Laureline Amanieux e le parabole di Amélie Nothomb

Ho incontrato Laureline Jacquot Amanieux a Parigi, era alla Sorbona in qualità di relatrice ad una conferenza dedicata ad Amélie Nothomb. Immaginavo una lezione cattedratica di letteratura contemporanea, invece, ecco, con stupore, uno sguardo nuovo, rispettoso della poetica ed ancor prima dell’esistenza di Amélie Nothomb. Un’analisi non imbalsamata in teorie rigide applicate con azzardi interpretativi più o meno brillanti, bensì una ricerca fino al cuore autentico dell’essere e della scrittura: lo spirito dietro le parole. Il tesoro della letteratura pura che la scienza della lettura impara a non tradire.

«au déhors des mots je n’existe pas»

(al di fuori delle parole io non esisto)

La chiave di indagine proposta rispetto all’ars scrittoria di Nothomb è “la transformation romanesque de soi” (trasformazione di sé attraverso l’arte del romanzo) grazie al potere favoloso della fiction. La letteratura, nel suo insieme, può essere anche concepita come il luogo della rappresentazione dell’umanità, un luogo di salvezza e dannazione di miti e personaggi. La salvezza, o meglio, le trasformazioni posso essere psicologiche, ma anche di ordine metafisico. In gioco c’è sempre l’identità declinata in tutte le sue dimensioni. Mai dimenticare che i confini della definizione del sé, nella cultura occidentale, sono stati brutalmente invasi dal senso di colpa e del sentimento orrore per l’esistente che in quanto organico deve superare il naturale decadimento del mito della giovinezza eternizzata come un Dio onnipotente.

«on peut râter sa vie pour un ‘non’»

(si può perdere la propria vita dicendo un ‘no’)

fonte: savoirchanger.irg

Il terrore degli individui di accettare il destino, ossia di incamminarsi sulla via del mistero della vita all’orizzonte, senza certezze, può anestetizzare lo spirito o chiudere l’essere in un guscio a cui si aggiungono, potenzialmente, eventi dolorosi talmente traumatici da assopire l’impulso vitale convertito in logica distruttiva. Allora, non sarà la parabola dei talenti o delle ambizioni a salvare il mondo, né la forza, tanto meno la volontà. A volte, si tratta di un sì o di no: “pour un oui ou pour un non” come nella pièce di Nathalie Sarraute. La benedizione della scelta, insomma. Essa sta nell’accettare di aprirsi al flusso delle cose ed in questo sforzo – apparentemente banale e sostanzialmente sovraumano – la scrittura può essere sutura, ossia un mezzo per ricucire insieme corpo e anima le quali, riconciliate, potranno sviluppare un linguaggio che descriva un arco nel tempo, un abbraccio che accolga ciò che si è stati e ciò che si diventerà con piena speranza di amore e libertà. Aldous Huxley ha scritto “l’obstination est contraire à la nature, contraire à la vie” e questa citazione in epigrafe di uno degli ultimi romanzi di Amélie. La risposta è la pratica in cui anche Ludwig Wittgenstein – stando ai suoi “Cahiers Secrets 1914–1916” – si è esercitato: non opporre resistenza alla vita.

«sans livres je ne serais plus ici»

(senza libri non sarei più qui)

«écrire est un acte d’amour»

(scrivere è un atto d’amore)

L’ossessione del nemico interiore e la sua logica di guerra implicano la messa in scena di un duello – molto spesso tra il sé e la sua proiezione (sdoppiamento o raddoppiamento dell’interiorità), nel solco dell’Horla di Maupassant, o tra una coppia di elementi-soggetti estranei (incontro di un doppio) che combattono dialetticamente  – che rappresenta, simbolicamente, il conflitto radicato nel mondo. Una cifra, quella del conflitto, a cui non si può rinunciare e a cui non si deve abdicare, perché fa parte dell’essenziale nella mediazione con l’altro da sé. Una mediazione che può trovare una risposta nel confronto non distruttivo, nell’amicizia con sé, altrimenti l’esito è il delirio della follia con le sue macerie.

«romantisme paranoïaque»

gibertjoseph.com

È forse questa espressione – romanticismo paranoico – il migliore sguardo sul genere di affabulazione che Nothomb ci consegna per mettere in discussione il mondo ed i suoi abissi, interiori e collettivi. Il lirismo che accarezza anche il grottesco, non tollerandolo con superiorità, ma cantandolo con rispetto; lo stile asciutto e rapido fatto di giustapposizioni, aporie, paradossi, anacoluti; l’assenza di metafore; gli omaggi e la ribellione al testo biblico desacralizzato indicano le ambiguità, le rotture ed le mancanze con cui ogni filo narrativo umano fa i conti nella parabola potenziale dalla resistenza per la sopravvivenza alla resilienza della coscienza. La riconoscenza del vivente verso la vita come esserci, esperienza e possibilità di sperimentazione nel tempo del passaggio terreno: forse è questa la misura della salvezza imperfetta, la misura umana del reale, con le sue ambiguità, trattate da Amélie con humour o più spesso per contrasto ad una satira tagliente.

«surréalisme belge»

La produzione di Amélie Nothomb non può essere iscritta in correnti letterarie prestabilite e non è importante decidere se ha inventato o meno un nuovo genere letterario. Sicuramente la tradizione a cui sembra vicina è quella della poesia di Claude Michu, delle favole popolari, delle parabole alchemiche. La funzione assolta dalle sue visioni e dalle immagini mitiche che crea si risolve nella necessità delle stesse di non essere spiegate, proprio perché contengono la suggestione dell’inesplicabile che raccontano. Il lavoro del sensoriale e delle percezioni oltre le imposizioni e le volontà della ragione.

«modifier le regard c’est notre grand œuvre»

linternaute.com

Laureline Amanieux e Amélie Nothomb hanno messo in comune questa fede: la nostra grande opera umana sta nel modificare lo sguardo su di sé e sul mondo. Amélie ha fatto della sua stessa vita un’opera esemplare e provocatoria, mentre Laureline ha creduto nel potenziale trasformativo dell’invenzione mitologica classica che propone una chiave di lettura dei nodi delle nostre trame ed indica una possibilità di abbandono delle nostre interruzioni inconsce per il risveglio dello slancio nello svolgere il filo narrativo epico del protagonismo benefico che ogni vita può dischiudere. La concezione della metamorfosi, potremmo dire. Il cammino evolutivo profetizzato da Joseph Campbell e da Paul Ricœur.

«tout à coup, toute cette énergie a servi à autre chose qu’à me détruire»

(d’un tratto tutta quella energia è servita ad altro che a distruggermi)

leslettresdelaurelineamanieux.blogspot.com

Alla fine, dall’amicizia di queste due donne e letterate è nato un progetto ambizioso: un documentario sull’infanzia ed i ricordi in Giappone di Amélie. La pellicola è stata trasmessa da France5 (collezione Empreintes) con grande successo nel mese di ottobre (2012). L’idea di Laureline è stata quella di far tornare Amélie, dopo sedici anni, in Giappone sui passi del suo passato per riscrivere il futuro.

letteraturagrafica.over-blog.com

Chi ha letto le opere autobiografiche di Amélie sa che il Giappone del sud, quello leggendario delle montagne e dei villaggi incantati, è la sua terra natale (cfr. Autrement dit, qui), almeno fintanto che la famiglia belga non dovette trasferirsi per seguire gli spostamenti del padre in ragione della sua professione di diplomatico. Amélie descrive quella separazione come un’apocalisse, la perdita assoluta, la caduta dall’Eden, l’uscita da un’infanzia idilliaca, ciò che crescendo le ha fatto dichiarare di non avere “autre patrie que dans les mots” e di aver capito che ciò che l’ha fondata è la mancanza del Giappone.

Dopo quel distacco vissuto come abbandono, Amélie ha vissuto in vari continenti, andando incontro ad un’adolescenza difficile e violenta fino all’anoressia (cfr. video su savoirchanger.org, qui). Davanti all’oscuro male mortifero, Amélie – che aveva già iniziato a scrivere – fece ciò che oggi consiglia a chiunque debba dare una svolta alla propria storia: cambiare luogo, cambiare lingua. Così, tornò nel suo amato Giappone e visse delle avventure professionali e sentimentali che le cambiarono la vita, pur nella consapevolezza dell’insuccesso: il fallimento (impossibilità) di non poter diventare giapponese, il fallimento (l’interdetto) di non potersi integrare. Ritornare è un atto di purificazione. Anche dall’ossessione della violenza, riscoprendo il piacere, l’ambiguità, il fascino e la nostalgia dell’esserci.

«UNE VIE ENTRE DEUX EAUX»

fonte: lavenir.net

Verrebbe da dire che la metamorfosi di Amélie è avvenuta – non solo nella scrittura – da quando ha accettato di mettere al centro la nascita. Un pensiero, forse un messaggio ancora troppo inascoltato, che ci viene da Hannah Arendt e da Maria Zambrano. “L’essere umano in quanto esso stesso inizio ha la capacità di iniziare qualcosa di nuovo e imprevisto. E questo incipit avviene in ogni nuovo nato. Di questa frase Arendt farà quasi una professione di fede laica nella capacità propria dell’essere umano di fuoriuscire dal flusso di una vita altrimenti prigioniera dell’infinita ripetizione del produrre per riprodursi, della conservazione della specie e dal suo destinale tracciato verso la morte. Nascere è anzitutto iniziare: ‘Gli esseri umani, anche se devono morire, non sono nati per morire ma per incominciare’, scrive infatti Arendt. Ogni nuovo nato apre una breccia nel continuum, un’interruzione nell’ordine naturale delle cose, aprendo nel corso del mondo direzioni inaspettate che egli stesso non controlla come un io sovrano. E’ un essere inaugurale attraverso cui si dà una nuova possibilità alla libertà. La libertà potenziale ha il suo radicamento nel fatto stesso del nascere’” (cit. Rosella Prezzo).

La vita, così la letteratura, mantiene aperto il canale del ritorno alla sorgente, il ritorno alle origini e alla possibilità di generare proprio come nella leggenda nipponica shintoista di Amaterasu-ō-mi-kami, dea del Sole e dei cieli.

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