#Lanternesonore in HEBRON

Le auto passano accanto sollevando schizzi di acqua sporca, sui denti d’asfalto del marciapiede camminano gli occhi pentranti di donne velate e le giacche in finta pelle di gruppi di ragazzi invadenti, l’odore dolciastro dello zucchero scaldato si unisce a quello speziato di humus, l’acredine succosa delle colonne di carne d’agnello rotante al morbido delle volute di fumo dei narghilé, intanto il sole tramonta sugli alti palazzi squadrati bucando le ultime nubi di una giornata di pioggia. A Hebron finisce un giorno col cupo rimbombo e la tensione del temporale tra i caratteri che rendono simili molte città del terriotorio israelo-palestinese. Ma da dietro un angolo, protetto da cubi di cemento coperti di scritte spray, emergono fasci di intensa luce bianca, raggi che sondano la notte incipiente circondando ciò che rende unica questa città. Un parallelpipedo di cartongesso sormontato da alti rettangoli di reti metalliche, massicci tornelli a scatto comandato e grappoli di telecamere spezza il disegno lineare delle mura e della strada che conducono al mercato nel centro città. Il check point: torre di guardia, di controllo e divisione dei quartieri di Hebron. Prima del tempo in cui l’avallo di un impero estero diede il via alla colonizzazione al posto delle barriere coperte di rifiuti e delle saracinesche serrate con lucchetti convivevano comunità di etnia e religione differente. Adesso il check point distorce la vita delle persone che vivono la stessa città dalle due parti del muro, siano essi palestinesi perquisiti, vessati o uccisi per raggiungere il proprio posto di lavoro o le case dei propri parenti, siano essi coloni costretti a vivere una vita dissociata in una città che li odia protetti da giovani militari convinti e costretti ad offrire il fiorire del loro tempo migliore alla garitta e alla prospettiva di essere uccisi o di uccidere. Così le pretese di nazionalismo spezzano ogni possibile legame sociale pervertendo e oscurando gli sforzi del passato e legandoli a mera economia: agli abitanti palestinesi vengono offerte cifre da capogiro per abbandonare i propri pochi metri quadrati di immobile e quelli che restano vengono circondati ed esclusi dai commerci e dalla propria vita precedente, nel frattempo i funzionari dell’Autorità Nazionale Palestinese prestano le proprie cariche all’immobilismo e alla corruzione. Come molti degli insediamenti umani presenti in questo lembo di terra che unisce e divide Africa, Europa e Asia anche la città di Hebron conserva nel proprio suolo vestigia di un tempo sconosciuto che tre religioni pretendono proprio. Qui il suo nome è Machpela, una grotta che plausibilmente preserva le spoglie di Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, Giacobbe a Leah – luogo santo quasi quanto i due sepolcri a Gerusalemme dove è contenuto l’unico corpo di Cristo. Sopra questo luogo di pietre mute è stato edificato un tempio dove molte preghiere sono state affogate nel sangue: diviso al suo interno in sinagoga e moschea il Santuario di Abramo è un altro dei simboli dell’inconciliabile e assurda separazione tra esseri umani che condividono la medesima natura e la stessa cultura e che ripeteranno l’eterna e sempre uguale rappresentazione della soppressione dei deboli.

Cos’ha a che fare con tutto questo la Musica? La Musica serpeggia dagli strumenti e dalle radio, è ovunque, dentro ai locali per festeggiare, dagli altoparlanti per marciare, sugli schermi, negli autobus, nelle voci, nei canti e nei battimani, viene sfruttata come arma di separazione o immaginata come possibilità di riconciliazione, nelle sue correnti sempre vive si può vedere scorrere la sabbia del tempo.

61XBaRNblXL._SX355_la prima delle radci comuni, musicalmente parlando, nel territorio palestinese e israeliano è la musica Mizrahi, una summa di influenze derivanti dall’Europa – Grecia e Spagna su tutte – Nord Africa e mondo arabo, cantata principalmente da artisti israeliani. Il re di questo genere è Zohar Argov, musicista dalle origini umili afflitto dalla povertà e dall’insuccesso durante gli anni del suo esordio come cantante, raggiunto il successo negli anni Ottanta diviene l’unico artista locale a riuscire a scavalcare nelle classifiche gli artisti pop d’oltreoceano. Inizia una serie di tour in Europa e Sati Uniti, qui conosce l’eroina che gli sarà fatale in carcere quando, simulando un suicidio dopo una dose, non riuscirà a liberarsi dal cappio che si era stretto attorno al collo. Se Zohar Argov è il re della Mizrahi, Ofra Haza è indubbiamente la regina, recuperando la tradizione e modernizzandola con sonorità pop e portando Ofra al successo internazionale.  Il recupero della tradizione passa anche da Reem Kelani, raffinata cantante anglo-palestinese che nel suo Sprinting Gazelle – Palestinian Songs from the motherland and the Diaspora (2006, Imports), concentra un sapiente lavoro di recupero delle sonorità vetero-mediorientali inanellando capolavori di arrangiamento utilizzando strumenti appartenenti alla tradizione orientale e occidentale.

subhigli strumenti più tradizionali vengono imbracciati dai Kedem Ensamble e Mohsen Subi. Il primo è un collettivo di ascendenza sefardita appropriatosi di musicisti svizzeri e italiani che con kamancheh, tammorra e fisarmonica creano atmosfere di danze ritmate dalla malinconia. Il secondo è un maestro di oud, il più tradizionale e usato tra gli strumenti a corde arabi, compositore e riarrangiatore di classiche canzoni palestinesi. Nasce percussionista e forma le sue competenze musicali nella costa est degli Stati Uniti dando vita allo splendido Mawasem (Incognito) e rivitalizzando la tradizione di danza matrimoniale dabkeh.

R-6357026-1417261243-7679.jpegterra di passaggio e confine, attorno a Gerusalemme ruotano da sempre tutte le tradizioni e le innovazioni del pianeta. Tra le band rock-pop postfloydiane si annoverano i contemporanei Tatran, un power trio che in Shvat (2014) esprime la sua anima desertica e occidentaleggiante, spazi sintetici scolpiti da basso e batteria. Gemelli dei Tatran sono Tiny Fingers, appartenenti alla medesima generazione a simili influenze si armano di sintetizzatori e  groove per sperimentare psichedeliche incursioni in zone care ai loro confratelli europei e americani.

Front-Cover-1sul fronte del mash-up culturale più contemporaneo si può creare un triangolo ai cui vertici si situano Kutiman, Idan Raichel e The Idan Raichel Project e Ravid Kahalani con i suoi Yemen Blues. Il primo è ormai famigerato per i suoi video in cui mixa passaggi strumentali da tutto il mondo per creare intere composizioni mescolandone i caratteri e le ritmiche. Il secondo si concentra sulla tradizione ebraica, araba e etiope e l’ultimo è pura sperimentazione tra mambo, funk, elettronica, splendide avventure vocali e canti antichi.

41ZWXV5FfPL._SS500fervente è la scena hip-hop, forma musicale ideale per incanalare e esprimere malcontento e desiderio di rivalsa. Tra questi i precursoni palestinesi sono gli ormai classici DAM e il loro leader Tamer Nafar, eredi della cultura black americana convertono il proprio flow in mezzo di espressione sociale denunciando con ironia amara le demolizioni subite in un paese in guerra perpetua. Il nome significa “sangue” in ebraico e “instancabile” in arabo, a cavallo tra Nabka e la Seconda Intifada i loro testi in arabo, ebraico e inglese sono inni alla resistenza, motivi sufficienti per portarli al contrasto con Subliminal, nome d’arte di Ya’akov Shimoni, rapper israeliano figlio di rifugiati e creatore dello “Zionist hip-hop”. La controversia politica tra i due leaders è fulcro del documentario Channels of Rage.

per informazioni su Hebron: Breking the Silence  ,  Youth Against Settlement   ,   Mapping Hebron Apartheid

in collaborazione con: Muhanned Qafesha e Nisan Mai

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