Morimondo: un viaggio lungo il Po

Viaggiare è una scuola di umiltà, fa toccare con mano i limiti della propria comprensione, la precarietà degli schemi e degli strumenti con cui una persona o una cultura presumono di capire o giudicano un’altra. (Magris, L’Infinito viaggiare)

Questa citazione riassume perfettamente il libro che voglio presentarvi oggi: Morimondo. Perché se agosto sta per finire e la parola vacanze sembra già troppo lontana, non c’è migliore soluzione che continuare a viaggiare attraverso le pagine di un libro, ancora meglio se si tratta di un viaggio nel nostro Paese, seguendo il corso di un fiume, il Po, carico di Storia e di storie da narrare.

Per chi non lo conosce già, Paolo Rumiz è un giornalista e scrittore italiano, inviato speciale de “Il Piccolo Trieste” e editorialista di “La Repubblica”. Grande appassionato di viaggi, fa di questi il nucleo centrale delle proprie pubblicazioni e “Morimondo” ne è  l’esempio perfetto.

Personaggio principale del libro è il Po, “anzi Po senza articolo”, un fiume che tutti conosciamo, ma di cui in realtà sappiamo poco o quasi nulla. Lo abbiamo studiato in geografia per anni, ne sentiamo parlare e ne morimondoabbiamo parlato chissà quante volte, ma non è abbastanza. “Conoscerlo”, scrive Rumiz, “significa lasciarlo apparire là dove muore un mondo perché un altro nasca.” Ecco allora l’intento dell’autore:  condurre il lettore in un viaggio dentro, attraverso e con il Po. Fin dalle prime righe quello che colpisce è il carattere introspettivo del testo. Tutto viene narrato attraverso il filtro delle sensazioni e delle emozioni non solo dei viaggiatori, ma anche e soprattutto della natura. Po è un essere dalle mille forme ed espressioni, quasi una sorta di divinità che può essere ovunque e chiunque. È questo accento posto sull’universo delle sensazioni, assieme ad un’evocazione quasi metafisica di luoghi e paesaggi, ciò che conferisce al viaggio di Rumiz la connotazione di viaggio interiore. Conoscere Po è, prima e più di tutto , un modo per conoscere se stessi.

Come accade per ogni avventura che si rispetti, l’autore si circonda di ottimi compagni di esplorazione. C’è Valentina “creatrice di montagne, di fiumi e di guai”, Alex, Pierluigi il ” divoratore di strade”, Flavio e Angelo Bosio. A loro si aggiungeranno pian piano nuove reclute tra cui lo scrittore Valerio Varesi e l’amico Francesco Guccini, senza contare tutte le persone incontrate lungo il tragitto, abitanti dei paesini sulle rive del Po o semplici informatori. Tutti, in un modo o nell’altro, saranno complici nella costruzione di un’identità, quella del fiume, e al tempo stesso quasi travolti dal suo corso. In un’atmosfera di magia uomo e natura si fondono insieme: “non eravamo noi che entravamo in acqua, era l’acqua che entrava in noi e ci prendeva”, perché è così che accade ciò che c’è di più bello: “essere trasportati, ascoltare e guardare senza fare nulla. Diventare fiume.”

Un discorso a sé merita la questione del titolo: “Morimondo”. Nome di un comune italiano in provincia di Milano, questo vocabolo racchiude la storia di un amore, quello per una donna, apparizione costante nei apparizionetanti viaggi compiuti dall’autore e che forse, a pensarci bene, altro non è che Po stesso. “C”era una volta tra le risaie sulla riva sinistra del Ticino, una locanda con un fuoco acceso e una donna in nero che mi guardava con occhi abissali. Aveva il profilo caucasico e mi era già apparsa in tanti viaggi.” E proprio ad una di queste apparizioni si lega il titolo: “L’avevo incontrata anche lì, in quel paesino lombardo che aveva il nome dello sperdimento, e avevo sentito nel diaframma una deflagrazione simile a un’aurora boreale. Mi aveva aspettato, ne ero certo, e mi aspettava ancora.” Morimondo, quindi, come nome geografico, ma allo stesso tempo come il locus per eccellenza per un incontro con l’amata e con se stessi. Viene quasi da chiedersi se sia poi un caso che scomponendo questa parola ( Mori-Mondo) venga fuori un gioco dai rimandi quasi trascendentali. Forse che, a conclusione del suo percorso, Po si getti in una foce che é la fine di un mondo e l’inizio di un altro, di una realtà tutta interiore?

Importante anche la struttura del libro, la quale fornisce le basi per la difficile definizione del genere del testo. Ad una prima occhiata ci sembra di avere tra le mani un reportage, descrizione dettagliata, anche geograficamente, di un viaggio alla scoperta del fiume. È sufficiente leggere poche righe, però, per comprendere che questo testo è in verità molto altro. La presenza di cartine, disegni di imbarcazioni e l’impostazione stessa dei capitoli, lo fanno somigliare ad un diario di bordo, ricco di pensieri e sensazioni dell’autore. Tuttavia, proprio questa dimensione introspettiva, che interessa non solo il protagonista “umano” della storia, ma anche e soprattutto quello personificato del fiume, è ciò che permette di definire il testo come un vero e proprio romanzo.

Un romanzo, allora, che narra le vicende di un gruppo di viaggiatori e che permette di esplorare i bellissimi paesaggi del nostro Paese,  ma soprattutto di riscoprire, attraverso questi,  noi stessi. Per chi è appena tornato e vorrebbe già ripartire, per chi non si è mai spostato, ma avrebbe tanta voglia di andare via, un libro per esplorare da dentro l’Italia e dal di fuori se stessi rimanendo, però, comodamente seduti in poltrona.

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