Nathalie Sarraute: le parole della sua Enfance

Vivo di questa gioia
Malata di universo
E soffro
Di non saperla
accendere
nelle mie parole
{Poesia, Eugenio Montale, 1916}

Accostamento forzato forse quello con Montale, ma è incredibile come proprio lui – contemporaneo di Nathalie Sarraute – nella raccolta di prosa Auto da fé (1966) ordinando i suoi scritti precedenti e raccogliendo pagine sui suoi rapporti come poeta, come uomo di lettere a confronto con la storia, la società, la politica, scriva della Sarraute: «La signora Nathalie Sarraute, per esempio, da poco festeggiata a Milano per l’apparizione in lingua italiana del suo anti-romanzo Ritratto d’ignoto (Feltrinelli, ottima traduzione di Oreste Del Buono), pur distaccandosi dalla scuola dello sguardo non è meno convinta di liquidare il romanzo tradizionale. Persuasa com’è che tutto sia inautentico nell’uomo, non solo i discorsi che affiorano alla superficie ma anche il mondo del subconscio, il sottolinguaggio a cui vanamente tendevano Proust ed altri, vuole offrici solo “una visione protoplasmica del nostro universo interiore: sollevate la pietra del luogo comune, sotto troverete sgocciolii, bava, muco, movimenti esitanti, ameboidi” (Sartre nella presentazione). (…) Scrittrice di indubbio ingegno, stranamente convinta di aver scoperto un mondo nuovo perché ha oppresso dai dialoghi i “disse” e i “rispose”, anche più certa di aver compiuto passi da gigante nella tecnica del romanzo (quasi che l’evoluzione tecnica di un genere letterario abbia molta importanza in sé, in astratto) non mancherà alla Sarraute un pubblico che compri i suoi libri, in questo aiutata dall’industria dell’avanguardia, oggi sviluppatissima)».

Nathalie Sarraute con Michel Butor, Alain Robbe-Grillet e Claude Simon

Nathalie Sarraute con Michel Butor, Alain Robbe-Grillet e Claude Simon

Nella prefazione al secondo romanzo di Nathalie Sarraute Ritratto di uno sconosciuto del 1947 Sartre lodò questo come “anti-romanzo”, destinato pochi anni dopo a far parte della corrente letteraria del “Nouveau Roman” annoverando tra gli esponenti più rappresentativi, insieme a Sarraute, Claude Simon, Alain Robbe-Grillet e Michel Butor.

Prima di tutto una caratteristica comune tra Montale e Sarraute è stato il volere rispondere a un’identica domanda : in che modo uno scrittore deve leggere la letteratura? Quali rapporti deve intrattenere con i testi altrui? Come un viatico nel percorso da scrittore, difatti Sarraute scrisse nel 1988 Paul Valéry e l’elefantino. Flaubert il precursore (1986) partendo da una rilettura di Valéry e di Flaubert, vagliando tutte le interpretazioni nel cuore del rapporto tra letteratura e critica e e agendo in nome e per conto delle sovrane ragioni della scrittura.
nsIl rigore provocatorio sarrautiano ricorda che è dovere di tutti i romanzieri, tutti i pittori, tutti i musicisti, tutte le persone che cercano di fare arte, fare un’arte che colpisca per cercare qualcosa che sentano autenticamente, senza prestare attenzione allo stile.
Il racconto parzialmente autobiografico Enfance (1983) raccoglie a mo’ di dialogo interiore i ricordi di vita della piccola Nataša ripercorrendo la storia autobiografica dell’autrice caratterizzata da un’infanzia trascorsa tra Russia, Svizzera e Francia costruita sui difficili rapporti con madre, padre, matrigna, domestici e governanti. Sarraute passa dalla finzione romanzesca con un io narratore, un autore e un protagonista a una vera e propria autobiografia. Enfance si può definire come un’autobiografia dalle connotazioni sicuramente originali che mette in evidenza il lavoro dello scrittore e l’uso della memoria. L’io personaggio si evolve durante la storia che racconta episodi dai 6 agli 12 anni circa di Nataša, se i fatti menzionati sono limitati in quello spazio temporale, i riflessi o i sentimenti di quelli sono meno facili da individuare. Il narratore arriva ad esitare a volte quando si tratta di un sentimento appena descritto.

Rappresenta un romanzo molto particolare, a due voci, quella della donna che ricorda la sua infanzia e l’altra che si fa coscienza critica, che va oltre la memoria interpretando e approfondendo certi aspetti. Questo sdoppiamento fa sì che il romanzo non cada in una mera impresa del tutto autobiografica: è anche il romanzo sul luogo sorgivo delle parole, della scrittura, su quel l’immenso terreno inesplorato che si trova fra il vissuto e il silenzio. Ed è proprio l’infanzia che è il luogo della scoperta di questa dimensione importante: Sarraute mette a fuoco il suo racconto della sua precoce scoperta della scrittura.

Nataša all’inizio del romanzo ricorda:

«Non farlo»… le parole mi circondano, m’imprigionano, mi incatenano, io mi dibatto… «Sì, lo faccio»… Ecco, sono libera, l’eccitazione, l’esaltazione mi fa tendere il braccio, affondo la punta delle forbici con tutte le mie forze, la seta cede, si strappa, io lacero lo schienale dall’alto in basso guardo quel che esce… dalla fenditura sbuca qualcosa di molle, grigiastro…

In tutte le sue numerose opere Sarraute ha voluto strappare davvero la superficie delle cose e delle convenzioni sociali per svelarci l’informe e il taciuto che nascondono: la scrittura afferra ciò che le parole tacciono della vita. L’intertestualità sarrautiana è come una corrente o un movimento continuo che tormenta tutti i suoi testi. Ha già scritto Tropismes (1939), Les Fruits d’or (1963) e L’Usage de la parole (1980) tra le sue opere più importanti. Dirà in un’intervista per La Quinzaine Littéraire n° 50 (Mai 1968) che «Je ne suis pas philosophe… Il est vrai que l’analyse des sentiments, l’étude des « caractères », telles qu’on les trouve chez les romanciers du XIXème sont devenues suspectes aujourd’hui. Elles m’ont paru suspectes dès mon premier livre, Tropismes. Je m’attache à recréer des mouvements intérieurs et non à camper des individus. D’où la disparition des personnages, au sens classique du terme, dans mes romans. Ils ne feraient que masquer cette substance commune à tous les hommes, qui seule m’importe (…)».

Nathalie Sarraute ha scelto di concentrare la sua storia su un’altra dimensione che sembra aver giocato un ruolo importante nella sua vita: il suo rapporto con la sua famiglia. Il graduale abbandono di tutti quelli che la circondavano ha sviluppato in lei una ipersensibilità sui rapporti umani e le loro manifestazioni più sottili. Questo aspetto è accentuato dalla duplicazione del narratore, dalla separazione di due voci, quella adulta analitica e critica, l’altra di un’adulta che racconta la bambina in tutta la sua solitudine che era.

Nathalie Sarraute, nata nel 1900 a Ivanoo-Voznessensk in Russia come Natal’ja Il’inična Černjak, si spostava spesso tra Russia e Francia fino al 1908 quando venne affidata definitivamente alle cure del padre a Parigi come risultato di una serie di eventi drammatici.

Nataša quando ricorda la notizia del trasferimento a Parigi dal padre e da sua moglie, Vera:

Sono seduta sul bordo del letto, le spalle girate alla finestra, tengo in piedi sulle ginocchia il mio compagno, il mio confidente, il mio orsetto dal pelo dorato, tutto mollezza e dolcezza, e gli racconto quel che mi ha detto: «Sai, stiamo per tornar presto a Parigi, da papà… prima del solito… e laggiù, avremo un’altra mammà…»

Allora mammà che è vicina e mi ha sentito, mi dice irritata: «Ma cos’è che racconti? Che altra madre? non se ne può avere un’altra. Tu al mondo non hai che una sola madre.» Non so se lei abbia pronunciato tutte queste frasi o soltanto l’ultima, ma vi ritrovo l’enfasi insolita con cui lei mi ha parlato, e che mi ha ammutolita, come pietrificata.

FRANCE. 1963. French autor Nathalie SARRAUTE.

In Francia nel 1963

Il padre di Sarraute, Ilya Tcherniak, era un chimico famoso per aver inventato dei colori resistenti alla luce del sole, aveva studiato a Ginevra dove aveva completato anche il dottorato. A Ivanoo, dove era nato, lavorò nel’industria tessile per poi aprire una sua azienda. Quando avvenne il divorzio dei suoi genitori, la madre andò a vivere a Parigi con il nuovo marito. A seguito di una serie di eventi che coinvolsero il fratello del padre, si dovette spostare a Parigi dove lo seguì anche la sua futura moglie. Quel che è certo è che Sarraute non vuole scrivere in Enfance in modo molto consapevole e autobiografico i suoi ricordi. Ha potuto scrivere solo di certi momenti isolati della sua vita.

Solo mio padre resta presente ovunque nei miei ricordi. (…) Vado a spasso con mio padre… o meglio lui mi porta a passeggio, come ogni giorno quando viene a Parigi. Non so più come l’ho raggiunto… qualcuno m’avrà depositata al suo albergo o a un recapito comunque convenuto… è escluso che sia venuto a prendermi in rue Flatters… non li ho mai visti, non li posso neppure immaginare insieme, lui e mia madre… (…) Mi sembra che ci sia silenzio tra noi. In ogni caso, di quanto si è potuto dire mi sono restate solo queste parole che sento ancora ancora distintamente «Ma tu mi ami, papà?…», in un tono per niente ansioso, qualcosa, invece, che vorrebbe essere malizioso… è impossibile che gli rivolga una domanda del genere con un’aria seria, che impieghi quell’espressione «mi ami» altrimenti che per scherzare… lui è troppo nemico di parole del genere, e in bocca a un bambino, poi…

– Ma già lo sentivi a quell’età?

– Certo, e così forte, forse più forte di come lo avrei sentito oggi… son cose che i bambini percepiscono meglio degli adulti.

Sarraute dirà sempre di aver iniziato a scrivere per se stessa. Così scrisse Tropismes per poter definire a parole i movimenti puramente istintivi verso qualcosa che stimola. Ma dare forma con parole a questi movimenti non è un lavoro facile.

Sono nella mia camera, al mio tavolino davanti alla finestra. Traccio delle parole con la penna intinta nell’inchostro rosso… vedo perfettamente che non somigliano troppo alle vere parole dei libri… sono come deformi, come un poco inferme… Eccone una tutta squilibrata, insicura, dovrei metterla a posto… qui, forse… no, là… ma mi chiedo… debbo essermi sbagliata… non hanno proprio l’aria di andar d’accordo con le altre, quelle parole che vivono altrove… sono andata a cercarle lontano da me e me le sono portata dietro sino a questa pagina, ma non so che cosa vada bene per loro, io non conosco affatto le loro abitudini

Le parole prendono in considerazione dei sentimenti, non del tutto classificabili e neppure identificabili, ma vaghi, confusi che con rapidi movimenti fuggono via dal dominio del linguaggio. La tensione tra il materiale amorfo e pre-linguistico dei tropismi e l’impulso di categorizzazione del linguaggio dà luogo a temi che riflettono metaforicamente, all’interno del testo scritto, questo dramma interno della scrittura: la lotta per superare, attraverso il linguaggio, e quindi per comunicare la fluidità di un’esperienza vissuta. L’incontro di bambini e adulti può essere visto in questi termini, come la collisione dell’informe con le forme fisse dell’autorità e della certezza. Il bambino in tal modo rappresenta giustamente il compito poetico dello scrittore che vuole portare il non formulato nel dominio del linguaggio senza che la forza classificatrice del linguaggio lo deformi o lo privi di qualcosa.

«Che disgrazia!»… l’espressione colpisce, è il caso di dirlo, come una frustata. Corde che mi avvolgono intorno, mi imprigionano… Dunque è questo, questa cosa terribile, la più terribile che ci sia, che si manifestava tra gli altri con le facce gonfie di lacrime, veli neri, gemiti di disperazione… la «disgrazia» che non mi aveva mai accostata, mai sfiorata, è piombata su di me. Come tutti quelli che non hanno più una madre. Dunque io non ce l’ho. È evidente, io non ho più una madre. Ma com’è possibile? Come mi è potuto succedere, a me? (…)

– Era la prima volta che venivi presa così, dentro una parola?

– Non ricordo che mi sia successo prima. Ma quante volte più tardi sono evasa con terrore dalle parole che ti piombano addosso e ti imprigionano.

In Enfance dunque il tentativo di cogliere tutta la vita. A 84 anni Sarraute, scrittrice e rappresentante del “Nouveau Roman”, prova a ricreare i movimenti di ciò che non ha nome, di sentimenti e sensazioni inclassificabili, prova a elaborarli verbalmente grazie alla mano di una bambina con il doppio ruolo di costrizione e di liberazione allo stesso tempo.

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Foto in evidenza: 1946 / 2016 – Photo credit: Anna Daverio

Bibliografia

Nathalie Saraute (2005), trad. di O. Del Buono, Cronopio.

None (1984), Nathalie Sarraute Talks about her Life and Works: Extracts from a Conversation, in English, Recorded in Swansea on The Occasion of Nathalie Sarraute’s visit to Gregynog and the University of Wales, Romance Studies, 2:2, 8-16 (These extracts were made available by kind permission of Frances Donnelly and Ann Howells).

Valerie Minogue (1996), The Hand of the Child: A Basic Figure in the Work of Nathalie Sarraute, Romance Studies Vol. 14 , Iss.

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