Una discussione sul cinema: Malick e Sorrentino – Rispecchiamenti e Distorsioni

Una recente condivergenza sul film Knight of Cups di Terrence Malick ha originato l’occasione di un confronto tra due autori della Redazione di Tropismi: rispettivamente Marco Gadaleta che per primo ha recensito positivamente la pellicola (Due parole su sogno, memoria e realtà) e  Massimo Mordini che ha mosso alcune critiche all’opera del cineasta statunitense (Note su un poema didascalico). Questa discussione che parte dalle posizioni opposte di due spettatori critici trova punti di incontro e soprattutto aperture nello scambio di vedute e di interpretazioni. Vi proponiamo questo dialogo amicale che investe rispecchiamenti, distorsioni e anamorfosi nell’accostare il lavoro di Malick a quello di Sorrentino.

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Massimo Mordini: Ciao Marco! Non so se Laura ti ha già accennato alla cosa ma, da guerrafondaia quale è, mi ha proposto di parlare di Knight of Cups, sapendo che a te è piaciuto e a me, invece, non ha del tutto convinto. Ho letto infatti il tuo articolo [si riferisce a Knight of Cups e due parole su memoria, sogno e realtà] e, sebbene non condivida il tuo entusiasmo per il film, trovo che la tua sia un’analisi originale. Ti passo anche quello che ho scribacchiato io, se ti va di darci un’occhiata; so già che troveremo da discutere. L’articolo si chiama Knight of Cups. Note su un poema didascalico.

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Marco Gadaleta: La mia risposta in un certo senso già la sai: Malick non vuole descrivere il mondo come è, ma tenta di rappresentare la distorsione della realtà, passata attraverso il filtro dell’individuo. Ti dirò, il mio giudizio sul film è positivo ma lungi da me l’averlo guardato con trasporto e entusiasmo per due ore. In un certo senso è impossibile da vedere in questo modo. Effettivamente è un ammasso di elementi non conciliati ma la sua forza è questa, quella della gratuità. Non bisogna interpretarlo con i metodi classici del cinema realista: la scena dei cani e le palline che citi non ha nessun significato simbolico o metaforico, da legare alle scene precedenti, è semplicemente una bella scena su cui non bisogna fare l’errore di credere che sia inseribile in un ordine di senso necessario col resto del film. È un film fatto a frammenti e che a pezzi andrebbe visto secondo me. Dunque il suo limite forse sta in questo, è difficile mantenere un’attenzione di tipo puramente estetico per due ore. Ci si deconcentra e ci si stanca ma resta un bel film.

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M.M.: In effetti è un film filtrato dal punto di vista di un individuo, che però, come hai notato anche tu, è in realtà del tutto assente. Se ci fosse limitati a quello, alla singolarità di una distorsione, avrei anche potuto apprezzare; il problema è che si è voluta dare un’impronta spirituale a un personaggio che, a dire il vero, di spirituale ha ben poco. L’ho trovato forzato, insomma. Del resto è lo stesso motivo per cui de La Grande Bellezza ho adorato i festini cafoni e detestato i fenicotteri e le suore. Idem con Youth, dove ricordo solo una tipa che si mangia il pollo coi guanti… Forse sarò io un po’ accademico, ma ho bisogno di trovare un senso, o quantomeno una tensione drammatica, in ciò che viene rappresentato. Altrimenti si rischia di ridurre tutto a pura esibizione, a catalogo appunto. Tra l’altro, almeno questa volta, le riprese erano anche piuttosto spente (senza  contare che i bagliori mondani finiscono, come spesso accade, per oscurare le tante scene misticheggianti, le quali invece dovrebbero, se non altro nell’intenzione del regista, rimediare a quel vuoto scintillante). Ma magari, come dici giustamente tu, Malick non voleva criticare alcunché, solo restituire la sua personale visione di un’esistenza e non, come è sembrato a me, criticarne la superficialità. In questo caso, però, la gratuità dell’operazione sarebbe forse ancor più irritante, rischiando infatti così, come accade a Sorrentino, di compiacersi dei suoi virtuosismi e di lasciarci, proprio per questo, tutti quanti perplessi.

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M.G.: Secondo me hai toccato un punto centrale accostando Sorrentino e Malick e mi trovi d’accordo! Entrambi costruiscono i loro film per frammenti (cataloghi come dici) e sono dei grandi cineasti, nel senso che padroneggiano una tecnica. Ma se in Sorrentino la tecnica mi pare semplicemente un virtuosismo e non corrispondere a una necessità di senso, in Malick la tecnica è asservita a una necessità realistica, per così dire: il tentativo di mettere in scena ciò che avviene nei sogni e nei ricordi. Io ho voluto concentrarmi su questo ma devo darti atto che il film di Malick è molte altre cose e in effetti davvero troppe. A questo punto – se davvero non ha voluto rinunciare a niente per costruire il suo film, pur rischiando la confusione – è il metodo di fruizione che è sbagliato per film di questo tipo: andrebbero visti prima a pezzetti e poi, solo alla fine, per intero (come io avevo visto su Sky The Tree of Life). Il metodo di fruizione classico comporta una centralità di senso e uno svolgimento legato necessariamente a quel senso, di modo che lo spettatore non si perda. Altrimenti di questo passo finiremo per vedere i film come gli americani assistono a una partita di baseball, quindi tra una birra e un’altra e tra un hot-dog e un altro – c’è da dire però che i popcorn già li abbiamo. In sostanza dunque né Malick né Sorrentino riescono a darci dei racconti, a consegnarci una realtà di senso su cui modellare i nostri ragionamenti e le nostre vite. Riescono soltanto semmai – questo solo Malick a mio avviso – a rappresentare tecnicamente e con un mezzo nato per essere realistico alcune realtà deformi o che fanno parte dell’immaginazione, come il sogno e la memoria. E per quanto riguarda i contenuti ci consegnano solamente le loro intimistiche riflessioni da diario adolescenziale. La troppa specializzazione porta a questo, e dunque una maggiore collaborazione tra scrittori e cineasti sarebbe auspicabile.

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M.M.: Più parliamo e più mi trovi d’accordo. Premetto che non sono assolutamente contrario a una narrazione frammentata o onirica, il mio film preferito è 8 e mezzo, e per quel che mi riguarda si può anche fare un film senza aver niente da dire. Detto questo, si deve essere onesti. Su Sorrentino penso non ci siano dubbi: il dramma e l’umanità non lo riguardano se non indirettamente, ovvero nelle scene in cui li mutua da Fellini. Tuttavia, e qui forse sarai in disaccordo con me, trovo che Sorrentino abbia un talento comico e che questo potrebbe in un certo senso salvarlo. Fossi in lui punterei sul grottesco e il caricaturale. Malick invece lo trovo pretenzioso e basta. Non dico che non sia un bravo regista, anch’io devo essere onesto. Solo ho l’impressione che non gli importi di quello che riprende, che sia solo interessato alla resa fotografica. Potrebbe filmare una scatoletta di tonno e l’effetto sarebbe lo stesso. Magari sto esagerando ma penso che talenti del genere siano più adatti alla pubblicità che al cinema. O almeno per ciò che intendo io per cinema. Quello che dici tu è giusto: Malick non sa rinunciare a niente e tutta la pellicola richiede una costante attenzione, se non altro dal punto della fruizione estetica. Però non è così che si fa un’opera d’arte, ci vogliono pause, accelerazioni, climax… La sua è una sinfonia che ripete la stessa nota, e nemmeno troppo intensa. Diciamo che il problema non sta tanto nel proporre qualcosa di onirico o suggestivo – basti pensare a Bergman, Bunuel o Lynch – ma nel trasmettere quel senso di angoscia o mistero. Trovo che Malick non arrivi a quel livello, che si fermi alla superficie di quello che riprende. In ogni caso condivido quando dici che il cinema necessita di scrittori, basta confrontare le sceneggiature di Tonino Guerra o Tennesse Williams per capire l’abisso che separa il cinema di oggi da quello che l’ha preceduto. Lungi da me piangere i tempi passati, ma quando si punta tutto sulla fotografia e il montaggio il risultato non è un film, o se non altro è un film a metà.

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M.G.: Diciamo che per trovare il metodo tecnico di rappresentare il sogno o il ricordo (tu dici onirico-suggestivo), bisogna un po’ aver ragionato su sogno e ricordo e averli almeno un po’ capiti. Quindi c’è uno sporcarsi le mani con la materia complessa del senso e della realtà, almeno da parte di Malick a mio avviso. In Sorrentino il livello che tu chiami giustamente di mistero-angoscia non è per niente interiorizzato e viene comunicato in maniera puramente esteriore e superficiale. Ma non poi molto traspare di migliore in Malick ad essere sinceri. Per riassumere, quando Malick metterà da parte le sue pretese filosofiche sul chi siamo-da dove veniamo-dove andiamo (domande di grande serietà, che non si possono scimmiottare) e quando Sorrentino rinuncerà alle sue velleità autoriali, da regista tuttofare e comincerà a collaborare con chi ha più familiarità con le questioni che riguardano l’uomo e la storia, avremo finalmente dei veri e propri capolavori.

Massimo Mordini e Marco Gadaleta


Immagine di copertina: Terrence Malick, Knight of Cups (2015) vs Paolo Sorrentino, La grande bellezza (2013) |I personaggi di Malick e Sorrentino e le loro parti da uomini di mondo che si incastrano.

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