Lettera a Beatrice Borromeo: quando il giornalismo diventa un’arma di distruzione

Gentile Beatrice Borromeo,

le scrivo in prima istanza come ragazza ed ex adolescente e in seconda come aspirante giornalista.

In questi ultimi cinque giorni mi sono ritrovata a leggerla due volte, in due momenti diversi, pervasa da un profondo senso di indignazione e di amarezza, tanto per il fuorviante contenuto degli articoli da lei redatti quanto per l’assoluta mancanza di deontologia professionale che ne traspariva.

In relazione al primo degli articoli suddetti, titolato: “Sesso a 14 anni, le adolescenti raccontano: “Se non ti fai sverginare sei una sfigata”” e sottotitolato: “Inchiesta ‘Sex and Teens’ (1- continua)”, mi sono chiesta – e dunque le chiedo, non avendo trovato risposta – dove sussista la pluralità di adolescenti che raccontano indicata dal titolo, se a fornire la testimonianza, come emerge dalla lettura del pezzo, è un’unica adolescente – Chiara – a farlo; come si possa pubblicare a puntate, quasi fosse un romanzo d’appendice, un’inchiesta, che come tale richiede un processo più o meno lungo di raccolta di testimonianze e documenti e di rielaborazione complessiva e quanto più obiettiva possibile di tutti i dati raccolti e analizzati, prima di essere pubblicata.

A me risulta lampante che pubblicare un’inchiesta work in progress significhi presentare una verità parziale di volta in volta col serio e grave rischio che il lettore che non ne legga tutte le parti si aggrappi a una di esse come fosse imparziale e l’unica possibile; significhi necessariamente generalizzare, fornendo di volta in volta un’unica voce come fosse quella di un’intera generazione piuttosto che del singolo a cui appartiene, col serio e grave rischio che erronei pregiudizi già ampiamente diffusi si fortifichino e diffondano ulteriormente; significhi impedire una visione d’insieme coerente e praticare un’alterazione sistematica e nociva di una complessa e delicata dinamica. Ma se è tanto lampante a me – che non faccio giornalismo e certamente ne so meno di lei – com’è possibile che a lei non sia balenato nemmeno uno di questi dubbi, che non abbia considerato nemmeno superficialmente uno di questi rischi e non abbia pensato alle dannose conseguenze, alle fatali ripercussioni che un progetto simile potrebbe avere sulla comunità?

Le regole sono semplici e, anche se non valgono per tutti, finisce che tutti le rispettano”, ha scritto a un certo punto dell’articolo, ma su quali basi statistiche poggia tale affermazione? I giornalisti – a quel che ne so, ma inizio a non esserne tanto certa – sono tenuti ad attestare le proprie dichiarazioni fornendo dati oggettivi e reali, sono tenuti a specificare le fonti delle loro asserzioni perché possano essere motivate e giustificate, ma lei non si è preoccupata di nessuno di questi aspetti su cui poggia l’etica della professione giornalistica e ha così fatto dell’opinione di una studentessa – opinabile per definizione – una regola rispettata da tutti, in un’operazione d’ indebita e scorretta generalizzazione che viene peraltro smentita proprio dalla stessa studentessa, la quale “parla di sesso […] pur non avendolo ancora mai provato”, ed è dunque miracolosamente, eccezionalmente vergine. Dato che non la lascia sorpresa, nonostante ritenga che tutte rientrino nella norma per cui a 14 anni si perde la verginità, né la induce – fosse anche solo per curiosità – ad approfondire le motivazioni della scelta in controtendenza di Chiara, che se esplicate avrebbero potuto offrire al lettore la percezione di una generazione ben più variegata di quanto non si lasci credere sia.

Ma forse l’aspetto più aberrante, inquietante e amaro e  dell’articolo, è il modus scribendi impiegato.  Si trattasse del diario di una quattordicenne pseudo-trasgressiva che rientri perfettamente nello stereotipo dell’adolescente tutta Spleen e Bukowski, capirei l’uso di espressioni gergali volutamente sconvolgenti, giustificherei il tono sensazionalistico e chiuderei un occhio sulle descrizioni iperboliche di certe dinamiche, ma lei, Borromeo, è una giornalista, e di più: una giornalista che gode del privilegio di pubblicare su una testata a tiratura nazionale, due fattori che le pretendono di effettuare una mediazione linguistica e di rivolgere un’attenzione e una cura spasmodiche alla forma dei suoi scritti, che vengono letti da un gran numero di persone. Se la sua “inchiesta” si fosse focalizzata sulle condizioni degli immigrati egiziani al momento del loro arrivo in Italia, non avrebbe certamente riportato le frasi così come da loro pronunciate, con tanto di comprensibili errori linguistici e sintattici, dunque perché in tal caso ha riportato ciecamente – ch’è ben diverso da fedelmente – le dichiarazioni della quattordicenne – quattordicenne che peraltro è dalla legge ritenuta, per la sua età, incapace di intendere e di volere?

E stiamo parlando di qualcosa che va ben oltre la professionalità: il buon senso, l’onestà intellettuale. Perché lei sa che utilizzare una retorica di questo tipo, fosse anche attribuendola a una minorenne, dà il via – sperato, atteso, desiderato – alla solita, vecchia, sanguinaria litania dell’”Ai miei tempi non era così…” e di conseguenza – per effetto domino – ai moralismi, al biasimo, al disgusto, al ribrezzo delle precedenti generazioni che si reputano caste, morigerate, pressoché perfette e di certo migliori di quella corrente per un ormai comprovato paradigma storico, ma l’ha fatto ugualmente. E per un gusto che oltre ad essere cattivo è perversamente morboso, ha persino posto ulteriormente in rilievo quella retorica evidenziando in grassetto termini ( per esempio “stappata”, “sturata”, “pompino” e “indemoniate”, ma l’elenco è ben più lungo) ed espressioni (una su tutte: “Scopare è come fumare”) che erano già abbondantemente efficaci e scabrosi per la logica comune di per sé.

Per non parlare del fatto che ad un certo punto, mi creda, davanti a espressioni quali “i maschi non sanno nemmeno da che parte cominciare”; “noi siamo cattive, se uno se la cava male poi rischia che lo roviniamo.”; “gli uomini non hanno bisogno di insistere, perché le ragazze sono indemoniate”(addirittura!); “Gliela dai senza fare troppe storie. Il ragazzo neanche se l’aspetta, così lo stupisci”; “i ragazzi sono troppo inesperti”, ho avuto l’impressione di trovarmi davanti a un’apologia del maschio inetto; a un “j’accuse” contro la maliziosa e connaturata malvagità femminile; a una fantasmagorica e inverosimile descrizione della realtà che nulla ha a che vedere con la realtà.

Mi è già difficile e fastidioso sopportare che la sessualità femminile costituisca ancora, alle soglie del 2014, argomento di un accanito interesse e dibattito pubblico come se non inerisse una scelta personale, insindacabile e privata, e mi è altrettanto difficile e fastidioso constatare come la verginità femminile continui a rappresentare un tabù o una virtù, in contrasto a quella maschile di cui nessuno si è mai interessato, partendo dal presupposto fortemente discriminatorio che per i ragazzi non abbia alcuna importanza, a loro tutto sia lecito e nonsia discutibile il loro accesso alla sessualità qualunque ne sia l’età.

Ma ciò che mi è più che fastidioso e difficile, che mi è insopportabile e mi fa arrossire d’indignazione e rabbia, è che i dati reali sulle molestie subite dalle ragazzine nei contesti scolastici, molestie che non raramente sono sfociate in stupri di gruppo, siano stati delittuosamente, illecitamente e arbitrariamente ribaltati in una dinamica falsa che vedrebbe le quattordicenni ninfomani, cattive, perfide e manipolatrici, e i ragazzi ingenui e inconsapevoli, candide e innocenti vittime di un’aggressività tutta al femminile.

E con questo arriviamo al suo secondo articolo, assimilabile al primo per difetto nel metodo, nell’impostazione ideologica volutamente alterata, nella conturbante retorica, nel tono sensazionalistico. Stavolta a parlare è Mattia, un quindicenne che subirebbe “lo spaesamento provocato dall’intraprendenza, talvolta aggressiva, delle ragazze”, che “non è il tipico liceale: beve poco, non fuma, è ancora vergine” e che addirittura – ha molto tenuto a sottolinearlo – non beve caffè ma succo di pera, in opposizione agli shot rum e pera consumati dalle sue immorali coetanee femmine. Mattia è lo stereotipo del bravo ragazzo – qui sì che viene chiarito che non è l’unico – in una Sodoma di perdizione emblematicamente rappresentata dalle ragazze che “passano la giornata a parlare di sesso” (i sentimentali ed eclettici maschietti discutono di musica o videogame, chiaramente), dalla sua ex quattordicenne che finisce a fare un’orgia a capodanno con ragazzi più grandi, dalle coetanee aggressive che imbarazzano e creano ansia in quelli come lui, che li giudicano e mettono alla gogna, che li fanno vivere nel terrore di divenire socialmente ritenuti “sfigati, “imbranati”, “effeminati, poco dotati o sessualmente incapaci. Ovviamente mentre per le ragazze “scopare è come fumare una sigaretta”, Mattia la differenza tra scopare e fare l’amore la sa bene, ci tiene a dirlo e lei tiene ancor di più a trascriverlo. E sempre ovviamente, la responsabilità dell’imparità del piacere sessuale, a quasi sola prerogativa maschile, è attribuita alle ragazzine, che inibiscono i ragazzi osservandone e criticandone qualunque movimento verso loro. L’articolo si chiude con una frase di Mattia che è davvero patetica, ridicola e vergognosamente retorica: ““Non avrebbe senso regalare le mimose alle sue amiche: “I fiori non li vogliono. Le uniche ad apprezzarli sono le prof.”” (con le quali torniamo all’esaltazione dell’equilibrata, seria, sobria, decorosa e costumata vecchia generazione di donne).

In conclusione della lettura,mi chiedo sinceramente basita se questo sia giornalismo, dove risieda l’etica dell’obiettività e dell’onestà intellettuale, come si possa fornire una visione tanto deviante, discriminante e ingiusta di una questione tanto complessa e ridurla ai minimi termini, dividendo nettamente e iniquamente un’intera fascia generazionale in una parte peccaminosa e prepotente – quella femminile – e in  una innocente e fragile – quella maschile.

E mi chiedo anche, arrabbiata e ferita, che fine abbiano fatto le statistiche che denunciano la violenza e gli atti di bullismo sulle minorenni da parte dei coetanei maschi; dove sia finita l’adolescenza che ho vissuto e con me hanno condiviso molte altre, quell’adolescenza che nella sua presunta inchiesta (che tale non è per le ragioni suddette) non trova spazio né voce e che è ben più faticosa, sfumata, confusa, scomoda, impervia e variegata di quanto non abbia lasciato intendere.

Lei ha il dovere morale di usare bene le parole da cui dipende l’uso buono delle idee. Lei non può permettersi di postare su un quotidiano nazionale la singola testimonianza di un ragazzino come fosse dogmatica per il principio dell’”ipse dixit”, ignorando l’influenza che potrebbe esercitare su chi la legge e il potere che la sua posizione le concede. Non può permettersi di pubblicare un articolo riportando le medesime espressioni che sento usare ai ragazzotti di borgata che vorrebbero darsi un tono o a certi tassisti che hanno l’arroganza di credere di conoscere il mondo. Non può permettersi di rinunciare alla verità e alla veridicità di ciò che scrive come fosse una letterata. Non può permettersi di fornire e diffondere una visione tanto inverosimile, inattendibile, assurda e illogica di una dinamica, penalizzando arbitrariamente e per motivi inconsistenti e inesistenti il sesso femminile.

E potrei raccontarle la mia adolescenza e quelle delle mie compagne, per dimostrarle quanto allucinata sia la sua versione sul rapporto tra le adolescenti e il sesso, ma non intendo farlo perché non ritengo lecito, giusto e produttivo inquisire un percorso – quello sessuale – che è assolutamente e squisitamente personale. La scoperta del sesso e l’attività sessuale riguardano solo chi le compie sulla e con la propria pelle, ed è un diritto inalienabile della persona poter disporre liberamente del proprio corpo e della propria volontà senza che nessuno si arroghi di penetrare quella pelle e stabilire cosa debba esserci sotto perché sia legittimata ad accedere al sesso, quale sia l’atteggiamento giusto e quale quello sbagliato da tenere. Il sesso è una questione privata e tale deve rimanere. Così come privata è la scelta del momento in cui perdere la verginità, privata è la scelta di selezionare più o meno accuratamente il partner sessuale, privata è la scelta di avere rapporti promiscui o meno. Privata, e dunque non sottoponibile a giudizio esterno.

Si possono e si devono dare agli adolescenti gli strumenti necessari per acquisire coscienza del proprio corpo e senso critico sulla sua condivisione con terzi, in modo che il sesso sia responsabile, protetto e mai pericoloso, ma non rientra nel diritto di nessuno decidere per qualcuno diverso da sé quando, come, perché, quanto, cosa e con chi debba fare in un letto ch’è il suo solo, con un corpo ch’è il suo solo e con una volontà ch’è sua sola.

Si faccia un’inchiesta sul tasso di educazione sessuale in Italia, sull’inibizione sociale rispetto al sesso giovanile, sul disinteresse statale alla sensibilizzazione sessuale, sull’obiezione di coscienza che impedisce il diritto all’aborto, sull’accesso ai metodi contraccettivi da parte dei minorenni, sull’assistenza ad essi, piuttosto, ché questi sarebbero argomenti di interesse pubblico.

E si smetta, una volta per tutte, di redigere “inchieste” faziose e maschiliste, menzognere e incoerenti, irragionevoli e inattendibili, per proseguire un dibattito collettivo sul corpo femminile e sul suo uso che non ha motivo di esistere e che è alla base di troppi atteggiamenti discriminatori, troppe forme di violenza, troppi offensivi giudizi.

Renda merito e onore alla sua professione e alla sua visibilità, poiché lei che può deve, e lasci perdere il voyeurismo di stampo – di stampa – vittoriano che fomenta l’odio e il pregiudizio più beceri e urta la sensibilità delle adolescenti e di coloro che lo sono state, me compresa.

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