“La Pittora” Artemisia Gentileschi

Una delle più grandi pittrici di tutti i tempi, innovatrice nella vita e nella pittura, Artemisia Gentileschi (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, 14 giugno 1653) è La Pittora per antonomasia. Figlia del pittore pisano Orazio Gentileschi nacque a Roma nel 1593 e si formò nella bottega del padre dimostrando il grande talento nel disegno che la contraddistingueva, influenzata nel suo esordio dallo stile luministico di Caravaggio. Frequentatrice anche della corte Medicea, fu amata come pittrice ma osteggiata come donna dalla misoginia del tempo – una donna aveva una posizione di insignificanza sociale e di piena sottomissione al padre o al marito. Non riuscì ad entrare all’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze prima del 1626, divenendo così la prima donna a godere di tale privilegio artistico. Nel XVII secolo infatti per una donna, sebbene talentuosa, le vie dell’istruzione erano spesso bloccate: una donna non poteva certo pretendere di istruirsi o vivere ed essere come un uomo.

"Susanna e i vecchioni"(1610)

“Susanna e i vecchioni”(1610)

In tutta la sua attività, si coglie una realtà dai toni fragili densa di solitudine, la drammaticità di esclusioni e violenza. La sua vita come pittrice e quella come donna si fondono in un risultato artistico senza pari. Un’esperienza tragica la colpì quando era molto giovane, descritta in modo crudamente vero dalle sue parole:

“Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio tra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano me le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro.

E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne.”

Il suo violentatore era Agostino Tassi, amico del padre e suo maestro della prospettiva in trompe-l’œil. Artemisia aveva solo 18 anni, prima dell’evento aveva rifiutato più volte nella sua stessa casa le avances di Tassi. Accusato dal padre di Artemisia, promise di sposarla per rimediare al disonore arrecato con la speranza di estinguere il reato di violenza carnale estinguibile solo qualora fosse stato seguito da un matrimonio riparatore. Tassi era però già sposato, quindi il processo iniziò nel 1612 – ovvio che il padre di Artemisia era più preoccupato per il buon nome della famiglia Gentileschi che per la dignità della figlia.

Artemisia - Passione estrema (Artemisia) è un film del 1997 diretto da Agnès Merlet

“Artemisia – Passione estrema” (Artemisia) è un film del 1997 diretto da Agnès Merlet

A quel tempo non si torturava l’accusato, ma la donna “vittuperata” per testarne la purezza e l’onestà ottenendo la verità. Così Artemisia fu sottoposta a insinuazioni infamanti, al pubblico ludibrio e alla “tortura della Sibilla”  mediante delle cordicine avvolte tra le dita venivano strette fino a provocare danni irreparabili per le articolazioni – ciò avrebbe potuto impedire alla pittrice di dipingere per il resto della vita cioè di vivere.

Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne (1612-1613); olio su tela, 158,8×125,5 cm, museo nazionale di Capodimonte, Napoli

“Giuditta che decapita Oloferne” (1612-1613)

Dopo il processo ad Agostino Tassi, in cui lo vide finalmente condannato, la vicenda generò dei risvolti sensazionalistici che la condannarono come donna tra i suoi contemporanei. Eppure l’Artemisia artista era in grado di livelli di virtuosismi più che unici rari, essendo in grado di adattare alle sue inclinazioni artistiche gli stili del suo tempo – dal caravaggismo al classicismo napoletano – e i temi classici e biblici. Celebri i suoi dipinti realizzati su soggetti femminili come Susanna, Giuditta, Lucrezia, Cleopatra, la Maddalena e altri ancora.

Dopo le vicende in tribunale, avviene il suo allontanamento a Firenze dove inizia ad affermarsi autonomamente come pittrice. L’immagine di donna licenziosa non l’abbandonò mai, neppure quando si sposò ed ebbe dei figli – il matrimonio combinato in fretta con lo squattrinato artista fiorentino Pierantonio Stiattesi naufragò dopo qualche anno.

"Cleopatra" (1633-1635)

“Cleopatra” (1633-1635)

Lavorò a Napoli, Genova, Venezia e persino in Inghilterra. Fama e successo arrivarono ma furono di natura effimera, fu costretta a vendere i suoi dipinti a basso prezzo fino alla sua morte nel 1652.
La pittrice, grazie alle capacità innate e allo studio tenace, riuscì a reinterpretarne in maniera autonoma il linguaggio drammatico e potente, sapientemente bilanciato tra realismo e teatralità. Oggi è un’icona di rivincita femminile, ma forse è più amata dagli amanti dell’arte oltre i nostri confini nazionali. Venne rivalutata solo dagli anni ’50 in poi  da Roberto Longhi, gli anni Settanta la elessero poi come simbolo delle lotte di classe.

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