Le realtà e le assuefazioni

La realtà è passibile di mutazione, lo si avverte ad esempio quando ci si riscuote da un’assorta concentrazione e il rigonfiamento sull’intonaco o il ramo d’albero che avevamo cominciato a fissare tornano ad essere oggetti esterni al nostro esservi perduti dentro, ci sommerge di nuovo la loro realtà e quella di tutto ciò che li contorna, spazzando via il velo dei ricordi e delle supposizioni; sgorga una melodia, si effonde un odore o un profumo e la realtà cambia di nuovo gradazione colorandosi di entusiasmo o infelicità.
Questi esempi possono introdurci a due, o forse uno soltanto, dei motivi per cui si sperimentano alteranti: sia che si cerchi una più profonda immersione nel sé, sia che ci si voglia espandere verso l’esterno, la curiosità porta ad avvicinarsi a sostanze e dispositivi che permettano una immediata elusione o un arricchimento della realtà. A precedere questa trasformazione provvisoria vi è una zona grigia dove chi sta decidendo se sottoporsi alla mutazione si chiede perché lo stia facendo e dove questo possa portare. In questa condizione serpeggia la propria storia personale e la profondità della capacità critica, tanto quanto il contesto in cui si è immersi; la consapevolezza dell’atavico desiderio dell’uomo a superare la paura nella ricerca della conoscenza e del piacere si affianca a un pensiero contro che vuole svelare certe crepe che l’assenso rende impercepibili.

att_641146Uno di questi, che addita con un indice gigantesco il problema dell’alterazione sociale, è il pensiero di Lev Tolstoj nel cui cristianesimo anarchico si trovano candele che, per quanto tremolanti, ancora gettano luce negli angoli più oscuri della società. Famosa è ad esempio la sua allegoria infernale, in cui il Lucifero detronizzato da Cristo viene risollevato e investito di nuovo potere dai diavoli della Chiesa e dello Stato, e altrettanto interessanti sono i suoi saggi meno noti in cui distilla una sete di resurrezione universale. Tra questi uno che i primi editori inglesi tradussero con Wine Drinking and Tobacco Smoking e in cui si evidenzia quanto l’uso di stordenti, operato tanto dai governanti quanto dai governati, pregiudichi una retta gestione della propria esistenza e di quella degli altri. Lo scrittore russo alle soglie del ‘900 riflette sulla perdita di aderenza tra il proprio agire e la coscienza spirituale e su quanto il rigore della valutazione del proprio operare devii quando si sceglie di alterarsi portando a smarrire la via autentica, una via di attenzione e cura in cui la distrazione e l’ottundimento si protrae a causa dell’assuefazione a certe sostanze.
Se tale divario viene percepito più acutamente dagli spiriti più sensibili, in una società che tende ad accentuare l’alienazione e lo sviluppo di falsi desideri essi avvertono il bisogno di fuga in modo tanto più impellente da portare all’abuso inveterato e alle soglie della morte. Alienazione, desideri generati per rispetto di uno status sociale ed economico che portano altri ad affidarsi a sostanze per accentuare le proprie prestazioni lavorative, portando a una produzione maggiore ma di qualità ed etica scadente, una dinamica di allontanamento dalla vita spirituale-morale e di adesione alle regole di produzione che è il motore invisibile della società del consumo. Così si opacizzano anche le opere di menti luminose, opere che sarebbero ancora più splendenti senza avvalersi di certi strumenti, e così «l’umanità del nostro tempo è come rimasta impigliata in qualcosa […], come se vi fosse una qualche causa esterna che le impedisce di riportarsi in quella posizione che le sarebbe propria in base alla sua consapevolezza […] quella condizione di intontimento in cui si mette, a forza di vino e tabacco, l’enorme maggioranza degli uomini del nostro mondo».

È utile fermarsi a questa frase perché da essa deriva il valore della critica che, per quanto profonda, è quello di poter prestare il fianco ad altre critiche, svelando la soggettività di una visione per produrne un’altra, anch’essa confutabile. In questo caso una nota di estraneità fa storcere il naso, il prefigurare lo sviluppo di una dinamica interna che cominci additando una causa esterna. L’appartenere a una classe sociale (Tolstoj era figlio di una principessa e un duca) e il voler piegare una materia al proprio credo può portare a generalizzazioni ed utopie – e la speranza conclusiva in una rinascita umana, una liberazione già in atto dal bisogno di alterazione portata dalle classi più alte, prova un grado di separazione incolmabile dal contesto che si va descrivendo – ma questo divario è utile nel portare ad altro.
Emerge come l’assuefazione sia ciò che vi è di più pericoloso, ma non tanto l’assuefazione a una sostanza, quanto piuttosto a un’abitudine, a un modo di pensare che precede il desiderio di assuefazione e che è un moto di alterazione e ottundimento interiore che si fa univoco, la propria pre-visione onnicomprensiva che porta ad assumere un atteggiamento senza fermarsi a capirlo, come quello che porta a cercarsi un nemico. È questa propria chiave di lettura che può congelarsi in un assuefazione e aprire la strada ad altre assuefazioni, un’alterazione della realtà, quello operato dalla propria convinzione, tanto difficile da riconoscere e sbrigliare.

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