Le piccole parole di Virginia Woolf

Il 25 gennaio del 1882 Virginia Woolf veniva al mondo facendo quello che facciamo tutti: piangendo. Da lì in poi, è stato tutto un lungo, incessante tentativo di dipanare la matassa, di incastrare i tasselli, di puntare il dito e riconoscere. Per lei più che per noi, forse: aveva bisogno di un principio, di un appiglio, per ridare centro e ordine alle cose.  Come i bambini delle favole lasciano le molliche di pane per ricordarsi la strada, la convenzione del linguaggio inventa e posiziona le parole per aiutarci a orientarci nel mondo . Ma non è che una convenzione, in fondo; ma non è che un tentativo, appunto.

Non terrò conto del titolo e parlerò delle parole: perché non si lascino ridurre a mestiere. Dicono la verità: non sono utili. Che ci dovrebbero essere due linguaggi: la fantasia e la realtà. Le parole sono inumane… non fruttano soldi; hanno bisogno di intimità. Perché? Per accoppiarsi, per continuare la razza. Una parola morta. I puristi e i non puristi. Sono soltanto impressioni, accenni, non cristallizzazioni. Rispetto le parole, anche. Associazioni di parole. E’ facile creare nuove parole, squish squash, crick crack. Ma non si possono adoperare scrivendo. (3 aprile 1937) ¹

the-waves-2«Ho bisogno di un linguaggio piccolo come quello che usano gli amanti, di monosillabi come quelli che i bambini dicono quando entrano in una stanza e trovano la madre che cuce e raccolgono qualche avanzo di lana colorata, una piuma, una striscia di chintz. Ho bisogno di un ululato, un grido […] Niente che sia preciso. Niente che poggi con tutti i suoi piedi a terra. Nessuna di quelle risonanze e dolci echi che irrompono e rintoccano di nervo in nervo nei nostri petti, facendo una musica selvaggia, frasi false. Ho finito con le parole.»²

 moments of being

«Che dietro la bambagia si nasconde una trama; che noi – e intendo tutti gli esseri umani – con questa siamo connessi; che l’interno mondo è un’opera d’arte; che noi siamo parte dell’opera d’arte. L’Amleto o un quartetto di Beethoven dicono la verità riguardo a quest’immensa massa che noi chiamiamo il mondo. Ma non c’è nessuno Shakespeare, non c’è nessun Beethoven; sicuramente non c’è dio, lo dico con forza; noi siamo le parole; noi siamo la musica; noi siamo la cosa stessa. »³

 

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