La solita Moseca – Fenomenologia di Enrico Papi

Enrico Papi è, fino al ’96, uno dei personaggi meno sopportati nella storia televisiva italiana, oltre ad essere l’unica persona al mondo chiamata per cognome anche dai propri figli. Lo so, è una vecchia battuta, ma a me continua a far ridere. Nel 1997 è famoso, per modo dire, come telepaparazzo d’assalto, inviato di trasmissioni come Fatti e Misfatti o Verissimo. La sua carriera televisiva non riesce mai a decollare, i suoi programmi sono flop più o meno conclamati.

 

Sarabanda non sembra nulla di diverso. Giorgio Gori, appena arrivato a Italia 1, ha in mente una grande sfida: bissare i successi di Fiorello e del suo Karaoke. Ma Papi non è Fiorello e la prima versione del suo Sarabanda è un varietà scialbo, in cui il peso relativo di Papi è assente.

 

via DailyBest

via DailyBest

Gori decide così di rendere Sarabanda un Game Show e la mossa ha un successo incredibile. Uno share medio del 20% con picchi fino al 35%. Per carità, i game show erano il leitmotiv del palinsesto di fine millennio, vincenti per il loro riprendere l’aspetto ludico e partecipativo della tv di qualche tempo fa. Vedi lo stracitato Lascia o Raddoppia, che ha riunito famiglie intere davanti all’unico televisore del quartiere, o le sfide di squadra di Campanile sera. Trasmissioni perfette nella loro immediatezza, condotte da un decano come Mike Bongiorno che della semplicità era indiscusso maestro.

 

Ma torniamo a Sarabanda. Nonostante il clima di sfiducia, nonostante le pressioni per far chiudere il programma, Gori decide comunque di insistere. Lo strano mix di gioco, musica e caciara, quella specie di clima evocato dal nome Sarabanda spingono la trasmissione a un successo insperato che la fa diventare, con le sue 1757 puntate, il gioco musicale più longevo nella televisione italiana. Enrico Papi, personaggio odiatissimo fino al pre Sarabanda, diventa il collante e il fulcro della trasmissione. A colpi di Moseca e StriccheStracche.

 

L'indimenticabile Liano (via iVid)

L’indimenticabile Liano (via iVid)

Come può funzionare una cosa del genere? Innanzitutto con uno studio a forma di Arena, dove la cosiddetta Sara-band circonda Papi e i concorrenti. Nella Sara-Band c’è l’indimenticabile Liano (Dio mio, Liano!), che insieme al resto della Sara-Band ha come unico compito quello di fare casino, tifare e commentare con urla e schiamazzi. Ma soprattutto insulti.

 

Ecco perché il Sarabanda 2.0 condotto da Mammucari è stato un flop totale: nell’impossibile equilibrio di Sarabanda, Papi è perfetto per le sue debolezze, le gaffes, il suo modo di porsi alla pari o persino al di sotto dei concorrenti. Se Mammucari rispecchia la figura del carnefice, Papi è una vittima come i concorrenti, situazione che rende meno scontati i meccanismi della trasmissione, rendendola un piccolo cult.

 

E dopo Sarabanda? Gori e Italia 1 si illudono di aver rigenerato un personaggio televisivo, di averlo reso un animale da share. Forse si è illuso lo stesso Papi. La verità è che tutti i programmi condotti dopo Sarabanda, escluso La Pupa e il Secchione e poco altro, si rivelano dei flop conclamati, chiusi dopo poche puntate, spostati come tappabuchi del sabato pomeriggio e ormai diventati dei cimeli da Mediaset Extra.

 

Papi fallisce il suo tentativo di normalizzarsi, di diventare l’equivalente di un Amadeus per la Rai, perché spesso non basta neanche accontentarsi. Papi, per l’immaginario televisivo italiano, è e sarà sempre il conduttore di Sarabanda, il presentatore che viene preso per il culo dal pubblico, dai concorrenti, dalla Sara-Band.

 

Papi in versione Max Pezzali via frasimaxpezzali.com

Papi in versione Max Pezzali (via frasimaxpezzali.com)

Ma arriviamo ai giorni nostri. Dopo una parentesi a Ballando con le stelle, Enrico Papi viene recuperato da Carlo Conti per il suo Tale e quale Show. Una scelta che non avviene per caso: i Social si sono appropriati di Sarabanda, dei suoi assurdi campioni, degli StriccheStracche e dei Moseca che vengono celebrati con video e meme.

 

Carlo Conti decide con intelligenza di riprendere quello spartito, di appropriarsene. Le imitazioni di Papi sono tutte carnevalesche, volutamente ridicole, e non si avvicinano agli artisti imitati ma al personaggio Papi. E ancora, dalla prima puntata, si crea gioco delle parti con Claudio Amendola che prende per il culo Papi e Papi che risponde accentuando la sua demenzialità. Pura Sarabanda.

 

Questi mesi hanno visto Papi surclassare Gianni Morandi come idolo del web, collezionare ospitate nei talk show più disparati e lanciare un singolo che è già un tormentone, prodotto dagli autori di Rovazzi, il cui video ha superato in pochissimi giorni le due milioni di visualizzazioni. Il titolo è ovviamente Moseca.

"I bambini dicono 'chi è quello che canta?' tu non mi conosci, mi conosce la mia mamma" (via il Mattino)

“I bambini dicono
‘chi è quello che canta?’
tu non mi conosci,
mi conosce la mia mamma”
(via il Mattino)

Il segreto di Enrico Papi, almeno nella sua versione Sarabanda, è quello di aver sfruttato gli stessi meccanismi che stanno alla base di tutti quei contenuti virali che imperversano su Facebook. In altre parole:  Enrico Papi è un meme da prima che esistessero i meme.

(via Twitter)

(via Twitter)

I meme si basano su:

 

  • Immagini e personaggi facilmente riconoscibili. Molto facilmente, troppo facilmente. Il linguaggio di Papi non ha bisogno di nessun lavoro di interpretazione. Gli stessi campioni di Sarabanda sono dei personaggi con caratteristiche smaccate, evidenti. Personaggi volutamente farseschi, così come lo stesso Papi. E questo è il metodo più semplice per essere facilmente ricordati dal grande pubblico.
  • Immagini ripetitive, ossessive, tormentoni. Papi dice Moseca da anni e noi vogliamo che dica Moseca. Lasciamo l’evoluzione dei personaggi alle serie TV su Netflix: la comunicazione ai tempi di Facebook è quella che vede le idee ridotte ad hashtag, l’azione politica ridotta a Ruspa, le canzoni ridotte a elenchi di luoghi comuni.
  • Un forte senso di identitarietà. Quello che insomma identifica un gruppo che possa dire “eh sì, io l’ho visto in diretta!”. Questa è l’epoca del #machenesanno, non scordiamocelo. Ecco perché attecchisce la nostalgia, una nostalgia fastidiosamente militante: perché è un sentimento che divide, che nobilita.

 

Si accavallano le notizie sul ritorno a furor di popolo di Sarabanda su Italia 1. In prima serata, per tre puntate speciali. Tutto sommato, il 2017 è il ritorno di Furore di Alessandro Greco, di Bim Bum Bam e Non è la Rai che diventano trending topic su Twitter. Papi e il suo entourage stanno semplicemente spremendo l’effetto cult di un personaggio, un’icona suo malgrado, tornato in voga in questi ultimi anni.

 

La missione impossibile di Papi è quella di chi ha deciso di spendere tutto in una volta quel credito di nostalgia, di effetto cult e di pubblicità acquisito negli ultimi tempi. Un’operazione che sta dando molti frutti sul momento ma che ad oggi, di nuovo, non sta costruendo nulla.
Tipica di una televisione che insegue e si adegua, una televisione che non ha più la forza di inventare e si deve affidare al passato più prossimo. Lo stesso spartito, la solita Moseca.

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