Il sorriso inossidabile di Obama

A un mese dalla gloriosa vittoria di Barak Obama alle presidenziali americane si possono iniziare a tirare un po’ le somme sui mezzi e le armi usate per vincere la sua battaglia per la riconquista della Casa Bianca. Non è difficile accorgersi che una parte consistente del merito di ciò poggia sulla fruttuosa campagna elettorale messa in atto dal presidente uscente.

Solo bandierine, adesivi, striscioni e volantini? No, la campagna di Obama non è stata affatto questo! C’è stata una grande rivoluzione mediatica di cui molti hanno già parlato: quella dell’avventura nel web – che fu un flop nel 2008 per i repubblicani di Hilary Clinton. Milioni di “like” e commenti sulla sua pagina facebook, un sito internet personale, un canale youtube e, per sfruttare a pieno il potenziale del web, ci si è rivolti niente meno che alla consulenza del co-fondatore di Facebook, Chris Hughes, che ha curato la piattaforma virtuale MyBaracObama.com. Sullo sfondo di una tale positiva campagna mediatica si sono però stagliate numerose critiche, a volte sensate, altre proprio no. Alcune ad esempio vedono accostarsi al nome di Obama anche fenomeni paranormali, parascientifici e apocalittici.

Non solo l’opposizione politica, ma anche gli indagatori dell’occulto hanno sguinzagliato la creatività e prodotto una lunga serie di parossismi fantascientifici che non è difficile trovare disseminati in rete. È stupefacente notare come, digitando su Google la parola “Obama”, tra le otto ricerche correlate, visibili in fondo alla pagina, quattro riportino attinenze con il paranormale e le teorie del complotto. Nostradamus, Ufo, Massoneria e Anticristo sono le correlazioni che ci suggerisce il re dei motori di ricerca. Evidentemente il web negli ultimi quattro anni ha visto una smisurata proliferazione di notizie – se così possono essere definite – che indicano come il Presidente degli Stati Uniti abbia intrattenuto rapporti con extraterrestri e Nostradamus, nonché con il Diavolo in persona. «Barack Obama è il caprone!!», grida qualcuno, e c’è anche chi si diverte ad ascoltare i suoi discorsi a ritroso per cogliere le prove delle connessioni diaboliche. Secondo i fan delle profezie di Nostradamus sarebbe «l’uomo scuro che viene dagli schiavi» e porterà il mondo alla sua fine.

Non ho certo intenzione di discutere sulla verità di queste affermazioni, né di dilungarmi ancora sulle divertentissime chicche a riguardo che si possono trovare facilmente sul web. Non ho neppure intenzione di fare la loro debunker, almeno non in questo senso. Ovvio che molte di queste asserzioni sono chiaramente ridicole ma, nonostante ciò, indicano secondo me qualcosa di importante: una forte reazione a ciò che si presenta come diverso e che si può riassumere nelle fattezze del personaggio che noi conosciamo come Obama. La sua razza, i suoi nomi, la storia esotica della sua vita hanno senza dubbio creato un sostrato favorevole alla nascita di queste favole internettiane. Del resto è proprio la sua biografia ad aver fatto contemporaneamente la sua fortuna, e non è certo un mistero che Obama si serva della politica biografica: la politica di Obama è la sua persona stessa. Anche le storie di fantasia fanno parte del brand, e i suoi collaboratori, coloro che ne hanno curato l’immagine mediatica, lo sanno bene e possono sfruttate anche a suo favore – d’altronde secondo Andy Warhol non c’è miglior pubblicità della cattiva pubblicità.

Obama, giovane, nero, dinamico, spiritoso, di famiglia umile, cattolico, l’American Dream lo incarna perfettamente. E se da un lato assistiamo al proliferare delle infamie fantascientifiche e complottistiche, dall’altro il neopresidente sembra proprio il protagonista di una fiaba con un lieto fine troppo perfetto per essere vero.

Questa operazione dicotomica viene ancora di più rimarcata dall’uso che ne fanno i mezzi di comunicazione di massa, i quali da circa quattro anni ci danno a bere un’immagine messianica del “presidente nero”. Questo bipolarismo porta però con se un rischio, cioè quello di cancellare o mettere in sordina elementi molto importanti del personaggio Obama.

Al secondo giro di giostra elettorale il presidente Usa ha speso circa un totale di 600 milioni di dollari per la sua corsa alla Casa Bianca, una parte dei quali finanziata da piccoli contribuenti e cittadini suoi sostenitori, una grossa fetta proveniente invece da tutt’altri settori, primi fra questi i grandi imperi del web – Google e Microsoft. Wall Street si è schierata invece a favore di Mitt Romney. Si sa che in America le campagne elettorali dei presidenti servono alle grandi compagnie per costituire dei legami forti con le future amministrazioni, e non ci si può certo aspettare che l’ultima sia sfuggita alla regola che connette il potere statale con quello finanziario.

Non bisogna nemmeno dimenticare che la CityGroup, la più potente banca Americana fino al 2008, è stato il maggiore finanziatore della precedente campagna elettorale di Obama, e per questo è stata “ricompensata” con centinaia di migliaia di dollari pubblici che ne hanno impedito il fallimento. Il nome che si celò dietro questo scambio fu quello di Robert Rubin, consigliere economico di Obama e, in passato presidente della CityGroup e della famosa Goldman Sachs. Molto si potrebbe dire ancora sui finanziamenti provenienti dalle industrie del tabacco o dalle grandi case farmaceutiche, ma questo non è il luogo per discutere e giudicare nel dettaglio tutto ciò, il mio intento è al massimo quello di sottolineare come il salvatore dell’America che renderà il mondo migliore, tutto sommato non è, da alcuni punti di vista, molto diverso dai suoi avversari, o dalla classe di politici che lo ha preceduto.

Si potrebbe obbiettare che i mezzi per la conquista della Casa Bianca sono certo stati contestabili, ma l’operato del Presidente negli ultimi quattro anni gli ha fatto guadagnare l’amore del popolo statunitense: soprattutto sul territorio delle politiche sociali la precedente legislatura di Obama ha innescato un processo di miglioramento dell’intero settore. Se da un lato si può sperare nel fatto che il Presidente stia mantenendo questi impegni, dall’altro non si può certo dire bene della coerenza mostrata con le promesse fatte in ambito militare e di politica estera: dopo i propositi di riduzione della spesa e il ridimensionamento delle missioni militari all’estero si è assistito al repentino voltafaccia rispetto alla parola data. Appena a maggio risale lo stanziamento di quasi un miliardo di dollari per progetti missilistici in Israele (come riportato da Press tv). E che dire della nuova flotta di “droni” made in USA? Per quanto riguarda invece la tutela dei diritti umani e la regolarizzazione (o chiusura) delle carceri “speciali” qualcosa è invece cambiato, ma in male. In tanti ascoltarono fiduciosi il discorso di Obama del maggio 2009 in cui promise di chiudere Guantanamo, citando la prigione cubana per ben 28 volte; ad oggi il carcere è ancora attivo ma riceve meno prigionieri e tutto ciò grazie alle “Kill list” approvate direttamente dal presidente. Se Bush faceva incarcerare senza capi d’accusa i sospetti terroristi appartenenti a un certo target, adesso Obama può risparmiarsi anche il processo sommario e passare direttamente alla loro esecuzione. La notizia può avere dell’incredibile, eppure lo stesso New York Time vi ha dedicato pagine e pagine.

Tutto ciò sembra però occultato dalla sfavillante immagine mediatica che gli è stata costruita intorno. Sarà il colore della sua pelle a farci sentire in imbarazzo se parliamo male di Obama ( una specie di razzismo al contrario), sarà che ci viene difficile credere che un premio Nobel per la pace possa davvero nascondere un cinico politico, sarà che tutti pensano che sia un uomo affascinante o che ha una moglie figa. Fatto sta che anche se ci si trova nella condizione di non ignorare i lati oscuri della sua politica, non si riesce a pensare ad Obama se non con un istinto di benevolenza.

Lo confesso: nemmeno io mi sento immune da questo impulso di indulgenza nei suoi confronti, e non sono sinceramente convinta che Obama sia un mostro politico, né che la sua rielezione sia stata il male peggiore. Sento però la necessità di ammettere una questione: che ci piaccia o no, Obama è il degno erede di una politica americana che da decenni si professa priva di morale senza nemmeno arrossire. Obama, premio Nobel per la pace, rimane pur sempre il Commander in Chief delle forze armate Americane, e tale è maschera che deve essere colta dietro al suo sorriso inossidabile.

La mia riflessione non vuole essere un giudizio, ma solo una costellazione di input per non lasciarsi inglobare da visioni unilaterali e lasciare assopire il nostro senso critico sotto il peso delle grandi monovre mediatiche, sperando che così facendo sia ancora possibile, usando le parole di Derrida, «un pensiero della differenza».

 

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