to Climate Change: From resilience to transformation»: l’adattamento al cambiamento climatico è un’opportunità di riforma sociale, un’occasione per interrogarci sui valori che oggi guidano il nostro modello di sviluppo, oltre che sulla nostra insostenibile relazione con l’ambiente. Se, come afferma Pelling, l’adattamento al cambiamento climatico è un atto politico e sociale, con l’uragano Harvey, gli Stati Uniti ricchi e all’avanguardia, hanno appena dato prova di essere estremamente negligenti, e i prossimi anni non si prospettano di certo migliori. Per cui inutile dirlo, se non ci sarà un’inversione di rotta, scene come quelle di Houston, con le strade che diventano fiumi impazziti, saranno all’ordine del giorno. E sarà solo colpa nostra.

 

Le foto sono state prese da: www.PolitiFact.com, www.newyorker.com, www.cnn.com, www.amazon.com, www.nbaa.org, www.washingtonpost.com, www.news.asce.org

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