La violenza contro le donne, intervista alla professoressa Valeria P. Babini

La violenza contro le donne è un tema oggi diffuso, i mezzi di informazione ne fanno quasi un uso esagerato. Gli abbiamo anche dedicato una Giornata internazionale, il 25 Novembre. Ma c’è da chiedersi: abbiamo davvero bisogno di una giornata per ricordacene? Abbiamo bisogno di campagne sociali  (come quella celebre di NoiNo.org, un progetto promosso dalla Fondazione del Monte, in collaborazione con l’Associazione Orlando; o quella promossa proprio quest’anno dal Ministero per le Pari Opportunità: Riconosci la violenza)? 

Leggiamo ormai sempre più spesso di donne massacrate da qualcuno che diceva di amarle, di donne uccise per gelosia, per denaro, per senso di inferiorità, perché avevano osato ribellarsi. Donne uccise perché donne. Da qui proteste e manifestazioni di altre donne, ma gli uomini? C’è bisogno anche di loro per discutere del problema, che deve essere considerato un problema di responsabilità collettiva, per prendere una posizione. Ora scende in piazza anche l’Università! Infatti proprio il 25 Novembre è stato presentato un seminario innovativo che si terrà all’Università di Bologna, per il corso di laurea di Filosofia, grazie alla Professoressa Valeria P. Babini, responsabile del seminario, e alla Professoressa Annarita Angelini, coordinatrice del corso di laurea. Quest’anno la particolare impostazione “monografica” del consueto seminario curriculare, dedicato agli studenti iscritti al terzo anno del corso di laurea in Filosofia, analizzerà le radici culturali del tema della violenza sulle donne. La partecipazione è ovviamente aperta a tutti gli interessati! Verranno rilasciati anche attestati di frequenza. Le lezioni vedranno gli interventi di specialisti in diversi campi. Aprirà le danze il 5 Febbraio Sandro Bellassai, interverranno nelle lezioni successie anche Remo Bodei, Luigi Foffan, Adriano Prosperi, Dacia Maraini, Milli Virgilio, Giuditta Creazzo, Lea Melandri, Fabrizio Battistelli, Marco Balboni, Marianna Bolko e Cecilia Robustelli. Le lezioni saranno accompagnate anche da proiezioni dei film La Ciociara e Marianna Ucria, tratto proprio dal romanzo La lunga vita di Marianna Ucria di Dacia Maraini.

La locandina del corso potrete trovarla qui!

Riporto di seguito l’intervista alla prof.ssa Valeria P. Babini, che ringrazio vivamente per l’attenzione che ci ha dedicato. Per noi il suo intervento è stato di fondamentale importanza.

Come è nata l’idea per questo seminario che è da considerare un’esperienza d’avanguardia? Rappresenta, in un certo senso, una sfida oltre che un’analisi dell’odierna società con tutti i suoi cambiamenti culturali?
Già nel novembre del 2010 come membro del Comitato Pari Opportunità presieduto da Susi Pelotti, professore di medicina legale e molto attiva sul fronte della violenza contro le donne,  proposi di occuparci del problema della violenza. Lo facemmo lanciando una specie di concorso letterario il cui slogan era “UNIBO contro la violenza di genere. Trova una storia … o scrivila tu”.  Ne uscì un volume Contro la violenza sulle donne. voci dall’Ateneo di Bologna (a cura di V. P. Babini, Valentina Filippi e Susi Pelotti, Bologna, Pendagron, 2013), che fu presentato in città e alla Scuola di Lettere e Beni Culturali, con letture di brani da parte di Marinella Manicardi e Ivano Marescotti. In quel caso studenti e studentesse avevano risposto all’appello “inventando” racconti e poesie che toccavano i molteplici volti della violenza di genere. Era come una fotografia, un’istantanea di ciò che della violenza contro le donne era nel cuore (le giovani e i giovani iscritti) dell’Ateneo. Il seminario è stato il secondo passo, ben più importante in quanto ha come obiettivo quello di fare cultura e riflessione sulla questione allarmante della violenza sulle donne. È stato possibile quando al corso di laurea di Filosofia è stata eletta come coordinatrice Annarita Angelini, sensibile come me a questo tema e alla cultura dei diritti umani. Abbiamo subito lavorato a questo progetto in tandem alacremente, silenziosamente, determinate a farcela, e, una volta trovato un piccolo finanziamento esterno (MSD-Merck Italia) per le spese di viaggio dei relatori invitati, abbiamo presentato l’iniziativa già pronta al Preside della Scuola, al Direttore di Dipartimento, al Rettore e al Prorettore agli studenti, che si sono rallegrati.

L’Università secondo Lei come potrebbe educare a una cultura del rispetto?  Ritiene possibile inoltre un impegno coadiuvato  dalla politica istituzionale. Negli ultimi anni l’Italia ha ratificato la Convenzione di Instanbul adottata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011, firmata dall’Italia l’11 maggio dello stesso anno e da altri 28 Stati. È il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che crea un quadro completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza. Il problema della violenza di genere è ovviamente un problema di ordine planetario, non solo di cultura italiana. Nel nostro paese è stata approvata la legge 119 (prevede azioni di prevenzione, educazione e formazione che fanno parte di un cosiddetto “piano antiviolenza“). Tale disposizione contro il femminicidio, insieme alle campagne di informazione e all’attenzione del mondo politico e dei media al tema della violenza sulle donne sono degli importanti passi avanti, ma bisogna fare di più. Questi elementi hanno poca incidenza d’altronde.
Anzitutto abbiamo pensato che l’Università non debba essere  solo luogo di trasmissione di saperi ma anche di formazione dei cittadini; penso che la cultura del rispetto e dei diritti umani, che è patrimonio della nostra Costituzione, debba essere anche parte della formazione degli individui. Sul come educare alla cultura del rispetto, posso dire che l’approccio multidisciplinare che è stato scelto, chiedendo a cultori delle scienze umane (filosofi, sociologi, psicoanalisti, storici, giuristi, linguisti, operatori dei centri antiviolenza) e intellettuali (giornalisti, scrittori) impegnati contro la violenza sulle donne che offrissero agli studenti  strumenti e punti di vista da cui guardare al fenomeno per meglio comprenderlo, non è solo il modo più consono, perché offre rigore scientifico e competenze,  a una istituzione come l’università. Sono convinta che le scienze umane, proprio perché ci danno interpretazioni del comportamento  umano sotto molti e diversi punti di vista, non possono lasciare indifferenti coloro che a quelle ipotesi scientifiche si avvicinano anche solo per sapere. Voglio dire che, nel caso delle scienze dell’uomo, il sapere non è solo un insieme (utile) di nozioni o interpretazioni, ma diviene momento di per sé  formativo/educativo. In questo caso il sapere incide non solo o  tanto sulla realtà esterna, ma anche sul soggetto di chi lo fruisce. È una cosa che ho verificato nei miei numerosi corsi su Freud e sulla storia della psichiatria: quello che le scienze umane dicono sull’uomo non può lasciarci indifferenti. Che noi siamo o non siamo d’accordo con le varie letture offerte dalle scienze umane, proprio grazie alla loro “debolezza” scientifica (rispetto alle scienze fisico-matematiche) e dunque all’ampiezza delle proposte, noi siamo portati comunque a pensare, a riflettere, a reagire,  rendendo più complesso e articolato il nostro sguardo sulla realtà, e dunque ci educhiamo.

Come verrà analizzata all’interno del seminario la spettacolarizzazione dei casi di femminicidio e di abuso, che oggi viviamo ogni tumblr_mwtps2tOle1rxvpl1o1_500giorno e operata dai mass media?
Quest’anno abbiamo appena cominciato, e mi pare che le lezioni e i relatori coprano ampi spazi di riflessione. Per il prossimo anno, penseremo ad altre formule e altri temi altrettanto importanti come quello della spettacolarizzazione giornalistica o filmica. Intanto il nostro Seminario è un concreto contraltare, solido e scientificamente rigoroso, al rischio della spettacolarizzazione a cui siamo tutti sottoposti da chi comunque fa informazione.

La costruzione sociale dei casi di abuso sulle donne in Italia vedeva preminente il legame con la corporeità, fino a 20/15 anni  C’è stata una sovraesposizione di quest’aspetto, almeno nel nostro Paese. Vorrei sapere secondo Lei come si è evoluto il processo di costruzione sociale delle violenze perpetuate sulle donne?
Non so se ho ben inteso la sua domanda, a me preme comunque sottolineare che è negli ultimi vent’anni che la questione della violenza sulle donne è esplosa, venendo sempre più emergendo. Ma dobbiamo ricordare che questo sviluppo intenso e innovativo è avvenuto perché il dibattito e l’analisi della violenza sulle donne si sono inseriti in un processo di trasformazione complessiva della società e della sensibilità collettiva che è partito dagli anni sessanta e settanta del 900 e in cui il ruolo dei femminismi,  e in particolare dei contributi teorici, è stato decisivo per la creazione di un contesto sociale in cui l’attenzione, la sensibilità, la denuncia per le violenze subite dalle donne hanno spinto a cercarne i motivi, le cause, ma anche le radici  culturali e storiche.

Aldilà della responsabilità collettiva, si percepisce dietro i gravi episodi di violenza che vengono vissuti come “normali” all’interno della sfera dei comportamenti privati (Non si riconosce in molti casi niente di patologico!), l’eredità di una cultura, le cui sfumature dovrebbero essere analizzate in profondità (sulle relazioni di potere, il tabù della sfera privata..). Certo è che viviamo in un sistema dove la violenza maschile ha molteplici facce. Oggi sentiamo molti casi di abusi, violenze di vario tipo, dai casi perennemente denunciati di stalking nella sfera privata o di mobbing nel mondo del lavoro, secondo Lei come si potrebbe agire sulle responsabilità individuali? Basterebbe educare i giovani e formare gli adulti, agire con prese di coscienza? Come cambiare certi modelli culturali a cui ci hanno educato?
Partirei dalla fine. Occorre anzitutto intervenire sui modelli culturali che ancora guidano molti dei comportamenti tra i sessi e in special modo quelli maschili. Qui l’Università potrebbe intervenire facilmente, aumentando i corsi che affrontano tematiche di genere (che peraltro, a Bologna, sono già presenti ma non come esami fondamentali e in tutti i corsi di laurea) o nella prospettiva di genere (come può avvenire sia per un corso di storia moderna o contemporanea, sia per  un  corso di medicina – dove va emergendo la medicina di genere). Ma, voglio precisare, non si tratta d’indottrinare attraverso un  indottrinamento di segno opposto a quello che la nostra cultura ha portato avanti fino ad ora; si tratta piuttosto di smontare stereotipi, di riconoscere automatismi spesso neppure consapevolmente condivisi. Credo che molto si debba lavorare sull’identità maschile, offrendo ai maschi occasioni di approfondimento e risorse conoscitive/educative per uscire da quelle “corazze”  che soffocano anche l’umanità di chi le indossa, oltre che umiliare quella di chi se le trova addosso.

 Vorrei ricordarvi due articoli già apparsi nel nostro blog sul tema: il primo è di Luisa Rinaldi, “Violenza contro le donne? In Italia non esiste più” e lo potete trovare a questo link. Il secondo, “LEXOP: Operatori della Legge tutti insieme per le donne vittime di violenza del partner nelle relazioni di intimità” di Laura Testoni, rimando la vostra attenzione al link.

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