#Lanternesonore in OLANDA

Non è una novità che l’ingegno umano abbia trovato una casa confortevole nei Paesi Bassi, porti e dighe poderosi, economie mercantili in grado di soggiogare con un esteso colonialismo i quattro angoli del mondo, uno spirito ed un acume morale lucidi e ironici come provano le parole di uno dei suoi poeti e filosofi Bernard Mandeville che nel sua caustica e irrispettosa Favola delle api recitava : « Frode lusso e orgoglio devono vivere, finché ne riceviamo i benefici: la fame è una piaga spaventosa, senza dubbio, ma chi digerisce e prospera senza di essa? ».

In queste regioni fertili anche la musica ha prosperato regalando, qui più che altrove, decisi tentativi di espansione mentale. Prendetevi del tempo per ascoltare musica e cercate di immergervi nel suo mare, sulla riva è solo un rumore di fondo.

LOUIS ANDRIESSEN De StaatL’opera del compositore Louis Andriessen lo necessita. Poderosa nel suo afflato di riflessione sull’inevitabile contenuto politico della musica, di cui è prova più che ogni altra De Staat (1972), una piece che somma in sé la teoria di Andriessen. Consapevole di quanto la musica incarni nei suoi materiali compositivi la società che la circonda, e quanto poco possa nei confronti delle sue politiche, fa uso di un ensamble non convenzionale, che unisce senza fratture strumenti classici ed elettrici, raccordando Stravinskij, Steve Reich e Platone. Le quattro voci femminili che emergono da una torma di oboe come dalla cavea del passato tuonano i versetti de La Repubblica dell’ateniese, eteree ed ambigue evocano chi scriveva di certi modi musicali: « la mixolidia, la sintonolidia, e qualche altra simile […] Non sono dunque queste da eliminare? Sono infatti inutili persino alle donne che debbano essere valenti, per non parlare degli uomini ».

220px-BrainticketCi allontaniamo di parecchi gradi per trovare una band dal forte contenuto lisergico, i Brainticket sono una formazione che unisce in sé rock progressivo e psichedelico offrendo in Cottondownhill (1971, Bellaphon) un acid test sonoro, un provante viaggio all’interno di un caos allucinogeno, un caleidoscopio di organi e chitarre furibonde, sirene di oceani elettrici e frattali in frantumi. Band che ha militato anche in Italia, registrando a Milano un paio di dischi, ha in questo album la sua prova più spontanea, prova dell’aria che si doveva respirare al tempo, tanto che una nota di accompagnamento all’album, vietato negli Stati Uniti, recitava “only listen once a day to this record. Your brain might be destroyed “.

Urban_Dance_Squad,_Mental_Floss_for_the_Globe,_front_cover.jpegPiombiamo all’inizio degli anni Novanta con una formazione gradita agli amanti di felpe con cappuccio e sinergie tra chitarre elettriche, punk, funk e hip hop. Gli Urban Dance Squad nel loro album d’esordio, Mental Floss for the Globe (1990, Arista), prendono a piene mani dai Beastie Boys unendo una chitarra, un basso elettrico e una batteria alle mani di un DJ per confezionare un mix di groove e campionamenti delizioso, carico di una carica distruttiva che aprirà la strada ai Rage Against the Machine e ispirerà il futuro del Nu Metal.

originalFacciamo una pausa da questo rimbombare rutilante e prendiamoci un profondo respiro, lasciamo che il silenzio riprenda il suo spazio e poi che un suono emerga come nuvola da dietro una montagna, come un refolo di vento o luce arancione sulle palpebre chiuse. È da questi spazi che parte la ricerca musicale di Rutger Zuydervelt in arte Machinefabriek, graphic designer di Rotterdam, musicista autodidatta che gioca negli interstizi tra ambient e minimalismo. Spazi sonori che si dilatano in distese sconfinate e si racchiudono nei riflessi di una goccia d’acqua; una produzione da guardarsi nell’ottica della casa discografica che spesso pubblica i suoi lavori, l’etichetta indipendente di musica sperimentale di base ad Amsterdam Staalplaat, un autentico scrigno di meraviglie.

R-186742-1395703236-4006.jpegDecompressione finita, pronti a piombare nel regno più fertile dell’anima olandese, quello di giganteschi club sotterranei, laser e ritmiche ossessive, ricerca di stati estatici. La ribellione del popolo olandese in musica si scaglia contro la commercializzazione della musica elettronica e nel 1995 esce uno dei manifesti di quella controcultura che verrà definita “gabber”. Rainbow in the Sky (1995, Rotterdam Records) è il raddoppiare e triplicare delle ritmiche sostenibili con cui DJ Paul Estak bersaglia i ravers contribuendo a creare una nuova vena della musica elettronica che avrà seguaci ed epigoni in tutto l’Occidente trasformando l’Olanda nel gotha dei deejays.

220px-Armin_van_Buuren-76Uno di questi diventerà un ramo del frondoso albero della trance music, derivazione più ricca di sonorità progressive e vera e propria musica da esplorazione forsennata del proprio cosmo interiore. Armin Van Buuren è una delle punte di diamante del movimento, compositore e produttore che ha dato alle sue textures un’impronta che ha contribuito a dare vita allo stile trance olandese. Il suo primo album 76 (2003, United) è l’apripista, un mondo in cui si può finire attraverso qualche specchio, un’immersione in altri territori dove provare a immaginare nuovi colori.

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