Jean Claude Izzo e la sua Trilogia

Amo questa vita con abbandono e voglio viverla in libertà, Insh’allah, Montale.

Fabio Montale parla con sé stesso, quando si racconta e quando racconta. Quando lo fa, prende il lettore alla sprovvista, e non perché le riflessioni intime siano inaspettate, piuttosto perché chi legge si scopre inerme, incapace di nascondere che sta pensando e sentendo le stesse cose, in quel momento della vicenda e della storia dentro cui è finito travolto e trascinato.

Fabio Montale: marsigliese di seconda generazione, tradito da quel dotto cognome da Nabos, gli immigrati dell’Italia del Sud in cerca di lavoro sulle banchine del porto della città francese, professione poliziotto. Jean Claude Izzo: stessa storia, stessa città, professione scrittore, sceneggiatore, giornalista, poeta. Chi dei due sia quello più reale è difficilmente distinguibile, tanta è la vita che entrambi condividono con l’intreccio di storie impetuosamente riversato nelle pagine firmate dal secondo ma vissute dal primo.

Questo non significa che chi legge sia confuso, vuol dire soltanto che ci si trova davanti a una realtà che sembra troppa e troppo viva per essere fatta di copertine e capitoli. Le storie raccontate da Izzo non possono essere semplicemente presentate o ripercorse per descrivere la loro intensità, perché sarebbe come scattare una foto ad una canzone.

Bisogna viverle, anzi saperle viverle, essere capaci di ascoltarle, di subirle, di celebrarle, di respirarle, di accettarle, di farle entrare.

Chi legge Izzo si trova di fronte ad un percorso costellato di sentieri tutti tortuosi, a loro volta intrisi di tracce in penombra, di colpi di luce, di schegge impazzite e di trappole che sembrano fiori.

Dobbiamo abituarci ad un poliziotto che di sé stesso dice che scivola, da tutore della legge a persona che malgrado la pistola in tasca ha bisogno di provare a capire prima di tutto le sofferenze di chi ha sbagliato, di chi ha ucciso, di chi non ha perdonato, forse per capire le proprie, forse per sciogliere quel nodo di nervi allo stomaco che lo accompagna e che si attenua solo con un immancabile sorso di pastis. Solo per un attimo, perché poi si torna alle indagini, alla paura che c’è sempre ma non si vede, che si aggira come i randagi lungo il Quai du Port, dove per fortuna ci si può fermare a guardare il Mare, con la maiuscola, perché è quello che regala sempre il profumo delle onde, di felicità.

Se ci si lascia condurre da e con Montale, si entra in simbiosi non con il personaggio, ma con la capacità evocativa che la sua “vita” ha rispetto alla nostra esistenza, che in quelle pagine scorre insieme alla storia, anche se siamo solo seduti a goderci il racconto. Capiremo che la Vita e la Morte giocano a nascondersi una dietro l’altra, che gli amici, l’amore, la vendetta e la disillusione sono solo ingredienti di una ricetta più grande di noi stessi, in cui noi siamo senza saperlo ingredienti e cuochi allo stesso tempo, come in un gioco di specchi, come in un sogno dominato dal paradosso. Sentiremo sulla nostra pelle la forza poetica del concetto di rimuginare, in un bisogno disperato e costante tanto di aggrapparsi alla realtà quanto di evaderla, cosa che Montale, innamorato della sua Marsiglia in tutto e per tutto, si e ci concede prendendo il largo sulla sua piccola barca a motore. Concessione esplicitata con impietosa e amorevole sincerità, da subito: in barca non portavo mai nessuno, era la mia isola.

Sbatteremo duramente la testa sul contrasto violento che la vita reale produce quando si fa romanzo, così come quando il romanzo si contorce fino a trasformarsi in vita reale, in una fusione che esplode, dove la città brucia e il tempo è poco, accanto a degli squarci di apparente incantevole quiete fatta di cibo, vino, chiacchiere intime, uniche, con gli amici di sempre, quelli rimasti vivi, quelli che fanno la guardia ai confini del proprio universo, che non ci possono non essere. Altri attimi, pochi, di parole scambiate con la donna che si ama e si rincorre, lei, il tutto evanescente, l’ogni del proprio cuore, immanente, che riesce ad esserci solo sfuggendo.

Si può e si deve accettare che sulle musiche di Lightnin’ Hopkins o di Duke Ellington si muova sullo sfondo un turbinio di violenza, di spari che abbattono, di lotte per i traffici criminali e per il controllo del territorio. Senza esclusione di colpi, un quadro con una cornice pregiatissima e una tela su cui mettere insieme cronaca e poesia, la droga, l’usura, la mafia, le armi, i conflitti etnici di una città dove i mondi si mischiano come colori nuovi. Tutto mescolato con tutto. Come nella vita reale. Come in un romanzo. Anzi tre, insieme, legati da un filo che non si vede e non si spezza. L’amore dell’autore per il personaggio, l’amore del personaggio per la vita in tutte le sue espressioni, dalla voce del padre scomparso che negli incubi di morte appare come deus ex machina premuroso e rassicurante, ai momenti nei quali tutto è finito…Ero stravolto. Avevo la morte ovunque. Sulle mani, sulle labbra. Nella bocca. Nel corpo. Nella testa. Ero un morto vivente.

Le discese dentro di sé e le salite verso la città vecchia, su e giù nel caos, sul casino totale che si fa ordine, a volte, non sempre…ci vuole forza: certo, la mia vita sarebbe stata diversa, e sarà sempre così, ma è passata, anzi è il passato, che anche se ritorna, se si riaffaccia, non può sottrarsi alla sua natura, al suo posto, la vendetta non porta a niente e il pessimismo neppure. Nemmeno in mezzo a un mare di sangue. Conviene dirlo un’altra volta. Questo è un romanzo. Niente di quello che leggete è esistito. Ma (…) la mia storia prende spunto dalla realtà. Perché è proprio lì che si gioca tutto, nella realtà. E l’orrore, nella realtà, supera di gran lunga ogni possibile finzione. Per quanto riguarda Marsiglia, la mia città, sempre a mezza strada tra la tragedia e la luce, si trasforma, per forza, nell’eco di ciò che ci minaccia.

Forse la vita intera è fatta davvero di atti, come in uno spettacolo, di capitoli nei quali a volte anche involontariamente la partita si gioca sulla scacchiera del Male.

Marsiglia e gli Amici, il Mare e le Amanti, l’Amore e l’Addio. Le Donne. Lei. Il Pianto, il Perdono. I Sogni e la Rabbia, la Solitudine e il Sesso, fatto di un tempo trascendentale e carnale, scandito da momenti nei quali il cuore non batte per la paura.

Amo questa vita con abbandono e voglio viverla in libertà, Insh’allah, Montale.

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