Il maestro José Ortega y Gasset

«El hombre-masa es el hombre cuya vida carece de proyecto y va a la deriva. Por eso no construye nada, aunque sus posibilidades, sus poderes sean enorme. Y este tipo de hombre decide en nuestro tiempo.» [1]

Il filosofo e saggista letterario madrileno José Ortega y Gasset (Madrid, 1883 – ivi, 1955) nasce in una famiglia colta, il padre infatti era lo scrittore José Ortega y Munilla e la famiglia materna era composta da politici e giornalisti illustri nell’ambiente spagnolo. Giovane intelligente e precoce, inizia a pubblicare i primi scritti nel 1902 a soli 19 anni. Nasce come saggista poiché vede nel saggio una forma espositiva di saperi che si contrappone a quelle sperimentali ricercate al suo tempo, adatta a una filosofia che si incammina per sentieri non ancora esplorati.
Una delle sue opere più note sono le Meditaciones del Quijote, dove ricerca il chisciottismo e lo spirito non dell’immortale cavaliere errante che nella sua pazzia mette in pratica la sua ragione in eruditi e intelligenti discorsi da mente illuminata, bensì di Miguel de Cervantes. Da ricordare è anche la España invertebrada, pubblicata nel 1922 e incentrata sulla crisi sociale e politica della Spagna del suo tempo, ricercandone anche cause storiche e psicologiche e riproponendo in forma la tesi polemica delle carenze spagnole di fronte all’Europa. Il suo pensiero nasce dal malessere della propria patria, sentiva che la cultura stagnava come la storia.

«En un libro mío – España invertebrada – he insinuado una doctrina sobre el origen de las sociedades que discrepa sobremanera de las usadas. Según ella, la sociedad humana sólo tiene semejanzas externas, inesenciales, con las llamadas “sociedades aimales” de que el evolucionismo quería derivarla.» [2]

La sua educazione si riconnette alla cosiddetta «generazione del ’98», al nucleo di scrittori modernisti, eredi d’innovatori quali Ganivet, Alas, Unamuno e Costa. Compiuti gli studi presso i gesuiti a Málaga (1891-97) e a Deusto (1897-98), si laureò in lettere e filosofia all’Università di Madrid (1902). Dal 1904 al 1907 approfondì gli studi di filosofia – in particolare di neokantismo – in Germania (Lipsia, Berlino e Marburgo). È dopo l’università che avvia una frenetica attività politica, incentrata sui valori dell’Europa e sui diritti umani, conducendo una severa revisione dei valori intellettuali del passato, della tradizione, di cui ebbe fin da giovane un’immagine critica negativa e demolitrice.

Nel 1908 vinse la cattedra di psicologia, logica ed etica nella Scuola Superiore di Magistero di Madrid, e nel 1912, dopo un altro soggiorno in Germania, occupò succedendo a Salmerón la cattedra di metafisica dell’Università di Madrid, vinta due anni prima e conservata fino al 1936 (salvo che negli anni 1929-31, in cui si dimise per protestare contro la dittatura di Primo de Rivera). Nel 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale, fondò la Lega di Educazione politica e il settimanale España; successivamente fondò la Revista de Occidente (1923), che diresse fino al 1936, facendone una delle più vive riviste europee di quegli anni. Oppositore acerrimo della dittatura e infine anche della monarchia, alla caduta di questa (1931) fu deputato nel primo Parlamento repubblicano. Emigrato in Francia allo scoppio della guerra civile (1936), si trasferì poi in Argentina (1939-42) e in Portogallo; rimpatriato nel 1945, non riebbe la cattedra universitaria, ma continuò a insegnare in un libero Instituto de Humanidades, da lui fondato, tenendo corsi e conferenze in vari Paesi europei (l’ultima sua lezione fu tenuta nel 1955 a Venezia, presso la Fondazione Cini). Deputato nell’assemblea costituente della seconda repubblica spagnola dal 1931, allo scoppio della guerra civile lasciò il paese, ritornando nel 1948 a Madrid dove fondò l’Instituto de Humanidades, nel quale cominciò a insegnare. Ha diretto una delle più importanti riviste europee, la Revista de Occidente, attraverso la quale penetrarono in Spagna i più diversi moti della filosofia tedesca contemporanea.

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Acuto interprete di fenomeni artistico-letterari e politico-sociali, nei suoi scritti ha espresso una dottrina metafisica, il «razio-vitalismo», individuando la realtà ultima del mondo non nel pensiero né negli oggetti ma nella vita, concepita come caratteristica dell’individuo singolo; secondo tale dottrina, volta a superare l’opposizione tra l’io e gli oggetti, si costituiscono reciprocamente nelle incessanti circostanze di vita («io sono io e le mie circostanze») nel corso delle quali l’individuo, guidato dalla ragione, è chiamato a scegliere liberamente il proprio progetto e i propri valori. Il mondo non è altro che prospettiva  e «prospettivismo» in base a sistemi concettuali alternativi ma ugualmente veri che il mondo può venir interpretato. Il pensiero proprio, così, viene fondato da Ortega sul concetto del vivere stesso come un costante rapporto dinamico dell’io con le cose. Questa teoria, che subisce la neofenomenologia di Husserl, venne applicata dal filosofo ai più svariati campi del sapere – dalla storia alla sociologia, dalla politica alla critica letteraria e artistica.

«Yo soy yo y mi circustancia, y si no la salvo a ella no me salvo yo. Benefac loco illi quo natus es, leemos en la Biblia. Y en la escuela platónica se nos da como empresa de toda cultura, ésta: “salvar las aparencias”, los fenómenos. Es decir, buscar el sentido de lo que nos rodea.» [3]

L’opera che avrà più seguito sarà La rebelion de la masas (1929), un diagnostico della situazione critica europea. Non è solo il libro più famoso del filosofo madrileno ma anche il più polemico. Poiché la politica è congiunta alla società, Ortega auspica una minoranza illuminata, dell’uguaglianza teorizzando una vera e propria teoria di filosofia politica sull’elitismo. Propone una chiave di lettura della storia europea sull’energia propulsiva del progresso sociale nell’azione creativa di «minorias selectas», élite intellettuali che operano sulle masse interpretandone le esigenze per adeguarle a quella strutturazione gerarchica delle funzioni sociali che costituisce il requisito funzionale necessario all’esistenza delle società umane. Nel libro del 1922 con l’opera già citata España invertebrada che esprime il principio per la prima volta della dicotomia governanti-governati alla base  di ogni organizzazione sociale. Solo anni dopo giungerà alla conclusione che solo una minoranza può guidare la massa, ed esiste unicamente per essere diretta, influenzata, rappresentata, organizzata. Una minoria selecta è in grado di sottomettere un agglomerato indifferenziato di individui eterodiretti e di promuovere così la stabilità dell’ordine politico. Ogni società consiste infatti in un sistema gerarchico di funzioni da cui deriva una gerarchia di potere che divide la società in dominanti e dominati. La prospettiva auspica una democrazia realistica che accentui le funzioni direttive di una minoranza governante selezionata in base al merito piuttosto che al potere, alla ricchezza o alla forza.

Tali riflessioni servono a spiegare il fenomeno novecentesco di una violenta trasformazione della società, che vede protagonista l’uomo medio, ortega-y-gassetl’hombre-masa, colui che si sente come tutti gli altri, e in questo trae la sua forza, la sua volontà di potenza, generando con la sua apparizione uno dei più clamorosi trionfi del conformismo e causando perciò un declino, paragonabile solo al periodo del Basso Impero, con l’imbarbarimento e l’impoverimento dei costumi, con la lingua latina ridotta a una sua caricatura semplificata. Per Ortega viviamo un periodo analogo, in cui le minoranze un tempo elitarie soccombono sotto l’urto di questo tipo di umanità irresponsabile, viziata, che non è legata ad alcuna classe sociale, ma si infiltra in tutte, determinando il corso degli eventi. Il risultato è un’Europa di dispotismi, di cui il fascismo è uno degli aspetti, con l’affermarsi di un’omogeneità che annulla le differenze. Il conformismo e la volgarità dilaganti porterebbero a un’Europa di barbarie, travolta da quest’onda di umanità irresponsabile senza memoria storica, godendo dei prodigi della tecnica. Senza riferimenti storici e morali, l’Europa ha perso la sua egemonia nel mondo.  Ormai la crisi morale in cui versa, a causa dell’imporsi di un tipo d’uomo che disprezza ogni dovere e si sente solo soggetto di diritti illimitati, le impedisce di assolvere la funzione di guida che le spetta. Lo scopo di questa umanità che si è imposta è schiacciare ogni tipo di uomo superiore, eliminare ogni rispetto per l’intelligenza.  Oretega vede allora nell’unificazione dell’Europa l’unica possibilità per evitare il collasso della democrazia, o  perlomeno della sua caricaturale implosione demagogica.

Il filo coduttore di tutta la sua opera è quello che egli definisce «vida humana en cuanto realidad radical», in una completa operazione storica che implica il superamento della crisi del XX secolo, alla quale dedicò tutti i suoi sforzi filosofici.
Ortega fu un filosofo e un pensatore del suo tempo doppiamente: ha saputo convertire il suo tempo in un motivo di riflessione e analisi. A ben guardare oltre la bellezza e la forza espressiva stilistica e oltre la formazione legara al neokantismo di Marburgo e alla nascente fenomenologia di Hussel, Ortega ha un pensiero molto meno sistematico, tecnico ed elaborato di quello che può sembrare.
8942781.jpgJosé Ortega y Gasset diviene vate e maestro di vita per le generazioni successive, il filosofo e il maestro indiscutibile del pensiero del XX secolo. Ricordiamo José Gaos, Manuel García Morente, Xavier Zubiriper e in particolare la filosofa e scrittrice María Zambrano (Vélez-Málaga, 1904 – Madrid, 1991) che – fu giovane e singolare allieva di Ortega presso la Facoltà di Filosofia di Madrid – si è sempre dichiarata sua discepola. Dopo la guerra civile, lei cominciò a pubblicare i suoi primi articoli filosofici e a partecipare con passione alla politica. Entusiasmata dai venti repubblicani che agitavano la Spagna, si distanziò dal pensiero di Ortega. A lui sono sicuramente più vicini i primi scritti degli anni Trenta – dedicati peraltro anche a Miguel de Unamuno. I temi che sono vicini al maestro sono la riforma del pensiero e il problema della Spagna, che poi si convertirà in quello dell’Europa. María Zambrano a 26 anni, si dirige verso il suo maestro con chiarezza, chiedendogli soluzioni politiche molto concrete. Partendo da una forte critica del positivismo assolutista e dall’avvicinamento al liberalismo in quanto limitazione dei poteri, l’esito a cui giungerà sarà molto diverso da quello delle riflessioni del maestro. Sarà a lui che dedicherà una sua opera, La filosofía de Ortega y Gasset (1956 ) – insieme ad altri articoli.

Bibliografia
[1] Ortega y Gasset, J.,  La rebelión de las masas, in Obras Completas.
[2] Ortega y Gasset, J.,  Moralejas. No ser hombre ejemplar, in El espectador.
[3] Ortega y Gasset, J., Meditaciones del Quijote, in Obras Completas.

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