Il ritorno del razzismo in Italia

La nostra quotidianità contiene ancora il seme dell’antisemitismo nazista. Che ci piaccia o no, noi europei non siamo solo razzisti, ma lo siamo senza nessun pudore. Questa è una genealogia che non si è persa, né nascosta, si è solo tramutata in qualcos’altro, nelle nostre frasi «Non sono razzista, ma…».
Non sono razzista perché a scuola mi hanno insegnato cos’è stato l’Olocausto, non sono razzista perché ho appreso che il razzismo è un sentimento negativo, non sono razzista perché il mio vicino di casa è marocchino e se ci incrociamo per le scale ci salutiamo, non sono razzista perché la badante di mio nonno è polacca. Non sono razzista, ma non voglio che nel mio comune sia costruito un centro d’accoglienza, e non voglio che mio figlio vada all’asilo insieme al figlio di un nigeriano che vive in una struttura per immigrati; non sono razzista, ma se sull’autobus ci sono tanti stranieri mi tengo stretta la borsa.
Non sono razzista ma preferirei che gli unici stranieri sulla mia nazione fossero quelli provenienti da paesi occidentalizzati come il mio. Purtroppo non può mai esserci niente di buono dopo quel «ma».
Se escludiamo la minoranza – in forte aumento – di chi si proclama razzista fieramente, in Italia dobbiamo ammettere che un po’ tutti abbiamo un problema serio nell’accettare l’altro.

Nonostante la posizione geografica del nostro paese, in Europa siamo solo sesti quanto a numero di richieste d’asilo e gli stranieri – regolari e non – sono appena l’8% della popolazione. Eppure siamo il paese in cui i pregiudizi e la falsa informazione attecchiscono meglio.
Siamo tutti (o quasi) concordi nell’affermare che non vi sono differenze sostanziali tra gli appartenenti alla razza umana, a prescindere dalla zona del mondo in cui siano nati. Nessuno oggi può affermare che un uomo di colore è più stupido di uno bianco, che un cinese non è dotato delle stesse facoltà psichiche di un australiano, senza suscitare ilarità.

manifestorazzaFino a mezzo secolo fa sono stati anche scritti dei trattati sulla superiorità di una razza sull’altra, ma oggi la modernità ci impone l’uguaglianza dei diritti – almeno de iure – e il riconoscimento della pari dignità. Il paradosso sta nel fatto che l’altro lato della medaglia ci mostra una società in continua ricerca di nuovi quadri di riferimento per quanto riguarda le reali condizioni di diseguaglianza nella vita reale. Detto in parole povere: il borghese medio canta le lodi dell’uguaglianza e delle pari opportunità, ma guarda con invidia chi è un gradino sopra di lui nella scala sociale perché rappresenta il mancato raggiungimento di un obiettivo e, allo stesso tempo, guarda con diffidenza e disprezzo le classi popolari basse che, vista la parità di opportunità che potrebbe offrire la società occidentale, rosicano terreno per raggiungere le condizioni di vita della classe media alla quale lui appartiene.

Le forme di razzismo a cui assistiamo oggi non rappresentano altro che la paura medio borghese di una società non gerarchica, senza confini di classi e mobile.

Quello che consegue logicamente a questa visione del mondo è lo sfruttamento di tale paura a fini propagandistici: ed eccoci così all’Italia di Salvini, che si eccita per le arringhe cariche di odio di cui certa politica invade il web.
Confutare le parole di chi fa proselitismo appoggiandosi all’ignoranza popolare e alla potenza mediatica, purtroppo risulta un’impresa ardua. Non si tratta solo di spiegare l’uso politico e mediatico inappropriato della parola “clandestino” per definire lo status di persone che, se residenti in strutture per rifugiati, clandestini non sono. Non si tratta nemmeno di mostrare dati statistici che confutino la presunta invasione e il presunto depauperamento di risorse da parte di queste persone. Se facendo ciò fosse possibile sottrarre seguito alle posizioni razziste potremmo davvero pensare possibile un trionfo di una società davvero egualitaria.

Lucille Clerc, The European Union

Lucille Clerc, The European Union

L’influenza che in un passato recente hanno avuto le teorie razziste ci dimostra che esse non fanno presa per via della loro fondatezza teorica, ma per la loro immediata capacità di rispondere a dei bisogni e di attribuire a qualche capro espiatorio le ragioni del proprio disagio sociale.
Il razzismo non ha bisogno di dati di fatto, gli basta crearli a proprio uso e consumo. Il punto su cui si ancorano queste ideologie allora è rappresentato dalla loro radice psicologica e sociale.
Lungi però dal considerarlo esclusivamente come frutto dell’ignoranza: tutto ciò che abbiamo sotto gli occhi oggi è il frutto di un passato con cui, noi italiani, non abbiamo mai fatto, o non vogliamo, fare i conti.

Noi siamo il paese in cui la stragrande maggioranza della popolazione è dell’opinione che in Italia ci sono state leggi razziali solo perché siamo stati “costretti” ad allearci con la Germania nazista, che in fondo il fascismo non aveva alla base tali ideologie, che noi italiani siamo sempre stati “brava gente”. Tale distorsione della realtà è però frutto di un lavoro di occultamento prodotto dalle classi dirigenziali e politiche del periodo fascista con la collaborazione di chi ha avuto il potere di diffondere una versione storica ammorbidita del periodo fascista italiano.
In pochi ricordano che i nomi dei firmatari del Manifesto della razza del 1938 sono gli stessi che dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale occupano cattedre di rilievo nelle università e sono gli stessi che continuano a istruire i giovani per qualche generazione a seguire. Lo stesso dicasi per i certi dirigenziali del ventennio fascista.
In pratica si è cercato di stendere un velo sulle colpe e i crimini italiani, ammantando quelle pagine di storia di indulgenza e comprensione. Anche oggi l’Italia si racconta di avere la coscienza pulita ed è proprio il persistere di questa rimozione che ci impedisce di fare i conti con la rinascita del razzismo oggi.

Quello su cui voglio porre l’accento con queste considerazioni è il fatto che il rifiuto dell’accoglienza dei migranti oggi e la negazione dei loro diritti è frutto della riattualizzazione di un’ideologia che in fondo non è mai scomparsa, ma è rimasta latente nella nostra società finché non è stata alimentata dalla necessità di creare un nemico sociale da sfruttare in un periodo frustrazione e di crisi.
razzismo-fascistaFinché penseremo che il razzismo nella storia del nostro Paese sia stato un incidente di percorso, ci sarà sempre qualcuno che farà proselitismo parlando di spalare con le ruspe i campi rom e ributtare in mare gli immigrati. L’assoluzione dai crimini del fascismo, così come la minimizzazione delle imprese coloniali italiane – ma questo è un discorso a parte su cui ci sarebbe troppo da dire – costituiscono un ostacolo alla comprensione critica del presente e, nello specifico, all’ascesa di forze politiche dichiaratamente razziste.
Anche in Italia stiamo avendo i nostri pogrom, ma invece che allarmarci preferiamo girarci dall’altra parte o etichettare il tutto come una nuova forma di guerra tra poveri o come il frutto dell’ignoranza popolare.

Più che di ignoranza, sarebbe corretto parlare di una distorta percezione dell’umanità dell’altro. Recenti fatti di cronaca raccontano di assalti ai pullman che trasportano i richiedenti asilo, saccheggi e distruzioni negli alloggi a loro destinati, insulti, tentativi di aggressione. Neppure il fatto che siamo a conoscenza del dolore di questi uomini per aver lasciato la loro vita alle spalle e magari per aver perso un familiare durante il disperato viaggio ci frena in questo delirio. Come è possibile che ci commuoviamo difronte a un cane abbandonato sul ciglio della strada e in tale contesto non proviamo nessuna forma di empatia? Uno dei fattori che ci impedisce di vedere l’altro come nostro simile è l’ideologia nazionalista che, da sempre, si nutre anche dell’odio etnico.

Per sentirci parte di un popolo nazionale dobbiamo produrre dei confini e una dialettica della comunanza che oppone a un supporto positivo verso i membri della comunità, un’ostilità fortemente negativa verso gli esclusi da tale comunità. È come se la nostra identità nazionale si costruisse per negazione: io faccio parte di questo gruppo sociale e ho dei diritti  proprio perché l’estraneo non li possiede. E da qui nascono i plebisciti che chiedono la soppressione dei diritti per i non italiani, piuttosto che un sistema di governo che sappia garantire i diritti basilari a cittadini e stranieri.
lega-manifesto-padano_2Il nostro amor patrio è cieco, ma la trasformazione dei sentimenti di appartenenza in sentimenti di odio è un’operazione che viene spesso manipolata da alcune correnti politiche, abili nel sostituire la dialettica del secessionismo con quella del sentimento nazionalista. Non a caso, in Italia la Lega Nord è il partito più longevo, quello che meglio ha saputo orientare la propria propaganda in base alla “necessità” del momento e contro nemici interni via via diversi, che ha saputo rispolverare a tempo debito, vecchie ideologie rimaste assopite per mezzo secolo.

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