#Lanternesonore in GIAPPONE

Difficile credere che quanto appena sentito provenga dalla colonna sonora di un videogioco e non da un after party al Berghain. Ancor più incredibile il fatto che sia generato da una scheda con solo 16 bit di calcolo.
Tecnologia e Giappone non possono che andare di pari passo.
Così la musica elettronica per come la intendiamo.

Schivo all’apertura con il mondo esterno per la quasi totalità della sua esistenza (escludendo la Cina), questo lembo di terra nel pacifico ci ha insegnato a non temere le macchine, ma ad accompagnarle per mano, a capirle, a viverle. Questa è la rinascita culturale di una nazione che non ha mai trovato la giusta comprensione, un mondo, seppur così vasto, completamente chiuso su se stesso.

Impossibile non ricollegare la situazione giapponese a quella italiana e tedesca post secondo conflitto modiale.
Non è un caso che fossero parte della stessa alleanza e che la storia per loro abbia avuto strade piuttosto simili, anche se parallele. Uscire da una guerra non è certo cosa semplice. Uscirne da “perdenti” ancor meno.

Cercare di ripartire quando non c’è più una base stabile su cui poggiare è un vero incubo, ma limitazioni del genere sono da sempre state la forza di spinta per qualsiasi rivoluzione socio-culturale che la storia ci insegni.

E così, mentre in Italia si sperimentava un rock progressivo totalmente fuori dai generi rispetto alla classica scuola Canterburiana, in Germania il Kraut con tutte le sue derivazioni aprivano più menti di quanto un acid test Learyiano abbia mai fatto oltreoceano.

E nel paese del Sol Levante?

L’apertura forzata ai commerci con l’estero e l’elevato istinto di conservazione di questo impero millenario l’hanno portato a doversi scontrare con culture altamente diverse senza mai tuffarcisi dentro, ma al contrario mantenendo un’identità fortissima. Da ovunque sia partita la loro rivoluzione tecnologica, non esiste musicista odierno ( ’70 – ’00 ) che non utilizzi computer, drum machine, sintetizzatori e in generale processori di suono per comporre.

Yamaha, Roland, Boss, Akai, Casio, Korg sono solo alcune delle case produttrici di strumenti giapponesi che hanno rivoluzionato la concezione di musica.

Ecco alcuni album che, nonostante non siano entrati nell’Olimpo musicale contemporaneo, mantengono una freschezza all’ascolto sbalorditiva, nonostante le decadi che si portano dietro.

71sTixxGo8L._SY355_Partiamo con un disco che personalmente non trovo troppo interessante, ma che è stato il germoglio di tutta una scena: Yellow Magic Orchestra. Non è certo rivoluzionario, ma c’è voglia di mettersi in gioco e non manca di originalità e professionalità a livello di produzione. Ed è proprio su questo che si basa la maggior parte dell’offerta giapponese: un’elevata coscienza della potenzialità offerta dalle nuove macchine musicali e la versatilità che un computer ben programmato può offrire alla registrazione di un pezzo.
Ryuichi Sakamoto (tastiere), Haruomi Hosono (basso) e Yukihiro Takahashi (batteria) sono le menti pulsanti di questo modesto gruppo.

Ben piu’ interessante la loro carriera solistica. Oltre ad essere tutti noti compositori di colonne sonore (vedi Sakamoto con L’Ultimo Imperatore di Bertolucci, le collaborazioni di Hosono con lo studio Ghibli, ….) hanno prodotto una grande discografia che può essere collegata principalmente al mondo ambient/world elettronico.

Omni_Sight_SeeingHaruomi Hosono, come i suoi compagni, è difficile da inquadrare stilisticamente: nelle sue opere vi è una base pop marcata da ritmi e strutture tipiche del genere, che si espande e fonde in un universo fatto di astrazioni, ambienti immaginiferi potenti, evocati da un’acuta capacità di programmazione con sequencers dell’epoca quali gli MPC dell’Akai e arpeggi di CS60 abilmente arrangiati. Capolavori caduti nel dimenticatoio, Philarmony insieme a Omni Sight Seeing, potrebbero essere comodamente considerati pietre miliari del suo percorso.

Bagaglio di numerosi viaggi nelle oasi del pacifico è senz’altro la divagante poliritmia e gli spensierati arrangiamenti cR-3381934-1328962465.jpeghe troviamo in dischi quali Pacific e Paraiso  (Haruomi Hosono and friends, piu’ nello specifico i vecchi compagni della YMO) e Tropical Dandy, dai richiami meno suggestivi dei primi due, ma un valido esempio di commistione di generi e strumenti piuttosto atipica.
Danzindan Pojidon degli Inuyama Land invece è una delle produzioni più eccentriche del bassista: un disco di musica folkloristica suonata dai più reconditi fondali marini. E non è una analogia così fuorviante: per le sessioni di questo album fu usato un particolare sistema di delay ideato dallo stesso Hosono, il Water Delay System.

Vista la fucina di dischi prodotti ci occupiamo solo di quattro dei suoi ultimi suoi lavori:
s-l1000  –Video Game Music, una raccolta di brani di vecchi videogiochi Namco riarrangiati;
Watering a Flower, stupendo esempio di minimalismo;

Interiors , ottima produzione di metà anni 80 sempre a tema relax;
Mental Sport Mixes, una serie di mix di sue vecchie produzioni, a tratti ballabile e dall’amalgama gustosa, mai noioso.

Ryuichi Sakamoto, noto soprattutto per le sue composizioni cinematografiche (L’ultimo imperatore, The Revenant, per dirne un paio), è un vero maestro della world music. L’eterogeneità di generi, strumenti, spunti creativi che si trova nel suo lavoro è a dir poco unica.

R-812712-1168802389.jpegEsempio di questa sintesi di ricerca di un genere globale è Beauty. Spiazzante e inarrivabile, proprio quando pensi di aver capito il sentiero che intraprende ecco che ti ritrovi nel mezzo di una giungla. Nel disco compaiono tra l’altro il buon Arto Lindsay e il mai vecchio Robert Wyatt. Per avere un’idea di esibizione dal vivo è utile ascoltare e vedere il tour del 1990 .
Con la stessa band che lo accompagna in Beauty, Neo Geo Ensemble (l’orchestra del nuovo mondo) ha prodotto diversi altri album sul filone world music/new age.
Produzioni più minimali, Esperanto e Back To Basic, sono piccole gioie da scoprire.

A-Sync, ultimo lavoro uscito nel 2017 dopo 8 anni di fermo dovuti a un cancro alla gola, si rivela un magistrale esempio di musica concreta, elettroacustica, di una originalità toccante, degna di un Parmegiani d’annata.

51FL5CIOG8LPer quanto riguarda Takahashi ci fermiamo solo a What, me worry?, disco autoprodotto di metà anni ’80, sonorità tipicamente synth pop, con lo zampino degli amici Sakamoto e Hosono.
Doveroso citare in quest’ambito un disco rivoluzionario per gli anni ’90: Ambiant Otaku di Tetsue Inoue. Una cavalcata onirica in un mandala di tessuti sintetici, un fluido immobile per un occhio poco allenato, un’orogenesi per chi ha il palato fine. È forse in questo mare di inerzia che sarebbe bene tuffarsi ogni tanto, anzi che andare a cercare pericolosi voli pindarici, sintomatici dei nostri tempi.

Evitiamo di citare i classici in cui si riscontra l’influenza dalla cultura occidentale, vedi i più noti Acid Mother Temple e tutto il filone protopsichedelico degli anni ’70 (Flower Travellin Band, Far Est Family Band, etc.), ci ha gia’ pensato ampiamente Julian Cope nel libro Japrocksampler.
Piuttosto è interessante andare alla scoperta di un documentario che esplora il meraviglioso mondo delle musiche per videogiochi: un complesso intrigo di progettazione ingegneristica, composizione minimalista e creatività esplosiva in un mondo limitato dalle potenzialità tecnologiche del tempo.
La Red Bull Academy con la partecipazione di artisti internazionali, tra cui Flying Lotus, esplora in 5 brevi video una cultura che ha fortemente segnato le odierne generazioni. Non semplice intrattenimento, ma arte vera e propria.

If Pac-Man had affected us as kids, we’d all be running around in dark rooms, munching pills and listening to repetetive electronic music.”

Marcus Brigstocke, comedian.

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