L’arte del camminare – Scoprire il mondo lentamente

Camminare, che sia in città, in riva al mare o su qualche sentiero montano, per un’ora o per mesi, è probabilmente l’attività che meglio connota l’essere umano. Camminare ci porta a scoprire il mondo circostante, a conoscerlo realmente grazie ai nostri sensi e non più solo attraverso le immagini di uno schermo o di una guida tascabile.

downloadScrive l’antropologo francese David Le Breton nel suo libro Il mondo a piedi. Elogio della marcia (2000): «Camminare significa aprirsi al mondo, […] è vivere attraverso il corpo, per breve o per lungo tempo.[…] Spesso è un espediente per riprendere contatto con se stessi». Una sorta di forma meditativa, dunque, che presuppone calma, lentezza, equilibrio e curiosità e che spesso funge anche da ispirazione.
Se Rousseau scriveva di riuscire a meditare solo camminando, Le Breton stesso afferma di privilegiare la marcia al fine di ritrovare la voglia di scrivere: camminando si ritrova una dimensione interiore che si credeva perduta e, soprattutto, si riscopre il valore del silenzio che è condizione necessaria per elaborare i pensieri ed ordinarli sul foglio bianco. La numerosa produzione letteraria a riguardo ne è una chiara testimonianza: da Rousseau a Stevenson, da Thoreau a Gary Snyder e Jon Krakauer fino ai più sconosciuti autori di diari di viaggi a piedi, la pratica della scrittura si accompagna spesso a lunghi periodi di cammino, il più delle volte solitario e non necessariamente con uno scopo preciso.
A questo proposito, è nelle parole dello scrittore italiano Giulio Mozzi che troviamo condensata la relazione essenziale e simbiotica che lega cammino e scrittura: «Un testo scritto è fatto di una parola posata dopo l’altra. Un cammino è fatto di un passo posato dopo l’altro. Ogni parola che scriviamo esclude tutte le altre possibili. Ogni passo che facciamo esclude tutti i passi possibili. L’arte di scegliere un passo non differisce, nella forma, dall’arte di scegliere una parola».

È pur vero però che l’andare a piedi ai nostri giorni è un atto sempre più ostacolato: modernità, progresso e velocità minacciano continuamente questa naturale pratica sinonimo di esperienza profonda e di trasformazione interiore.

Oggi la marcia rappresenta un vero e proprio antidoto al senso di oppressione ed pellegrinaggio_-_giovani_in_cammino_verso_santiago_de_compostela_imagelarge1asfissia provocato dalla società contemporanea caratterizzata da ritmi che a stento è possibile definire umani. Ma questo lo riconosceva perfino Thoreau già nel primo ‘800 quando, nel breve saggio Camminare (1863), identificava «la pratica del vagabondaggio col rimedio all’ansia che la macchina del progresso finisce per generare». D’altronde, quelli erano gli anni della rivoluzione industriale che più di ogni altro processo antropico ha modificato abitudini, idee e percezioni. In particolar,e saper camminare per Thoreau non è da tutti ma equivale a possedere un «dono diretto dal paradiso» perché viandanti si nasce, non si diventa. Sono in pochi a comprendere fino in fondo «l’arte del camminare», del passeggiare senza meta su strade isolate, in pochi quelli che possiedono il giusto stato d’animo e la giusta consapevolezza per mettersi in cammino reinventando il tempo e lo spazio.

Secondo Le Breton, inoltre, altra condizione necessaria per il primo passo è la libertà: «Chiunque […] sarà un uomo libero, sarà allora pronto per una camminata». Si potrebbe anche affermare che l’essere liberi non è solo un prerequisito ma anche un particolare effetto del camminare. Viaggiare a piedi equivale a un potente mezzo per affermare la propria libertà e, non meno importante, per ritrovarla.   Thoreau nelle sue passeggiate dimenticava le occupazioni mattutine e i doveri verso la società, Le Breton invece si focalizza sul tempo e su come il viandante riesce a riappropriarsene facendo notare che a piedi «svanisce la nozione del tempo, il viaggiatore è in un tempo rallentato a misura del corpo e del desiderio. L’unica fretta a volte è quella di arrivare prima del calare del sole».

citazione camminareNel mondo moderno governato dalla fretta trovare del tempo per sé è pressoché impossibile e farlo attraverso il cammino sembra un atto rivoluzionario, eversivo e fuori dal comune. Prendersi qualche ora per godersi un tramonto dai colli della propria città comporta uno sforzo mentale e fisico, il dovere di ritagliarsi del tempo che ad alcuni sembra un vero lusso. Colui che ha la possibilità di partire con zaino in spalla e cartina alla mano è quindi un privilegiato: anche solo per un periodo limitato può lasciarsi alle spalle responsabilità e convenzioni sociali, proiettando il suo sguardo su una realtà sconosciuta dove non si è schiavi del tempo ma solo anonimi individui pronti a cogliere le opportunità che si presenteranno sulla strada e che, inevitabilmente, lasceranno dei segni, perché «partire significa cambiare vita, per un tempo più o meno lungo».

Essere curiosi è infine l’altra fondamentale condizione per intraprendere un cammino: oltre ad una buona dose di coraggio, che forse più di ogni altra cosa ci spinge ad andare e a superare i limiti della mente, la curiosità e l’entusiasmo abitano l’animo del viandante il cui volto si illumina ad ogni insolito paesaggio o all’incontro con uno sconosciuto che è poi diventato un amico. Camminare è dunque un efficace modo per non smettere mai di meravigliarsi, per continuare a sorridere e riscoprire la bellezza del mondo, semplicemente a portata di… passo. 

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