Movimento pendolare fra legislazione e giurisdizione civile internazionale

Altro piccolo percorso giuridico da intreprendere insieme: esplorare l’universo della controversia civile internazionale e transnazionale.

Giuridicamente, il termine giurisdizione ha un duplice significato. In senso oggettivo, essa rappresenta una funzione pubblica (funzione giurisdizionale) consistente nell’applicazione del diritto oggettivo, interpretandone le norme e rendendole operanti nel caso concreto per risolvere le controversie in posizione di terzietà, ossia di indipendenza rispetto alle parti e indifferenza riguardo all’esito della controversia. Sinonimo efficace è, sicuramente: “amministrazione della giustizia”. In questo sistema si ascrive l’accezione giurisdizionale in senso soggettivo che, invece, serve a designare l’insieme degli organi che esercitano tale funzione, ovvero i giudici (funzione istituzionale). A livello internazionale, la prima prospettiva si riflette nella “coesistenza, nel mondo, di una pluralità di centri sovrani e indipendenti di potere politico”[i] e la seconda si traduce nel fenomeno di “positive Kompetenzkonflikte im internationalen Zivilprozessrecht”[ii].

Mi è accaduto, talvolta, di paragonare il diritto comunitario a una sorta di SPECCHIO DI ALICE. Al di qua dello specchio, gli istituti di una tradizione secolare e millenaria, così come si sono forgiati attraverso una lunga  elaborazione storica. Al di là dello specchio, un  mondo magico (…). Dopo il big bang  comunitario, (…) mi sono dovuto domandare, preliminarmente, se le categorie comuni del processo potessero essere ancora applicate a un sistema  che possiede concettualizzazioni proprie di tutte le nozioni.

PAOLO BIAVATI

È innanzitutto da precisare che conflitti di leggi e di giurisdizioni non equivalgono a conflitti tra Stati: un contributo orientativo è stato pronunciato, anche, dalla Corte di Cassazione che, nella sentenza sez. un. 47/2001, ha parlato di “conflitto virtuale tra norme di Stati diversi”. Nel diritto processuale civile internazionale si parla di “conflitti positivi di competenze” per designare la situazione che si verifica allorché due o più giudici, appartenenti a Stati diversi, risultino corcorrentemente abilitati a prendere cognizione del medesimo rapporto sostanziale, di una o più questioni a esso relative. La premessa logica, anzi, eziologica, di un conflitto di competenza è l’aprioristica composizione di una controversia civile. Prescindendo, almeno in un primo momento, dal contenuto giuridico oggetto della controversia, si può immaginare la controversia come un rapporto conflittuale giuridicamente qualificato (sotto il profilo sostanziale e processuale), di qualunque natura, tra (due o più) parti. Qualora le controparti siano collocate in luoghi diversi, la controversia sarà di carattere internazionale e, dunque, assoggettata a una distribuzione spaziale[iii] definita in funzione a vari criteri e fattori dettati dalle regole (legali o pattizie) di giurisdizione e competenza che risultano applicabili nel singolo caso. Sorge, essenzialmente, il problema dell’individuazione del giudice nazionale che avrà iurisdictio sulla controversia, malgrado essa sorga tra soggetti di diversa appartenenza nazionale. La combinazione di tutti questi rilievi processuali conduce all’applicazione finale del tradizionale principio della lex fori processuale, in funzione del quale ogni giudice applica il “proprio” diritto processuale nazionale, indipendentemente dal fatto che la controversia sia infra-nazionale o inter-nazionale. Ecco dunque riemergere l’archetipo dello Stato-nazione sotto il profilo della determinazione del diritto processuale applicabile: malgrado la natura non nazionale della controversia, è pur sempre un diritto processuale nazionale che trova applicazione da parte del giudice al quale viene attribuita la giurisdizione su di essa. Si avrà quindi una controversia che è soggettivamente internazionale, ma che recupera tuttavia paradigmi nazionali per quanto riguarda la disciplina processualistica. Anzi, la controversia internazionale viene trattata esattamente come fosse nazionale. Fino a che il sistema internazionale era “fondamentalmente diviso in mondo europeo e non europeo, dove quest’ultimo non era che un appendice del primo”[iv], e anche quando questo quadro venne a integrarsi prima con l’inclusione dei soli Stati Uniti tra le nazioni dominanti nell’area occidentale e poi con l’emersione, nel secondo dopoguerra, del loro ruolo mondiale, la situazione descritta continuò a sussistere senza creare particolari problemi. In fondo, si trattava soltanto di ripartire la giurisdizione fra Stati-nazione appartenenti ad aree politiche e culturali relativamente omogenee e, attraverso la lex fori processuale, di garantire l’applicazione di una tra poche discipline processuali a loro volta rientranti in aree giuridiche piuttosto vicine per appartenenza alla cultura giuridica d’Occidente[v]. Poi queste prerogative subirono un’evoluzione universale. Per identificarle, Michele Taruffo scelse tre cardini come punti di riferimento della progressiva convergenza della disciplina processuale su principi relativamente omogenei: essi mostrano una corrispondenza di notevole interesse sotto il punto di vista dell’incremento della trasformazione degli assetti economici e commerciali. La prima coordinata è sicuramente l’Unione europea: il punto che qui interessa mettere in evidenza è che, benché i singoli ordinamenti nazionali tuttora sussistano (sicché non si può dire che il paradigma dello Stato-nazione sia stato abbandonato come modello della giurisdizione ordinaria), è tuttavia evidente, non solo che esso non rappresenta più un polo esclusivo, ma che il suo superamento è in re ipsa, ossia avanza man mano che il complesso del fenomeno dell’integrazione europea procede. Il secondo esempio ricordato è il codigo modelo per i paesi dell’America latina, pubblicato nel 1988 dall’Istituto iberoamericano del derecho procesual.[vi] È noto che questa normativa è stata applicata soltanto in Uruguay, a partire dal 1989, come disciplina nazionale del processo civile, con risultati che sembrano essere positivi. Tuttavia non pare dubbio che essa rappresenti un importante caposaldo nel senso dell’armonizzazione, se non in quello della vera e propria unificazione, del diritto processuale civile latinoamericano. Vale la pena di rilevare che, anche in questo caso, si verifica un’interessante e non casuale corrispondenza tra dimensione economico-commerciale e quella processuale: non a caso, sullo sfondo del codigo modelo latinoamericano, sta la creazione del Mercosul[vii], che ha avuto notevole importanza per lo sviluppo economico del paesi interessati: “Assim, o objetivo primordial do Tratado de Assunção é a integração dos quatro Estados Partes, por meio da livre circulação de bens, serviços e fatores produtivos, do estabelecimento de uma tarifa externa comum e da adoção de uma política comercial comum, da coordenação de políticas macroeconômicas e setoriais e da harmonização de legislações nas áreas pertinentes, para alcançar o fortalecimento do processo de integração“[viii]. Il terzo esempio, che probabilmente risulterà più importante agli occhi di un giurista di common law, è il tentativo di coordinazione della normativa inerente alle procedure concorsuali nei paesi aderenti al NAFTA[ix]: anche in questo caso pare evidente l’incidenza delle ragioni economiche sulla trasformazione di un aspetto importante della disciplina processuale in un’area geografica e economico-commerciale relativamente omogenea[x]. Operando una sorta di generalizzazione di queste tendenze evolutive, si potrebbe disegnare un’immagine del mondo come costituito da “aree” piuttosto ampie, di dimensione sovranazionale e talvolta addirittura continentale. Queste parti rilevanti di globo possono includere, senza eliminarli, gli Stati-nazione, ma tendono a configurarsi come “dimensione ulteriore” rispetto a quella puramente nazionale. L’aspetto problematico è che nessuna di queste esperienze è ancora conclusa, perciò apparirebbe prematura qualunque analisi strutturale dei modelli di superamento dei paradigmi nazionali. Tuttavia questa nuova visione “per aree” sembra poter influenzare la distribuzione delle controversie nello spazio. In primo luogo, sul piano della concentrazione: in questo caso l’area si definisce essenzialmente in funzione della competenza per materia e per territorio della corte sovranazionale accentrata. Qualora quest’ultima non sia stata istituita o non sia competente, allora si verificherà una sorta di sommatoria orizzontale delle rispettive giurisdizioni territoriali in virtù di norme o principi di collegamento omogenei nell’ambito di ogni area. In secondo luogo, sul piano della delimitazione geografica, nelle aree in questione, che si definiscono anzitutto in funzione di fenomeni di aggregazione e integrazione economica e commerciale, ci sarà un incremento di rapporti economici e giuridici, e quindi di controversie, tra soggetti che si collocano nell’ambito di ogni singola area. Si profilano così le cosiddette istituzioni giuridiche della globalizzazione. Specificamente, a proposito della giurisdizione, la dimensione globalizzata comporta, in linea generale, un’accentuazione del fenomeno della “delocalizzazione”, sintomatico allentamento, e, al limite estremo, eliminazione, del tradizionale rapporto tra ius dicere, sovranità e territorio dello Stato-nazione indipendente e autonomo. La natura delle relazioni giuridiche perde l’idea tradizionale di appartenere a un ordinamento giuridico come insieme stabile, compatto, completo e gerarchizzato di norme di produzione statale; per diventare, invece, soft, flessibile, variabile, di origine (in larga misura) contrattuale o comunque non statale e somigliante a una rete orizzontale collegante vari punti potenzialmente sparsi ovunque nel mondo. “Se, muovendo da queste premesse, si prova a elaborare una <teoria del mondo> che abbia senso anche come modello per comprendere la trasformazione delle controversie civili, si può immaginare il mondo (o il mappamondo) come coperto da un pulviscolo di singoli punti, ognuno dei quali rappresenta un soggetto di almeno un rapporto giuridico. Il <mercato globale> può essere immaginato come un insieme di rapporti economico-giuridici che collegano due o più punti del pulviscolo, ognuno dei quali può essere collocato in qualsiasi luogo del mondo (…)”. Analogamente, pensando alle liti che nascono da questi rapporti, si può immaginare una dimensione di controversie che coinvolgono (collegandoli) individui collocati non importa dove nel mondo. Così, si perviene alla nozione di controversia, propriamente, transnazionale, che si definisce come tale (e si distingue dalle più tradizionali controversie “internazionali”) in quanto prescinde completamente dai paradigmi “nazionali”: l’appartenenza nazionale delle parti non rileva in alcun modo e spesso non è neppure determinabile (come nel caso delle grandi multinazionali). Il rapporto cui la controversia si riferisce può non essere regolato da un diritto nazionale (bensì da accordi stipulati dalle parti senza alcun riferimento ad uno specifico regolamento, o con riferimento a scelte ad libitum dai contraenti) ed ha comunque dimensioni che non rientrano in alcun paradigma nazionale. L’oggetto della controversia non è riconducibile entro i confini nazionali di uno o di pochi Stati, e lo stesso vale per i possibili effetti della decisione. In sostanza, conflitti economici e commerciali, soggettivamente e oggettivamente transnazionali, producono controversie i cui elementi non sono più interpretabili e definibili secondo i consueti paradigmi nazionali della giurisdizione e del diritto sostanziale e processuale. Si tratta di un tertium genus: una dimensione nuova e autonoma che si sovrappone alle altre (nazionali e internazionali). Ancora una volta, a questo punto, occorre determinare la competenza giurisdizionale di una lex fori nazionale. Questa necessità, insieme alla ricerca dell’armonia decisoria, sono l’obiettivo di una serie di normative, succedutesi nel tempo, con cui si è provveduto a formulare una specifica disciplina dal “carattere doppio”, concernete: per un verso, l’esercizio della giurisdizione civile e commerciale secondo criteri uniformi, prevedendo meccanismi idonei a evitare la pendenza di più procedimenti relativi alla stessa controversia innanzi ai giudici degli Stati comunitari (litispendenza, parallel proceedings), con la conseguenza (tra l’altro) di circoscrivere l’operatività delle corrispondenti norme nazionali alle sole liti estranee all’ambito di applicazione ratione materiae e ratione personae della normativa adottata. Per altro verso, il riconoscimento e l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali degli Stati comunitari agevolano l’estensione degli effetti loro assegnati nell’ordinamento di origine a tutta l’area comunitaria.

Bibliografia

[i] GIULIANO, La giurisdizione italiana e lo straniero, Milano, 1970.

[ii] HAU, Positive Kompetenzkonflikte im internationalen Zivilprozessrecht, Frankfurt am Main, 1996.

[iii] M. TARUFFO, Controversie transnazionali, in Essays on transnational and comparative civil procedure, Torino, 2001.

[iv] CLARK, op. cit., p. 73.

[v] TARUFFO, Dimensioni transculturali della giustizia civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2000, p. 1047 s.

[vi] LANDONI SOUSA, O processo civil no Mercosul, relazione presentata il 6 agosto 2001 a Fortaleza durante le IV Jornadas Brasileras de Direito Processual Civil.

[vii] Il 4 luglio 2006 il Venezuela è entrato ufficialmente a far parte del Mercosur (Mercado Comun del Sur), il mercato comune sudamericano nato il primo gennaio 1995 da un accordo tra quattro dei più importanti stati dell’America Latina: Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay.

[viii] http://www.mercosur.int/msweb/portal%20intermediario/pt/index.htm

[ix] Il North American Free Trade Agreement (Accordo nordamericano per il libero scambio), è entrato in vigore nel 1994. è un trattato di libero scambio commerciale stipulato tra Stati Uniti, Canada e Messico e modellato sul già esistente accordo di libero commercio tra Canada e Stati Uniti (FTA), a sua volta ispirato al modello dell’Unione Europea.

[x] Cases Among the Members of the North American Trade Agreement, American Law Institute, Philadelphia, 2000.

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