Le memorie dell’Avvocato

Le professioni forensi sono innumerevoli, tuttavia un automatismo un po’ pigro e un po’ radicato ci porta ad identificare l’idea dell’esercizio e della pratica del diritto con la figura dell’avvocato, in particolar modo il penalista. Complice la mitologia cinematografica e la tradizione latina – rimaste nell’immaginario comune fonte di riferimento supremo – l’avvocato penalista è stato modellato sull’istrione di successo, un professionista che non si lascia invischiare dalla burocrazia e che si impone piuttosto per personalità ed un certo spirito spettacolare. A metà tra mago e mentalista, capace di incantare, manipolare il ragionamento per giustificare ed imporre la propria volontà e la propria visione delle cose. Seduttivo, rassicurante quanto basta e aggressivo quanto serve per catturare la flebile attenzione dell’organo giudicante, il penalista sarebbe un regista e un personaggio insieme. Ciò non toglie, però, che il desiderio di quest’immagine suggestiva ed evocativa affondi nel sincero desiderio di adempiere al proprio ruolo di servizio con onestà e presenza spirituale. Il sipario si apre e sulla nostra scena troviamo il grande Maurice Garçon.

Non sono delle memorie. Troppo presto. Non è un diario. Non ho visto abbastanza cose. E non sono nemmeno dei pensieri. Non sono abbastanza sicuro di me. Sono degli appunti, degli appunti di cui voglio ricordarmi e che sarò il solo, forse, che avrà il piacere di rileggerli.

Era il 29 febbraio 1912 quando Maurice Garçon inaugura con queste parole la prima pagina del suo diario che redigerà fino alla sua morte, precisamente all’anno 1967. Riempirà quarantuno quaderni della sua fine grafia. Era il 25 luglio 1911 e prestava giuramento davanti all’ordine forense di Parigi.

Era il 25 novembre 1889 quando il piccolo Maurice venne alla luce a Douai dove suo padre, Emile Garçon, figlio di modesti commercianti di Poitiers, era professore di diritto prima di trasferirsi alla facoltà di Parigi.

Figlio di un eminente avvocato, quindi, Maurice Garçon arriverà a Parigi insieme alla famiglia nel 1898 e descriverà il suo ambiente di “media borghesia” e la sua infanzia come frutto di solitudine e immaginazione, nonostante l’amore ricevuto. La disciplina scolastica non fu mai il suo forte, ciò non gli impedì di darsi l’occasione di una scelta di riscatto universitaria: diritto o medicina? Sarà il padre il mentore per questa scelta.

Un anno dopo l’investitura d’avvocato, vaga per le aule del Palazzo di Giustizia, annoiato e deluso dalla pratica come debuttante. Non riceve nessuna particolare soddisfazione dal suo dominus, Labori, il celebre avvocato de l’Affaire Dreyfus, ma – e inaspettatamente – questi gli affiderà qualcosa di molto più prezioso: un dossier tutto per lui, il primo, quello che lo farà immergere nella professione fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Eppure, fato volle, che nemmeno la Grande Guerra riuscì a sottrarlo alla professione: riformato perché “troppo alto e dal petto troppo stretto”, resterà a Parigi discutendo le sue arringhe davanti ai consigli di guerra. Tutti questi cambiamenti sociali saranno fedelmente riportati nei suoi quaderni mai abbandonati, dettagliati nell’illustrare i ritratti di chi lo circonda, uno stile netto e visivo come quello dei suoi disegni.

Sì, perché Maurice Garçon aveva anche capacità artistiche ed il disegno era l’arte a cui non rinunciava, nemmeno come arma contro il suo più grande rivale René Floriot: il momento migliore per dipingere i suoi acquarelli era – ci par logico -proprio il turno dell’orazione del suo avversario.

Maurice annota tutto, fatti, pettegolezzi, scandali di cui la Terza Repubblica fu generosa. Accanto alla narrazione della realtà sociale e personale, iniziano a emergere le emozioni più intime come la paura della propria morte e la simbiosi con il padre. Ho perso mio padre e ho perso il il mio migliore amico, scriverà quando il genitore si spense nel 1922 e non smetterà di evocarlo ad ogni grande tappa della sua vita. Nel 1941 ad esempio, qunado accetterà la difesa di Georges Mandel: “credo che mio padre, se fosse vivo, mi approverebbe”. Oppure nel 1946, quando, eletto all’Académie Française scriverà: “ho giurato sul suo letto di morte che nella mia vita non avrei avuto che un solo scopo: imitarlo in tutto”

Lo stesso Emile teneva un diario che Maurice rileggeva senza fine. Scomparso il suo interlocutore privilegiato, prende allora la risoluzione di trovare conforto nella scrittura, ma continuerà ad avere una sola fissazione: la validazione e l’idealizzazione paterna. “Non aveva nessuna illusione sulle cose e sulla gente. Sa quello che valgono e le disprezza un po’ perché si sente superiore”. Lo stesso atteggiamento, peraltro, che gli sarà rimproverato dal suo entourage. Eppure, psicologicamente, nulla di strano: sottoporrà gli altri alla stessa durezza con cui giudicava sé stesso, con lo stesso scetticismo, la stessa critica fino al cinismo crudele, mosso da una coscienza di scrupolo e uno spirito inquieto.

Ma arriviamo al febbraio del 1934, quando il tenebroso affaire Prince, avatar del caso Stravinsky, è alla ribalta. Maurice Garçon è a quel punto abbastanza conosciuto perché la famiglia del congisliere gli conferisca l’incarico della difesa. Il dossier lo intriga, più per passione dei fatti di cronaca che dellapolitica.

Quando il Consiglio dell’Ordine gli rimuoverà l’incarico, esasperato dall’estremismo che gli veniva attribuito, scriverà indignato: “Dove sono stati a indagare le mie opinioni politiche allorché io stesso esito sulle mie convinzioni?”. In quegli anni, in effetti, rimarrà a distanza da ogni egagement e si proclamerà liberale dichiarando che senza la Dichiarazione dei diritti dell’uomo non esisterebbe progresso della condizione umana.

Tutto cambiò nel 1938 quando il Pr Grimm – consigliere giuridico di Hitler – lo invitò ufficialmente a Berlino per tenere una conferenza sull’avvicinamento franco-tedesco. Questa data segna un incontro che determinerà i fatti successivi e legherà la sua attività ai gravi sconvolgimenti storici: il 7 novembre dello stesso anno, viene ucciso a Parigi il diplomatico tedesco Vom Rath che secondo la storiografia servì da pretesto alla “Notte di Cristallo”.

Il giorno 19 dello stesso mese, Grimm si rivolse a Maurice per costituirsi come parte civile in nome dei familiari di Vom Rath. Accettare? Come rifiutare? A cosa appellarsi? Niente viene in suo soccorso, le circostanze sono violente e la minaccia pesa in ogni senso, allora decise di ripartire per Berlino al fine di vederci chiaro: persuaso che la famiglia di Vom Rath fosse all’oscuro della causa e convinto che non desiderasse divenirne parte civile, sospettava l’intrigo di regime, una manovra in vista di un processo di propaganda.

Ricevuto alla stazione da Grimm, raggiunta insieme a questi la famiglia Vom Rath, Maurice avrà la certezza della giustezza delle proprie intuizioni. Quando suggerì di non procedere in giudizio, Grimm lo mise spalle al muro. Sul quaderno segreto, a fine giornata, si legge una sintesi eloquente.

“Si tratta di un affare di Stato. Non posso pertanto trascrivere la conversazione. Sono tenuto al segreto professionale e probabilmente è in gioco la pace del mio paese. Che fare? Ho voluto determinare con fermezza il mio ruolo. Ho spiegato che niente potrà obbligarmi a prendere le difese del regime tedesco né farò l’apologia di una teoria razzista che rifiuto dal fondo della mia coscienza.” Preso dal dubbio, Maurice si interroga: “Bisogna pensar che la guerra può risolvere questa banale questione? Sarebbe mostruoso pensarlo.”

Allora cosa avrà deciso il nostro Maurice? Il romanzo di una vita!

Vi sveleremo le sue avventure con un prossimo episodio, ma dopo un evento da non mancare. Il 12 maggio al Palazzo di Giustizia di Parigi aprirà l’esposizione dedicata a Maurice Garçon, La penna e l’eloquenza.

In quell’occasione sarà presentata l’edizione completa dei suoi quaderni – confessioni di un avvocato – e sarà inaugurato il Medaglione dedicato a questa personalità intensa, a tratti dura, a tratti trasparente, a volte vanitosa, spesso veemente, alacre, un uomo dedito al lavoro. Enormemente umano.

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