Io sono uno. Cinquant’anni senza Luigi

La cosa più ingiusta della storia di Luigi Tenco è che viene raccontata sempre dalla fine. Il circo sanremese, il sodalizio con Dalida che riempie i rotocalchi. L’esibizione fuori di sé, la mente sconvolta. La solitudine. Lo sparo. Il mistero.

Come se una morte potesse riassumere, sintetizzare la vita e la poetica di un cantautore atipico, avanti di vent’anni rispetto ai suoi colleghi. Per capirci, erano i tempi di Claudio Villa, del binario triste e solitario, di una musica italiana divisa tra urlatori e canzonette.

Tenco 2Ma è la vita di Tenco a darci indizi sulla sua arte, sulla sua concezione della musica e delle sue finalità. L’infanzia tra Cassine e Ricaldone, nelle Langhe, e poi l’approdo a Genova, multiculturale e piena di vita, Genova impegnata e madre dell’unica vera scuola di cantautori in Italia.

Una doppia radice che si traduce in una canzone insieme colta e popolare, che vuole arrivare ad un grande pubblico senza perdere la propria peculiarità. La migliore definizione è quella coniata da Lorenzo Coveri, linguista e docente all’università di Genova, che ha definito Tenco “cantante e autore”, anziché cantautore, mettendo l’accento sul duplice registro della sua opera.

Le canzoni sociali di Tenco risuonano in un’Italia bigotta, ipocrita, grava di censure e conformismo:

Cara maestra, un giorno m’insegnavi che a questo mondo noi, noi siamo tutti uguali; ma quando entrava in classe il Direttore tu ci facevi alzare tutti in piedi, e quando entrava in classe il bidello ci permettevi di restar seduti.

Ma gli spunti migliori sono nella musica intimista, nelle canzoni d’amore. Versi come «Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare, il giorno volevo qualcuno da incontrare, la notte volevo qualcosa da sognare» sono forti, incredibili considerando il contesto, la musica e i costumi del tempo. Il mondo narrativo di Tenco deriva dall’esistenzialismo, dalla fusione di influssi diversi come la chanson francese e il jazz di Nat King Cole, dalle infinite chiacchiere e sperimentazioni con autori ed amici come Gino Paoli, Bruno Lauzi, Fabrizio De André, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Gian Franco Reverberi.

Il frutto è una musica atipica, modulata su un carattere inquieto, schivo, ironico, lontano dalle convenzioni. Quello stesso carattere su cui si è parlato, sparlato, inventato, finendo per disegnare un Tenco depresso e triste. Tenco quello del suicidio, delle canzoni tristi.

Tenco 3Oltre queste semplificazioni da bar ci sono le persone che hanno attraversato la vita di Tenco e lo dipingono come una persona burbera, combattiva, sarcastica. Un uomo che ha qualcosa da dire e ha tutta la voglia di farlo.

La debolezza di Tenco è quella stessa forza che lo rende immortale, diverso da tutti: Tenco, prima di qualsiasi altra cosa, è stato un uomo solo. Lontano dal tempo, dal mondo, da un’atmosfera chiassosa e pecoreccia che trova il suo culmine nel Festival di Sanremo. Un carrozzone di luci e di flash, di scatti rubati e cene di mezzanotte, che non trova il tempo, un 27 gennaio di cinquanta anni fa, neanche per fermarsi davanti a un morto. Nemmeno un fiore per Luigi è arrivato da Sanremo, come notava uno sconsolato De André.

Ci sono molti modi per raccontare Luigi Tenco. Tanti, tantissimi cominciano dalla morte, e si esauriscono così. Certo, Tenco è stato un uomo in trappola in un mondo estraneo, un amaro Don Chisciotte. Ma scavando sotto le apparenza, la timidezza, il carattere difficile, la rivelazione è che Tenco è stato soprattutto un sognatore. Nell’improbabile sfida sanremese, nell’assurdo rilancio degli ultimi giorni c’è l’ingenuità del grande l’artista e l’amore per la musica e per le sue potenzialità. Un amore sofferto, violento, fatale. Come se fosse possibile altrimenti.

Tenco ultima

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