Joy – Fiaba di una donna moderna

Il biopic, ovvero film biografici che ripercorrono in parte o in toto la vita di una personaggio realmente esistito, è una tipologia di film che, nel corso degli ultimi cento anni, ha assunto diverse e colorite forme all’interno del panorama cinematografico. Basti ricordare opere come Patton Generale D’acciaio, Bonnie and Clyde, Gandhi, Amadeus, Schindler’s List, Quei Bravi Ragazzi, The Social Network fino ad arrivare al film di cui oggi vi voglio parlare: Joy. Ogni storia viene manipolata diversamente affinché si possa adeguare ad una visione cinematografica: fatti possono essere omessi, personaggi aggiunti; l’artificiosità di questi espedienti può essere fastidiosa, mentre una vera e schietta rappresentazione dei fatti accaduti può invece risultare noiosa o fine a sé stessa, in assenza di un vero e proprio arco narrativo. Altri tipi di manipolazione sono quelle attuate con maestria e leggerezza in questo film, ovvero una tecnica narrativa molto simile a quella di una favola, affiancata al contempo da una storia fortemente realistica che mette persino in risalto sfaccettature crudeli, subdole e ingiuste insite nella natura umana. Joy-2Perché in fin dei conti è della vera vita di Joy Mangano che stiamo parlando, una donna che, dal nulla, è riuscita a creare un impero economico: proprio un tipo di storia che nello stile “favolistico” trova un suo senso. Si tratta della tipica storia dell’underdog americano, che crede in un sogno ed è pronto a rischiare tutto per vederlo avverato -l’esempio più lampante in ambito cinematografico potrebbe essere quello di Rocky Balboa-. Joy, però, non eccelle in alcuna disciplina sportiva: è una donna divorziata, con due figli, un marito che vive nel seminterrato, una sorellastra e dei genitori con i quali ha un rapporto piuttosto turbolento. Stanca della routine e preoccupata di finire per avere una vita insulsa come quella dei propri genitori, Joy decide di dare fondo a tutti i suoi risparmi, indebitandosi con la matrigna e mettendo una doppia ipoteca sulla casa, creando un mocio autostrizzante, il Miracle Mop, un prodotto per la casa che ha fatto la storia, non soltanto per l’idea innovativa in sé, ma soprattutto per il modo in cui Joy riuscì a venderlo agli americani, contribuendo a creare il moderno linguaggio e lo stile delle televendite. Isabella Rossellini L’aspetto favolistico della storia sopracitato si può riconoscere in diversi dettagli che vengono più o meno palesemente inseriti nel film: abbiamo una principessa in difficoltà –Joy –, una matrigna cattiva, la buona madrina –la nonna – e tante peripezie da superare. Si può però notare la mancanza di un personaggio fondamentale: all’inizio del film la sorellastra di Joy le fa notare come nella sua casa per le bambole – che lei stessa ha costruito – manchi un principe azzurro. Nonostante la protagonista si illuda di averne trovato uno nella sua vita – l’ex marito – ben presto scopriamo che si tratta soltanto di uno dei suoi innumerevoli sogni infranti da bambina sognatrice. Ed è questo che rende il film un manifesto femminista potentissimo, mai pomposo o supponente: Joy viene sempre rappresentata come una donna autonoma e pienamente capace, nonostante nessuno creda in lei e nelle sue idee. joy_0 La crescita del personaggio, magistralmente interpretato da Jennifer Lawrence, è tangibile e reale; a volte ci fa sorridere, vedendola tentare per la prima volta delle strade sconosciute in cui non sa bene come muoversi. Come esempio troviamo una scena in cui la protagonista cerca di imporre le sue decisioni ad un uomo: mentre quest’ultimo le dà le spalle, lei lancia un fugace sguardo intorno a sé e, notando una mensola, le appoggia il braccio sopra per avere una posa più “da dura”. Solo uno dei tanti dettagli che arricchiscono la narrazione e il profilo di personaggi dalle finiture imperfette, e per questo umilmente umani. Andate dunque al cinema se cercate un pretesto per odiare una famiglia o se vi sentite di combattere arduamente accanto a una donna intelligente che ha saputo non rinunciare ai propri sogni d’infanzia.

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