Melanzane del mio cuore

Chiediamoci perché abbiamo nostalgia di casa, siamo emozionati dal viaggio, che sia una partenza o un ritorno, siamo angosciati quando arriviamo in una terra diversa, ma lo stesso sentimento ci attanaglia quando torniamo a casa. L’insofferenza e la nostalgia, il rifiuto delle nostre origini e l’improvvisa realizzazione di quanto siano belli i nostri luoghi natii, anche se gli altri non riescono a coglierlo.

Ci chiediamo allora se siamo noi stessi la causa di questi dubbi altalenanti che albergano nell’animo, dell’odio-amore che oscillano perpetuamente tra il pensiero di un paese sperduto nell’entroterra italiano in cui i nostri genitori hanno deciso di vivere finché noi e le nostre ambizioni non ci hanno spinto altrove, lontano. O forse, al contrario, dobbiamo proprio a queste nostre origini l’eventuale situazione felice in cui viviamo: sarei mai arrivato nella vita dove sono adesso se non fossi nato in un paese di ventimila abitanti in mezzo alle colline e avessi poi deciso di trasferirmi per studiare in una grande città? Ma se anche fossi rimasto dov’ero prima e avessi fatto altro nella vita, potrei definirmi una persona con minor propensione a dubbi vessanti come questi, che ritornano ogni qualvolta devo tornare a casa o lasciarla di nuovo?
Il problema che si ha quasi sempre nell’analizzare opere come quelle del titolo, è il costante legame emotivo che quest’ultime riescono a gettare su di noi, e una pertanto inevitabile scrittura catartica che ne scaturisce (per la quale chiedo scusa ai lettori più distaccati). Quando ci si trova di fronte ad opere d’animazione giapponese appartenenti (come nel caso de I sospiri del mio cuore) o anche solo artisticamente imparentate (è il caso di Melanzane – Estate Andalusa) con lo Studio Ghibli, accade che, per la magia della pura arte cinematografica, le storie dei loro personaggi ci penetrano, permeano tutti i nostri sensi e (se si è abbastanza fortunati) non ci lasciano più andare.

Grazie alla forza di trame che il più delle volte affondano nell’ambito fantasy (o fantasioso in generale) e del risonante nome di Hayao Miyazaki, saranno in molti ormai, da cinque-sei anni a questa parte, a ricondurre immagini di film di questo studio a ricordi bellissimi e, soprattutto, sentimenti e pensieri che da essi sono scaturiti. Quando perciò si riesce a fare lo stesso, o anche di più, con trame che non nuotano nell’immenso mare dell’estro immaginativo di autori e disegnatori alle prese con mostri, magie e battaglie contro “cattivi” dallo spiazzante animo umano, ma piuttosto muovono i loro fili in quella vita “vera”, o sarebbe meglio definirla veritiera, fatta di momenti vissuti quotidianamente, spaziando dalla tenera età fino alla vecchiaia, non dovrebbero esserci più indugi nel rispetto e passione che questi pazzi e sognanti autori suscitano in noi. Anche in opere come Il mio vicino Totoro, che tratta il delicato passaggio da un’infanzia felice ad un’adolescenza più consapevole e dolorosa del mondo che ci circonda, o passando oltre oceano come nel caso di Up, che ci parla di vecchiaia e morte, si osserva la stupenda voglia di trattare temi così importanti come colonna portante del film, ma la altresì cautela dei produttori ed autori nel miscelare il tutto ai sopracitati infarcimenti di magia, folklore, assurde avventure e tecnologie fantasiose.
Ma se spogliamo anche di questi gustosissimi dettagli delle opere così ambiziose, otteniamo film come questi, in cui i mostri della storia sono quelli che possiamo incontrare a scuola o ci danno ordini al lavoro, le battaglie sono contro i pregiudizi degli altri o le paure di un futuro incerto, e le magie scaturiscono dal suono di una musica e del suo strumento capace di smuovere l’anima, dall’amicizia che a volte si confonde con l’amore, a volte torna indietro e si trasforma in un dinamico miscuglio che non è mai melenso ed esplicito, ma il più delle volte intuibile dai dettagli, dai silenzi e le insicurezze non solo adolescenziali, ma anche adulte (anche se quest’ultimi sono più restii ad ammetterlo ed accettarlo), il tutto ben lontano dagli epici avvenimenti o infarcimenti che troviamo in quei blockbuster che piacciono tanto ai nerd quanto ai pomposi superficiali.

Melanzane – Estate Andalusa, diretto da Kitaro Kosaka (uno dei principali animatori dello Studio Ghibli, sin dai tempi di Nausicaa della valle del vento, datato 1984) come intuibile dal titolo, narra le vicende, ambientate nel sud della Spagna, del ciclista Pepe, nato e cresciuto proprio in un piccolo paesino sperduto in quelle desertiche distese andaluse, ed in cui la tappa ciclistica che sta per concludere si dirigerà infine quel giorno. Pepe è un fuggitivo, ha lasciato quel suo paese che l’ha deluso, sotto molti punti di vista, con tutti i suoi abitanti: amici, conoscenti, parenti e vecchi amori. L’orgoglio e la voglia di dimostrare a tutti loro di essere riuscito in qualcosa nella vita, unita alla paura di fallire e dover tornare ad essere uno dei tanti dispersi ed ignoti abitanti di quel torrido paese, sono il carburante che lo spinge a continuare a pedalare sotto quel caldo sole spagnolo.

“-E sarà lontano da qui che vincerò, chiaro? Lontano da qui, io vincerò cento, anzi, duecento corse!
-Allora poi verremo a trovarti! Ma sbrigati, fintanto che sono in vita…
-NON VENITE!!!”

Suo fratello e altre vecchie amicizie lo seguono, lo supportano in questa sua faticosa pedalata, anche quando lui decide di voltar loro le spalle e continuare fingendo di non sentirli, loro sono sempre dietro di lui; il suo passato e, forse, la parte più profonda della sua personalità, è nascosta in quella terra e in quelle persone da lui stesso abbandonate, seppur per una ragione.

In una delle scene più significative e metaforiche di tutto il film, Pepe arranca lungo la sua tappa, costituita quasi esclusivamente da pianure rettilinee bruciate dal sole: l’acqua è quasi finita, la sua frequenza cardiaca è sopra la media consigliata e molti chilometri lo separano dal traguardo della vittoria; d’un tratto, un’insperata ed improvvisa ombra si staglia dal cielo, dando al protagonista un fugace ma profondo attimo di sollievo dal caldo: è un cartello gigante delle fattezze di un toro, è il simbolo della sua patria natìa che da lassù lo sta supportando, motivando un figlio, nonostante quest’ultimo lo abbia ripudiato. “Sei tu…” dice una voce indistinta.

La gara si concluderà (non vi dirò ovviamente come), e Pepe andrà via di nuovo, sempre pieno d’orgoglio ed astio nei confronti della sua terra ed i suoi abitanti. Ma ce ne sarà uno tra questi con cui non potrà fare a meno di fare i conti, cedendo infine all’assaggio orgoglioso e felice di un piatto tipico del suo paese, ovvero delle piccole melanzane sottolio, una persona da cui nessuno di noi potrà mai fuggire: lui stesso.

Possiamo allontanarci e scappare dai dolori e i ricordi del passato legati ad una terra che non vogliamo più vedere e vivere, ma non potremo mai ripudiare noi stessi; tristi o felici che siano, i nostri ricordi e le esperienze ad essa legata ci hanno reso quel che siamo. E di questo bisogna prenderne atto, nel bene o nel male che ora ci circonda in questa nuova vita lontana da casa.

Ed è proprio la presa di coscienza uno dei temi principali dell’altra opera, sviluppata stavolta sotto le cure dall’intero team dello Studio Ghibli: ne I sospiri del mio cuore seguiamo le vicende di Shizuku, giovane e brillante studentessa delle medie affamata di letteratura, che passa le giornate a leggere il maggior numero di libri che le capiti sotto mano, mentre nel tempo libero, tra una disavventura adolescenziale e l’altra, si occupa di tradurre una canzone americana, Country Road di John Denver, cercando di mantenere inalterato il messaggio di fondo, ovvero la nostalgia di casa e la voglia di tornare a vedere quei paesaggi ben noti al cantante (“Country Road, take me home, to the place I belong” cantava l’autore alla sua casa in Virginia). La sua routine cambia quando nota un dettaglio apparentemente insignificante: sul cartellino con scritti i nomi dei precedenti affittuari dei libri della biblioteca, spunta sovente quello di Seiji, un ragazzo che pare abbia preso in prestito prima di Shizuku tutti quei numerosi libri che lei si diletta a leggere. Cominciando a fantasticare su quest’ultimo, finirà per indagare sulla sua identità, e nonostante i piccoli asti che caratterizzeranno i loro primissimi incontri, scoprirà che Seiji, suo coetaneo e studente della stessa scuola, si diletta nella delicata arte di costruire violini, mansione di cui la sua famiglia musicista si occupa da generazioni. Quando lui decide di lasciare gli studi per volare in Italia, a Cremona, per mettere alla prova le sue capacità artigianali e capire se sia il caso di lasciare gli studi per dedicare a questa passione la sua intera vita, Shizuku che con lui ha ormai stretto un rapporto molto intimo, intellettualmente ed emotivamente, viene totalmente spiazzata e la sua vita sconvolta nel vedere in un suo coetaneo questa enorme forza di volontà; deciderà così di emularlo facendo una scelta altrettanto drastica, che metterà a repentaglio la sua carriera scolastica proprio alla vigilia dell’esame di fine anno, per riuscire a capire se la letteratura potrà mai essere il suo futuro: deciderà così di scrivere un romanzo entro al fine del mese.

“Così tu, signorina Shizuku, e così Seiji siete una pietra non raffinata, ancora al naturale.
A me piace moltissimo anche così com’è, tuttavia per il costruire violini oppure per lo scrivere romanzi è differente:
si tratta di trovare le gemme grezze dentro a se stessi ed impiegare tempo nel raffinarle:
un lavoro oneroso!”

Ma la vita non è un film, e questo film, come dicevo prima, è più veritiero che mai, non fatevi ingannare dai disegni suggestivi e colorati. Crescere vuol dire saper prendere decisioni che fanno paura e ci allontanano, apparentemente, da quello che agli altri sembra giusto fare: anche semplicemente mantenendo la nostra routine ci sentiamo al sicuro. Ma se mettiamo alla prova noi stessi per capire di cosa siamo veramente capaci, per capire chi siamo veramente, consapevoli di un’eventuale sconfitta, capaci comunque di riuscire a ridimensionare le aspettative nel caso di una delusione, o saper aspettare il momento opportuno per prenderci delle responsabilità che le nostre spalle non ancora del tutto sviluppate faranno fatica a trascinare, solo allora saremo veramente cresciuti.

Shizuku non è solo una mera sognatrice, ma è anche una persona dotata di perspicacia, e perciò ha paura; è una persona piena di prospettive nella sua vita, e per questo ci prova.
Arrivata a metà del suo percorso di formazione, riuscirà a trovare le parole più appropriate per la canzone che voleva tradurre, la SUA Country Road, che canterà così:

Molti, moltissimi altri dettagli, personaggi non citati e sotto-trame arricchiscono questi due meravigliosi film, ma credo sia opportuno lasciare a voi la loro scoperta, così come la visione dell’intero film, a cui non credo poter sostituire un articolo scritto.
Buona visione!

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