Il senno del poi: come sta la nazionale dopo questa Confederation Cup?

Con la vittoria e l’onorevole terzo posto di oggi si conclude la Confederation Cup brasiliana, vissuta e giocata dagli azzurri in modo altalenante. La Confederation è un trofeo a bassa caratura, molte squadre puntavano maggiormente alla messa in punto della squadra in vista del mondiale che alla vittoria del trofeo. Un trofeo bistrattato anche dalle condizioni in cui si è giocato: partite ogni tre giorni in un clima da rivoluzione civile, non il massimo per poterlo giocare con mente lucida e serena. Il risultato quindi non rispecchia per forza il vero livello delle squadre in causa, come la nostra nazionale.

Malgrado questo, si possono trarre molte indicazioni da queste partite cinque partite, ricordando ovviamente che in un anno può succedere di tutto e che la forma fisica non poteva essere quella ottimale vista la stanchezza derivata dal campionato e il calendario strampalato. Ecco quindi alcuni spunti su cui riflettere

La sfiga di avere il portiere più forte di sempre

Dopo aver vinto un mondiale da autentico protagonista ed essere stato decisivo in svariati tornei a livello di club, Buffon può essere considerato senza troppi dubbi il portiere più forte di sempre. Carisma, reattività ed esplosività hanno contrassegnato le partite di Gigi fin dai suoi esordi a Parma, quando con giovani prospetti come Cannavaro e Thuram neutralizzava gli attacchi altrui. L’approdo alla Juventus è stata la giusta consacrazione, e dopo essersi sbarazzato agilmente della concorrenza di Toldo ha preso saldamente il posto in nazionale guidandola alla vittoria del mondiale tedesco con prestazioni ai limiti dell’assurdo.

Ma il tempo è un antagonista implacabile, più forte dei colpi di testa di Zidane o delle sassate dalla distanza di Schneider. Da due anni Buffon è diventato un portiere normalissimo, ai limiti della mediocrità. Le prodezze, ormai ridotte al lumicino, hanno lasciato il posto a papere imperdonabili, dettati forse dalla sazietà di vittorie, forse dall’età, forse dai troppi acciacchi.

Ma Buffon è una leggenda, e così come Valentino Rossi nella motoGP è un grande vecchio a cui è obbligatorio tributare rispetto. Dire che ormai Buffon non è più il portiere più forte del mondo (e probabilmente neanche il miglior portiere italiano) è un’eresia. Quindi al mondiale il posto sarà suo, malgrado un Sirigu in rampa di lancio e già abituato a certi palcoscenici o un Marchetti strepitoso. Sperando che da valore aggiunto non si trasformi in un punto debole, con il rimpianto di non aver smesso di scrivere la storia quando ancora era leggenda.

La difesa, da cardine a cantiere aperto

Se persino i brasiliani dopo quasi un secolo basato su un calcio iperoffensivo cominciano ad abbassare il baricentro, allora in questa fase calcistica così paradossale ci sta che l’Italia giochi all’attacco ed abbia le sue maggiori grane in difesa. Ve la ricordate la nazionale tutta catenaccio, lanci lunghi e contropiede a cui eravate abituati? Quella che nel 2006 è riuscita a vincere un mondiale subendo due soli gol, peraltro un autogol e un rigore regalato? Beh, aggiornatevi: la nazionale di oggi punta sul possesso palla e sull’azione manovrata, con la difesa che soffre e molto spesso sbanda.

Gli 8 gol subiti nella fase a gironi e le disattenzioni difensive contro Messico e Uruguay sono il sintomo di una squadra che deve ancora trovare i meccanismi giusti in difesa. A cominciare dai centrali: se Barzagli è sempre una sicurezza, malgrado qualche sbavatura dovuta a problemi muscolari, Bonucci e Chiellini sono molto più imprevedibili e insicuri: se il primo ha dei problemi di concentrazione che spesso condizionano le sue partite, il secondo ha evidenti limiti tecnici e fisici che lo portano a prestazioni pessime come quelle dello scorso Europeo.

Diamone atto, la difesa a 3 schierata in semifinale contro la Spagna è riuscita con orgoglio a tappare i buchi grazie ad un’eccelsa prestazione globale. Ma il fatto che con l’infortunio di Barzagli si sia dovuto arretrare De Rossi a fare il libero fa capire come nell’Italia calcistica ci sia una grande carenza di difensori. Neanche i più ottimisti vedrebbero in giocatori come Astori i nuovi Nesta e Maldini. Ranocchia, prospetto interessante, si è perso nel naufragio interista degli ultimi anni. Rigenerarlo sarebbe un’arma in più per il prossimo mondiale.

Situazione molto più rosea per quanto riguarda i terzini: De Sciglio è un ventenne con l’esperienza di un trentenne, Maggio finalmente è tornato un terzino abilissimo, Abate è più che una buonissima riserva.

I mille centrocampi azzurri

Aquilani, De Rossi, Marchisio, Giaccherini, Montolivo e l’eterno Pirlo. E poi Candreva, Diamanti e Cerci, utilizzabili sia a centrocampo che in attacco. Tanti interpreti per molti copioni. Il centrocampo azzurro è stato provato a 3, a 4 e a 5 uomini, con pochi elementi di rottura e moltissimi palleggiatori. Consideriamo che i centrocampisti più abituati a distruggere l’azione erano una mezzala come Aquilani e De Rossi che è il centrocampista più prolifico di sempre in nazionale.

Grandi sorprese Giaccherini e De Rossi: comparsa il primo e separato in casa il secondo nei rispettivi club, in nazionale si rigenerano sentendo la maglia azzurra come una seconda pelle. Le nostre vittorie passano dai loro piedi. Pirlo è un gigante in mezzo al campo ma alla sua età non ce la fa più a giocare ogni tre giorni: fortunatamente Verratti, messosi in mostra nel Paris SG e nell’Under 21, si dimostra come l’erede più adatto. Montolivo ha acquisito finalmente personalità in mezzo al campo, mentre Marchisio ha perso la sua solita verve, forse vittima di una posizione in campo non consona.

Attacco mariodipendente

Supermario è l’eroe di un attacco poco convincente: dopo il suo infortunio, l’Italia ha smesso di segnare su azione. Mario è un campione, finalmente responsabile e lucido in mezzo al campo, privo di quelle provocazioni che caratterizzavano il personaggio e indebolivano il giocatore. Il prossimo anno, infortuni permettendo, sarà lui il trascinatore, l’ago della bilancia della nostra nazionale.

E gli altri? La situazione non è buona. Rispetto agli europei dello scorso anno abbiamo Giovinco ed El Sharaawy al posto di Cassano e Di Natale, e il cambiamento si sente: Giovinco si impegna ma è poco incisivo e francamente fuori posto, El Sharaawy è vittima di un periodo di confusione cominciato mesi fa e che non accenna a rientrare. Il suo recupero psicologico è importantissimo: il ragazzo, giovanissimo, può diventare un fenomeno come perdersi nella sua crisi. Molto più positivo è l’utilizzo di attaccanti esterni e mezze punte come Candreva, tra i migliori giocatori del torneo, di grande personalità e sempre nel vivo dell’azione, o il cecchino Diamanti, che sigla il suo primo gol in nazionale e può essere un’interessante opzione. Se Benitez al Napoli saprà far sbocciare il talento di Insigne, Prandelli avrà l’imbarazzo della scelta.

Fuori forma, fuori gli attributi

Come suddetto, le partite fin troppo vicine tra loro portano a valutazioni alterate, che vanno prese con le pinze. Ma già nella finale dello scorso europeo l’Italia è sembrata boccheggiante, e in questo torneo nei finali di partita è sembrata quasi sempre in affanno. Prandelli dovrà cercare formule tattiche che facciano risparmiare energia, spiegando anche ai giocatori che qualche lancio lungo in più per salvaguardare il risultato non è peccato, anzi, è tipicamente italiano.

Se le gambe non reggono, e secondo Buffon è tanto che non si siano presentati a quattro zampe, sicuramente gli azzurri dimostrano un grande cuore. Contro il Giappone riescono a portare a casa il risultato soltanto grazie all’orgoglio, ed è proprio l’orgoglio a sostenere una stanchissima Italia contro i campioni spagnoli e gli uruguagi. E dopo l’Italia demotivata e confusa che abbiamo visto dal 2007 fino ad oggi, è un segnale molto importante.

Prandelli e la quadratura del cerchio

Prandelli sembra aver imparato dagli errori commessi in passato, diventando più accorto e disponibile a cambiare idea. La bellissima prestazione contro la Spagna è figlia del suo coraggio nel passare ad una difesa a 3. L’Italia gioca bene e si è dimostrata alla pari (o quasi) di Brasile e Spagna. Da rivedere invece completamente la fase difensiva, negativa in tutte le partite ad eccezione della semifinale.

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