La potenza selvaggia dell’infanzia

I tempi cambiano, e anche i gusti e i costumi, ma pure quest’anno tanti bambini troveranno dei libri sotto l’albero, e molti di loro saranno felici di riceverli. Tra nuove proposte e testi intramontabili, le file alle librerie, per fortuna, rivelano che le mode del momento non tolgono spazio alla gioia di ricevere o donare un buon libro.
Vi abbiamo varie volte parlato di quanto sia importante l’educazione alla lettura e di come l’editoria per ragazzi sia un settore con un cuore sempre battente, oggi parliamo di alcuni libri del passato che ci parlano ancora al cuore, sono classici che lanciano ancora in volo la fantasia, oggi come ieri, e portano il giovane lettore a vivere un’avventura che rispecchia una delle fantasie più comuni dei bambini di ogni epoca. Ma ancora di più, sono libri che rispecchiano un archetipo comune a tanta narrativa vecchia e nuova.
Oggi parliamo di quattro classici della letteratura per ragazzi che seguono il fil rouge dell’infanzia selvaggia e guidano il piccolo lettore lungo avventure che difficilmente potrebbe vivere nel mondo reale. Quante volte da piccoli abbiamo immaginato di vivere fuori dalla tutela degli adulti, in luoghi lontani dalla civiltà, in un contesto in cui potevamo essere solo noi a decidere? Ecco la fonte a cui una grandissima fetta della letteratura per l’infanzia attinge per sviluppare racconti che rispecchiano una fantasia universale che appartiene a tutti i bambini di ogni tempo e luogo. Questi quattro romanzi, scritti in epoche e contesti diversi, seguono uno schema molto simile, con diversi elementi che si ripetono nelle varie storie.
Grazie a mille rivisitazioni, racconti, film e animazione, tutti conosciamo la figura dell’eterno bambino creato da James Matthew Berrie anche senza aver letto direttamente il romanzo. download-1

In realtà, quando parliamo del Personaggio di Peter Pan, ci stiamo riferendo a ben tre romanzi distinti, quello in cui appare per la prima volta è un racconto del 1902, L’uccellino bianco, e le sue storie continuano in altri due romanzi, Peter Pan nei giardini di Kensington (1906) e Peter e Wendy (1911), ma quest’ultimo è il più famoso, quello che conosciamo come fonte di ispirazione per musical, teatro, film e animazione.
Peter sa volare e si rifiuta di crescere, ha un’età imprecisata e suona il flauto, proprio come il dio greco Pan. Secondo i greci Pan era figlio di Ermes e della ninfa Penelope, la quale lo rifiutò appena nato a causa del suo aspetto; infatti Pan aveva zampe caprine, corna sulla fronte, una lunga barba ed era peloso in tutto il corpo. Questo rifiuto ritorna nel Peter Pan di Barrie anche se non è causato dalla fattezza del bambino ma dalla sua fuga. Ermes fece crescere il figlio in Arcadia, in mezzo alla natura, stesso paesaggio in cui vive il Peter di Barrie.
Anche la storia di Peter inizia con un trauma, anche qui ritroviamo l’abbandono da parte dell’adulto: Peter all’età di sette giorni scappa via da una finestra, ma quando ritorna la trova sbarrata e crede di essere stato rifiutato dalla madre. Il rifiuto e l’abbandono sono in genere l’inizio delle avventure che hanno al centro l’infanzia vissuta in modo selvaggio, anche se il romanzo di Berrie incorpora molto di autobiografico proprio a causa del trauma personale dell’autore durante l’infanzia. Il piccolo James aveva infatti perso il fratellino maggiore e la madre, caduta in depressione, lo alleva come se fosse la personificazione dell’altro figlio defunto. In un certo senso, Peter è lo stesso Berrie che non è mai divenuto adulto perché si è trasformato nella copia del fratello morto.
L’ambientazione è il primo elemento selvaggio che salta all’occhio: l’isola che non c’è è la natura incontaminata, è il luogo delle avventure per eccellenza, è un posto fantastico dove vivono i bambini perduti, una tribù di indiani, le sirene e i pirati guidati da Capitan Uncino, unico adulto dell’isola, in continuo scontro con i bambini, rappresenta l’ostilità nei confronti della società dei grandi. Il vestiario di Peter rimarca il legame con l’ambiente naturale e la lontananza dalle convenzioni sociali: il suo abito è come l’autunno, fatto di foglie cadute e cucito con ragnatele.
Quando però pensiamo a un bambino che cresce in mezzo alla natura, lontano dalla civiltà e dal mondo adulto, i personaggi che la memoria ripesca per primi sono altri, non certo l’eterno bambino di Berrie. Sono sicuramente quelli di due ragazzi accolti e cresciuti dalla foresta e dalla natura selvaggia in cui gli animali hanno insegnato loro a mangiare e a comunicare, e in cui il gioco è un allenamento alla lotta e alla sopravvivenza.

libro-della-giunglaStiamo parlando di due famosi cuccioli di uomo, Mowgli e Tarzan, nati rispettivamente dalle penne di Rudyard Kipling e Edgar Rice Burroghs, il primo cresciutbo da un branco di lupi e il secondo dalle scimmie. In3541277-9788817083218 entrambi i casi, così come per Peter Pan, la storia inizia con un abbandono, che da il via a un’infanzia priva di esseri umani adulti che facciano da guida e custodia nella vita del bimbo.
In questi due romanzi è molto marcata la caratteristica di individui di soglia che appartiene ai due personaggi: Tarzan e Mougli sono umani, ma la loro vita è animale, il loro linguaggio è quello delle bestie e solo con loro riescono pienamente a comunicare e ad essere compresi. Essi rappresentano il varco di passaggio tra la società civile e quella selvaggia, loro stessi sono il limite tra le due, la società in cui crescono ha delle regole diverse e, anche dopo aver conosciuto la civiltà degli uomini, i due ragazzi tornano a quella degli animali, ovvero quella che sentono come propria, e dalla quale hanno appreso la morale e le leggi.ta1edh4 Lo stesso si può dire per Peter, il quale vive in un gruppo composto solo da bambini i quali dettano le regole e le convenzioni. Dei bambini perduti, Peter è il traghettatore di anime e, quando loro decideranno di tornare sulla terra e vivere con la famiglia Darling, Peter ritornerà sull’isola che non c’è per paura di crescere. Anche Peter Pan rappresenta la soglia di passaggio tra il mondo dell’infanzia e quello degli adulti, tra la realtà e la fantasia, tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra la memoria e l’oblio dei ricordi – già, perché lui non ha memoria, ci dice l’autore – egli è anche l’unico a capire sia il linguaggio delle fate e che degli adulti.
In tutti e tre i romanzi di cui abbiamo parlato fino ad ora ricorre, al termine, il rifiuto della società degli adulti e la volontà del personaggio di continuare a vivere nel suo personale mondo. Diverso è invece l’epilogo del quarto romanzo di cui sto per parlarvi, in cui i protagonisti vivono selvaggiamente, ma solo per un periodo della loro vita. La storia di William Golding, Il Signore delle mosche, ha inizio con una tragedia: lo schianto di un aereo nel mezzo di un’isola deserta, un aereo pieno di bambini, unici superstiti dell’incidente. il-signore-delle-mosche-william-goldingQui, la natura selvaggia dell’isola non è solo pericolosa e inospitale, ma è anche insidiata, oltre che da animali feroci, da una terribile bestia che si ricollega allo schema del rifiuto del mondo adulto. Durante la loro permanenza sull’isola i bambini temono la bestia e offrono a questa dei sacrifici, la soprannominano il Signore delle mosche. La bestia, dal suo canto, interagisce con loro solo in maniera passiva, rivelando nelle allucinazioni di uno dei ragazzi di essere un demone ch’essi non sarebbero mai riusciti a fermare in quanto si trova già all’interno di tutti loro, e inevitabilmente avrebbe preso possesso del loro animo, proprio come la maturità dell’adulto, a un certo punto della vita, soppianta l’infanzia. Il Signore delle mosche si rivelerà essere, infine, niente altro che l’unico adulto dell’isola: un paracadutista morto caduto lì accidentalmente. Anche qui, quindi, l’unico adulto non appartiene alla società che il gruppo dei bambini ricrea sull’isola, una società opposta a quella che lasciano prima dell’incidente. Sull’isola i bambini riscoprono, infatti, la loro animalità e il loro gruppo segue regole ferine e non civili, fino all’estremo atto di degenerazione selvaggia: l’assassinio di uno di loro.

Seguendo questo filo conduttore di questi quattro romanzi – o gruppi di romanzi – si possono rintracciare ancora numerosi punti di contatto tra le quattro opere, soprattutto per ciò che riguarda l’aspetto pedagogico-educativo di una vita lontana dagli altri esseri umani adulti e il rapporto tra natura e cultura. Ma non è solo nei romanzi che possiamo trovare i bambini selvaggi come protagonisti di avventure e storie fantastiche: il mondo dell’animazione è sicuramente oggi il maggior riproduttore di questo archetipo narrativo. Come disse a chi gli chiedeva il segreto del proprio successo, «La prima cosa che devi fare quando scrivi un libro per ragazzi è uccidere i genitori» perché, in fondo, quello dell’infanzia vissuta in piena libertà, senza regole sociali, senza obblighi e doveri e lontano dalla presenza degli adulti, si mostra essere come un immaginario senza tempo. I bambini amano le storie di orfani perché vivono avventure straordinarie, sono coraggiosi e intraprendenti, capaci di affrontare il mondo senza l’appoggio e il conforto dei genitori. Suscitano compassione, solidarietà, ammirazione. Ma anche invidia. Chi di noi non ha mai desiderato, anche solo per un minuto, di abbandonare la famiglia, decidere di non crescere più e volarsene via dalla finestra come Peter Pan?

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