Il filo nascosto – La moda come metafora

L’ultima opera di Paul Thomas Anderson, quasi interamente girata in atelier, non si occupa tuttavia dell’industria della moda. È vero che il protagonista è un sarto, Reynolds Woodcock (Daniel Day-Lewis), ma la vicenda, sebbene ispirata alla vita dello stilista Charles James, non intende concentrarsi sulla sua carriera. Insomma, chi si aspetta un biopic in stile Saint Laurent potrebbe rimanere deluso. E questo non tanto per la qualità dei costumi, che meritano un Oscar al pari delle musiche (composte da Jonny Greenwood, chitarrista dei Radiohead), ma, piuttosto, perché è sulla trama che il regista investe.

phantom thread 1Come già denuncia il titolo originale, Phantom Thread, l’interesse di Anderson ruota tutto attorno a un filo. Per quanto infatti i ricami possano impressionarci, e così il taglio degli abiti, è la fodera che ne definisce la forma. La struttura interna, nascosta, è poi quella che più si presta ad accogliere i segreti, a trasformare gli orli in scrigni. Qui il filo non lascia tracce, o, se lo fa, non le rende visibili. Ed è appunto qui, nel rivestimento, che vivono i nostri fantasmi. Lo sa bene Woodcock, che quegli abiti li confeziona, e che fa proprie le superstizioni dell’ambiente in cui lavora. L’intera sua esistenza ne è influenzata, e poco importa che si tratti di credenze o convinzioni, di compulsioni o scaramanzia: ogni suo gesto tradisce un’ossessione. La maniacalità che distingue il suo operato la si ritrova anche nella vita privata, e non serve scomodare Edipo per intuire che, alla radice dei suoi insuccessi relazionali, risiede l’ossessiva presenza della madre. Il giovane cineasta, in questo, è ancora più esplicito di Hitchcock, e il tema che qui si affronta non è del resto dissimile da quello già presente in Rebecca: cosa accade quando a un amore ne succede un altro?

Phantom thread 3La routine di Reynolds, anch’essa cucitagli su misura, sembra infatti sconvolta dalla comparsa di Alma (Vicky Krieps), timida cameriera con un futuro da modella. Lo stilista vede in lei un talento che non sa di avere, ma è la ragazza, nella sua simulata ingenuità, a dar prova di maggiore perspicacia. Nei capricci dell’artista riconosce le sue debolezze, i bisogni inconfessati di un orfano mai cresciuto, e approfitta di questi strappi per far breccia dentro di lui. Per non essere rimpiazzata si rende dunque insostituibile. Riesce persino a farsi amica Cyril (Leslie Manville), la temibile cognata, arrivando così a inserirsi nell’inaccessibile ménage familiare. Rimanervi però è più difficile che entrarne a far parte, ed è solo ricorrendo a controversi espedienti che Alma riuscirà a trattenere a sé il marito. Infliggere ferite per poi poterle suturare: è a questo, in fin dei conti, che serve il filo nascosto, a creare un legame che tenga unita la coppia. Certo ogni abito è diverso, come ogni relazione, e in quanto tale va modellato sul corpo di chi lo indossa. Ci sono modelli più attillati di altri, vestiti che richiedono lavorazioni più complesse, ma come sempre si tratta di trovare un equilibrio, di stringere senza mai strappare. Il trucco è sapere di che stoffa si è fatti, evitando così irreparabili cedimenti.

Phantom threadQuesta consapevolezza Alma e Reynolds ce l’hanno, ed è grazie ad essa che il loro rapporto, per quanto sadomasochistico possa sembrare, riesce a mantenersi nei limiti della sanità. Anderson, appropriandosi della lezione di Edward Albee e Mike Leigh (Who’s afraid of Virginia Woolf?), ribadisce che è la coppia a doversi autodeterminare, a trovare le proprie regole ed ovviare ai propri difetti. L’importante è conoscerne l’esistenza, volervi porre rimedio, e distinguere ciò che è utile da quel che invece può esserci fatale. La differenza tra veleno e antidoto è infatti minima, spesso i due coincidono, e l’efficacia di entrambi dipende tutta dal relativo dosaggio. Tutto è quindi una questione di dettagli – nella moda come nel cinema – e ci sono casi in cui il perfezionismo stimola, anziché inibire, la creazione e la riuscita di un’opera.

Il filo nascosto è uno di questi casi.

Photocredits: www.newyorker.com; www.mubi.com; www.theplaylist.net; www.theweek.com.

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